di MASSIMILIANO PERLATO
Pier Bruno Cosso, è nato a Sassari nel 1956, e la Sardegna è l’unico posto dove immagina di poter vivere. Scrive da sempre, per se stesso, ma è uscito a fatica dal suo guscio silenzioso con i primi libri: Il giorno della tartaruga (2013), e Dannato Cuore (2015) entrambi Parallelo45. Poi è arrivata la raccolta di racconti Fotogrammi slegati (2018) Il Seme Bianco (Gruppo Elliot–Castelvecchi), e il romanzo Solo danni collaterali (Marlin Editore 2020).
Ha partecipato coi suoi racconti a tre antologie con altri autori: Carne e spirito – Le donne di oggi si raccontano (2016) Echos Edizioni – Cultura al Femminile; Poesie e racconti di Solidarietà (2016) Associazione Cultura e Solidarietà ANTEAS Medio Campidano; e Sardi per Sempre (2018) Edizioni della Sera.
Alcuni dei suoi racconti sono stati premiati o segnalati in diversi concorsi nazionali (Nuova Scrittura Attiva 2014 Tricarico (MT); Premio Culturale Nazionale “Sant’Ambrogio” 2015 Milano; selezionato nel III Concorso Letterario Città di Como 2016).
Recensore per “Cultura al Femminile”; nella redazione della rivista on line “Oublette Magazine” (referente di Google per la cultura); e collaboratore della testata “Tottus in pari – emigrati e residenti della Sardegna”. Presente su diverse pagine face book di letteratura e su riviste.
Per tanti anni ha fatto l’informatore medico scientifico, e adesso in prepensionamento, con finalmente molto tempo per i suoi amati libri. Oltre la scrittura adora la corsa. Perché la corsa, esattamente come la scrittura, comporta abnegazione, disciplina, entusiasmo e sempre uno sguardo lontano, verso il traguardo.
Buon giorno Pier Bruno, grazie intanto per aver accettato questa intervista per TOTTUS IN PARI, rivista con cui collabori, che effetto fa stare dalla parte delle risposte anziché delle domande? Grazie a voi, buon giorno. Però hai ragione, normalmente sono io ad avere il privilegio di fare le domande agli autori. Adesso, sinceramente, stare dopo il punto interrogativo mi fa agitare… Non lo immaginavo, ma è giusto subire il tormento che si infligge agli altri. Dai Chiedi… sarò sincero! Stando al di qua mi accorgo che uno vorrebbe scoprirsi, ma si ha paura di scoprirsi. E se scopri di te qualcosa che non ti piace? No, ci ho ripensato, niente intervista. Scappo…
Fermi lì! Con l’esperienza di intervistatore che hai dovresti capire che non puoi scegliere. Tu non permetti agli intervistati di scappare, e adesso sulla graticola ci stai tu. Dici subito del tuo ultimo romanzo Solo danni collaterali (Marlin Editore maggio2020) che sta uscendo in questi giorni: con questo libro che cosa hai voluto dire? Non te lo dico, perché in questa domanda c’è già un tranello: se l’autore deve spiegare il senso compiuto di un libro, forse, il libro non ha un senso suo. Il libro deve parlare con la sua voce. Deve urlare con chiarezza e con forza. Può anche graffiare, ma deve esprimersi da solo senza essere accompagnato dal tutore. E Solo danni collaterali dovrebbe, nelle mie intenzioni, lanciare un urlo bello forte. Gridare che viaggiamo sempre sull’orlo di un burrone, e che l’abilità non è nel non caderci, ma risalire la china e ritornare in strada.
Diciamo che nel tuo romanzo il protagonista viene spinto giù nel precipizio da un magistrato in delirio di onnipotenza! E tu dici che è una storia vera, ma secondo te i magistrati sono davvero così? Assolutamente no, nel libro viene detto e ripetuto, che la magistratura in Italia è costituita da un esercito di persone che fanno benissimo un lavorone, impossibile senza tutta la loro dedizione. Il problema è che non ci sono difese immunitarie contro le schegge impazzite. E se un magistrato fa danni, per dispetto o per incoscienza, purtroppo non paga pegno. I magistrati di Enzo Tortora ne sono un triste esempio.
