di BENEDETTA PIRAS
I sardi la chiamano in molti modi a seconda della zona di provenienza, i pastori e gli allevatori la portano nelle loro bisacce e stivali da secoli e molti oggi la chiamano leppa: Chiamarla leppa, tuttavia, sarebbe riduttivo: oggi il coltello sardo in generale viene chiamato resolza o arresoja e conta tra le sue file diverse tipologie tra cui anche la leppa, sebbene le sue origini siano incerte e il nome venga usato impropriamente per identificare la resolza.
Parte integrante degli accessori tradizionali degli abitanti dell’isola da sempre, le prime testimonianze dell’esistenza di questo coltello arrivano a noi grazie ai bronzetti. Del resto, la sua presenza fin dalle epoche più antiche non sorprende: il popolo sardo è sempre stato un abile forgiatore e modellatore della materia, dedito alla caccia ma anche alla guerra. Le prime lame tuttavia non sono come quelle che conosciamo oggi: l’antenato della resolza infatti si chiamava sa leppa de chintu e non era un coltello, bensì una vera e propria sciabola che si continuò a utilizzare fino agli ultimi anni dell’Ottocento.
Compagna di duello e letale testimone durante la regolazione di conti, la leppa de chintu era una spada lunga 60 centimetri, caratterizzata da una lama ricurva e dal manico di corno di montone talvolta preziosamente intarsiato. Terrificante e bellissima allo stesso tempo, si pensa che i suoi aspetti più vicini alle armi arabe e africane siano il prodotto dei popoli che arrivarono sull’isola da quelle coste del Mediterraneo da sempre in contatto con la Sardegna e i suoi abitanti. Durante la Prima guerra mondiale venne utilizzata dalla Brigata Sassari come arma nei combattimenti corpo a corpo.
Il processo che portò la leppa de chintu a ridurre le sue dimensioni fino a diventare sa resolza iniziò nel periodo sabaudo, quando i piemontesi cominciarono a emanare delle leggi tese a diminuire le dimensioni massime della lama, arrivando perfino a 6 centimetri nel 1908. Gli artigiani e i fabbri sardi ebbero così l’idea di creare un coltello facilmente occultabile e trasportabile, la cui lama non potesse dare alcun fastidio al portatore: nasce il coltello a serramanico sardo come lo conosciamo oggi.
Sa resolza diventa così ancora una volta la compagna di mansioni perfetta per l’uomo sardo, nonché un vero e proprio manufatto d’arte. Usata per la caccia, per l’intaglio di materiali come legno e sughero o semplicemente per tagliare il cibo, oggi viene realizzata dai maestri artigiani con il manico in materiali più diversi e stupefacenti: dal corno al legno intagliato, dai metalli preziosi all’osso e molto altro.
Proprio quest’arte diventata così unica e personale nei secoli, legata indissolubilmente alla terra sarda, ha fatto sì che la Regione Sardegna conferisse ad alcune tipologie di resolzas il marchio D.O.C., precisamente si tratta di tre tipi:
Oggi sa resolza è un accessorio ambito da collezionisti e non in tutto il mondo e in Sardegna si è deciso di dedicare al coltello sardo un museo situato ad Arbus, dove è possibile ammirare, tra i tanti modelli, anche l’arresoja più grande al mondo, lunga ben 4 metri!
L’hapo eo puru: fi de babbu meu, ed est comente unu gioiellu antigu