di Alessandro Marongiu *
Qualche tempo fa, un lettore sardo scriveva alla rivista settimanale di un importante quotidiano nazionale dicendosi stanco di leggere su quelle pagine i soliti luoghi comuni sull’isola, e invitando il titolare della rubrica cui si rivolgeva ad aprire gli occhi su una realtà che era ben più complessa di quella che poteva risultare dal sentito dire o da certi scritti di fantasia. Insomma, per capirci: i maschi («uomini» fa troppo progresso e civilizzazione, che in Sardegna in quegli anni non dovevano essere ancora arrivati) tutti orgogliosi, vendicativi, sequestratori, armati di pattadese, variamente amici degli ovini, e molto, molto testardi; le femmine tutte orgogliose, vendicative, sequestratrici, basse grasse e baffute – ma irresistibili, perché le femmine sarde, si sa, anche le più fantozzianamente mostruose, hanno qualcosa (sicuramente risultato dei lapislazzuli che dominano il paesaggio che le circonda) che le rende capaci di far innamorare di sé chiunque, in qualsiasi tempo e a ogni latitudine. Lui, il titolare della rubrica invitato ad aprire gli occhi, invitava a sua volta il lettore risentito, con quale sobrietà ognuno è libero di giudicare, a sturarsi le orecchie (del resto, che ne voleva sapere quello di cose di Sardegna?) e ad ascoltare la radio, perché si dava il caso che pochi giorni prima si fosse verificato a Nuoro un tentativo di sequestro conclusosi tragicamente. E quindi?, si potrebbe chiedere qualcuno. E quindi, con tutta evidenza, se in una certa città sarda del centro si era verificato un tentativo di sequestro da parte di sardi (quanti – due?, cinque?, otto? – non importava), i sardi tutti perdevano il diritto di dire che quei particolari accadimenti non erano sufficienti a dare conto della Sardegna nel suo complesso. E altro che luoghi comuni. Ora: sarebbe bello se questa vicenda fosse frutto di fantasia, come certi scritti, o se almeno si fosse svolta 50 anni fa, quando altre circostanze segnavano la storia isolana, e quando, tanto per stare anche noi al gioco dei luoghi comuni, pare che fossero tutti un po’ più boccaloni e un po’ più ignoranti. La vicenda, invece, non solo è vera, essendosi svolta sulle pagine del «Magazine» del Corriere della Sera, ma è anche molto recente, visto che risale a meno di tre anni fa. Per fortuna che Alberto Mario c’è, viene proprio da dire. Ci riferiamo a quell’Alberto Mario Delogu di cui Angelica Editore ha da pochissimo pubblicato, nella collana Sola Andata, «Sardignolo» (160 pagine, 10 euro). Si tratta di un libro, condito da un'(auto)ironia di cui si avverte in generale sempre troppo la mancanza, sugli stereotipi che continuano ad ammorbare la Sardegna, scritto da un sardo che, da una ventina d’anni, vive tra l’Europa e il Nordamerica. Un saggio epistolare, l’hanno definito autore ed editore, che prende le mosse dallo scambio di mail tra Mariano, isolano vagabondo attualmente di stanza in Canada, e Bachiseddu, aspirante cinematografaro canadese che ha chiesto all’amico di raccontargli, appunto, la Sardegna. Detto dell’aggettivo, bisogna ora spiegare il sostantivo «saggio», che si deve all’accortezza di DeLogu il quale, per evitare accuse varie ed eventuali di impressionismo (che gli venga contestato, cioè, di proporre al lettore nient’altro che sue opinioni personali) dota le mail di Mariano di dati concreti. Un esempio dal primo capitolo, «Terra aspra e maligna»: «Se una terra che gode di 300 giorni di sole all’anno, temperature medie dai 14 ai 20 gradi, una piovosità che oscilla dai 500 ai 1000 millimetri l’anno, due grandi e fertili pianure, più decine di pianure minori ma ugualmente fertili, dolci colline e poche montagne che non superano i 1800 metri, ebbene se secondo voi una terra del genere è inospitale, che dire allora di Tristan de Cunha? Delle Aleutine? Dell’Islanda? O delle Ellesmere?». Non parliamo poi del terribile vento che domina incontrastato la vita dell’isola, quel maestrale, «instabile e periodico che può toccare i 60-70 chilometri orari e soffia da nord-ovest [e che] quando soffia forte (cioè una dozzina di giorni all’anno) soffia tanto forte che i traghetti devono restare in porto». Non proprio roba da far tremare i polsi, in effetti. E tra una riflessione sul bilinguismo e una sulla famigerata (più che famosa, oramai) ospitalità degli isolani – «L’ospite in casa sarda non discute e non s’intromette, non può neanche decidere che fare delle ore della sua giornata, è in libertà vigilata e giusto dev’essere grato per la concessione degli arresti domiciliari» -, Mariano non può certo evitare il tema dell’emigrazione: in Canada, ad esempio, «La giornata di lavoro di Tonino e Tilippu non è certo diversa da quella di un qualunque operaio edile di Macomer, Badesi, Cala Gonone, o Selargius. Sono le sere che fanno la differenze. La temperatura cambia soprattutto il modo di vivere: niente più birroncino Ichnusa con gli amici, niente più partite a mariglia, niente più chiacchierate sulla formazione della Juventus o sulla crisi di governo. Niente più ozio libero e gratuito. Per loro, ormai solo ozio programmato e a pagamento. E fine settimana al centro commerciale, a trascinare carrelli male oliati, due-tre metri dietro la moglie, coll’espressione gaia del malato d’emorroidi». Ma «per fortuna, c’è suglèb», ubiquo circolo dei sardi emigrati, «che ha evitato più suicidi e ha salvato più matrimoni di Bocca di Rosa, una delle realtà più insondabili e inconoscibili dell’antropologia moderna». Si dirà: un libro scritto per i non-sardi, come il giornalista culturale di cui si parlava in apertura. E invece no: «Sardignolo» è soprattutto un libro che dovrebbero leggere i sardi, perché purtroppo, per pigrizia o disinteresse, spesso sono loro i primi ad avallare quei luoghi comuni per i quali di tanto in tanto qualcuno, giustamente, sente ancora di doversi dolere.
* La Nuova Sardegna