Ma quindi quando dici che il tuo romanzo è una storia vera è perché lì, a Sassari, c’è veramente un medico che è stato perseguitato e rovinato dall’inchiesta di una di queste schegge impazzite? Intanto grazie della domanda che mi permette di chiarire che la storia è “ambientata” a Sassari, che è la mia città, che amo, e che fatalmente diventa spesso il luogo, per antonomasia, dei miei romanzi, ma la vicenda è successa da tutt’un’altra parte. E quindi ti dico soltanto che tutto è avvenuto in Sardegna, ma non dirò la città o il paese neppure sotto tortura, dove c’è veramente un bravo professionista che è stato perseguitato e rovinato da un magistrato delirante e arrivista.
Come sei entrato all’interno di questa storia, e come ti ha ispirato? Il vero protagonista mi onora della sua amicizia, almeno finché non leggerà il libro… Ho seguito tutta la vicenda sentendomi toccato. Ero in contatto con lui anche quando era nei guai, e tutti lo evitavano. Poi, una sera molto tardi, mi ha telefono, mi ha sorpreso, e preoccupato, dicendomi che come scrittore avrei dovuto raccontare la sua storia, incredibile e avventurosa come un romanzo. Ho capito la sua necessità di parlare quella notte, e quella sua profonda amarezza, anche se era già tutto risolto. Ma proprio per questo mi ha dato quel brivido che ti fa sedere alla tastiera perché lo devi raccontare, come un’urgenza, come se fosse una chiamata.
Ma, in breve, quindi, la vicenda reale… La vicenda reale racconta di un giudice che cerca il caso clamoroso per far carriera, con la malasanità, vera o presunta, che è sempre un argomento appetibile. Così, per superficialità, travisa fatti, altrimenti regolarissimi, e fa partire la macchina schiacciasassi della giustizia contro un ignaro dottore innocente.
E da qui l’altra domanda: realtà e fantasia come li hai miscelati nel tuo espediente narrativo? È semplice: in Solo danni collaterali tutto quello che sembra assurdo, che ti pare impossibile, è vero! L’intreccio con amori, passioni e tradimenti, invece è più attinente al mondo della fantasia. Anche per proteggere la vera identità del protagonista reale che ne ha passate abbastanza e adesso basta, lasciamogli ricostruire la sua vita e la sua famiglia.Pensa che quando nei giorni scorsi gli ho mandato la copertina del libro chiedendogli che effetto gli facesse, mi ha risposto con un laconico «Pier Bruno, non credevo mai che mi sarebbe capitata una cosa simile». Sue parole testuali che, ti giuro, mi hanno quasi commosso e comunque intristito.
E quindi ci sono interi capitoli che sono quasi di cronaca e altri romanzati? No, ma perché quando si parla di libri dobbiamo per forza etichettare tutto? Scegliere un genere, scovare quello che è vero per staccarlo da quello che è invenzione. Il libro va preso per la sua interezza, per ciò che è in sé. Non lo scomponiamo nei suoi ingredienti, perché gli ingredienti poi non ci sono più. Sono stati tutti trasformati in una cosa diversa, e assolutamente univoca. Spero davvero che questo libro possa piacere, e che la storia possa prendere così com’è, possa dare emozioni seguendo le vicende del protagonista… E cosa importa se questo o quel passaggio arrivano dall’emisfero destro o dall’emisfero sinistro del cervello dell’autore? La storia deve avere la sua vita, essere osservata e capita nella sua interezza; deve portare in alto e in basso, per quello che c’è nelle pagine, altrimenti il libro si chiude a pagina dodici.
Un’intervista meravigliosa, c’e amarezza, forza, volontà di denuncia e consapevolezza del potere della letteratura
io lo dico sempre che scrivere è un bisogno, e, come tutti i bisogni, quando scappa… scappa e non te la puoi tenere!