IL REGISTA PIETRO MEREU, UNA VITA PASSATA TRA LA SARDEGNA E MILANO A RACCONTARE STORIE

ph: Pietro Mereu

di ANDREA SPIGA

Conosco Pietro, attraverso il suo lavoro “Il club dei centenari”, un docufilm dove racconta a suo modo, lo straordinario fenomeno della longevità sarda, girato interamente nella sua Ogliastra Bluezone per eccellenza, dove e’ nato 47 anni fa’.

Personalmente ci incontriamo in un non-luogo virtuale e affollatissimo, quello dei social, e’ un momento storico particolare e rimarrà impresso nella nostra memoria collettiva, cosi’ ci diamo appuntamento io nel mio soggiorno cagliaritano e lui nel suo milanese, avamposto nazionale della peste come lo chiama lui.

A Milano Pietro ci vive e lavora da 20 anni, ed e’ la città che l’ha visto affermarsi come talentuoso regista e autore televisivo.

E’ il primo di quattro fratelli, tutti hanno lasciato la Sardegna per inseguire i loro sogni e da quello che fanno pare proprio che li abbiano realizzati.

Chi e’ Pietro Mereu.

Pietro Mereu è innanzitutto un uomo che ha avuto la fortuna di avere una madre che lo ha iniziato all’amore per la lettura e la conoscenza, questo amore e’ iniziato durante la mia infanzia e non e’ ancora finito.

Credo che leggere sia la cosa più formativa che abbia mai fatto unitamente al conoscere posti e gente non ordinaria, dal nobile decaduto al criminale incallito.

Come percorso formativo ho fatto la Civica Scuola di cinema e tv di Milano, conseguendo il diploma in sceneggiatura.

In ogni mio lavoro parto sempre da una idea scritta.

Se mi dovessi raccontare il momento in cui e’ iniziato tutto, hai avuto un’illuminazione o e’ stato un percorso a cui sei arrivato per gradi?

Sono partito dal voler fare il giullare, cosa che faccio ancora per gli amici, poi la mia parte meno evidente ma con il tempo più vera, ha cominciato a emergere e ha preso il sopravvento. 

La mia vita professionale è cambiata con “Disoccupato in affitto”, ( girato nel 2010)  ha avuto un ottimo consenso di critica e pubblico e dove ho scoperto il documentario che finora mi dà da vivere anche se adesso ho un progetto di cinema di finzione.

Disoccupato in affitto è quel lampo di genio che stupisce per semplicità, efficacia e credo rimarrà sempre attuale.

Il lavoro al quale sei più legato.

Tutti i lavori, piccoli o grandi sono sempre lavori importanti, scandiscono una tua evoluzione e sono come dei figli.

Con il tempo diventi più clemente verso gli errori che commetti, una cosa che non mi perdono è la non necessita di fare un lavoro. Risulta debole e i miei lavori hanno sempre una forza riconosciuta. Non lo dico per vantarmi, ma mi fa piacere. Sarebbe una sorta di cifra stilistica.

Che difficolta’ hai incontrato?

Questo lavoro è difficile perché non è come quello dello scrittore a cui basta un computer, per produrre un film o un documentario servono dei soldi. Magari pochi, Disoccupato in affitto costò poche migliaia di euro.

Ma ad un certo punto trovi la forza di decidere, ci credi e vai fino in fondo. Le difficoltà sono soprattutto quando non sai ancora su cosa vuoi concentrarti.

Domani potrei mollare tutto e decidere di dedicarmi a qualcos’altro, non credo pero’ perché ho ancora tante storie da raccontare.

Raccontaci un aneddoto curioso, un dietro le quinte.

Una volta mentre giravamo Il club dei centenari, avevamo due camere davanti a due signorine over 100, nulla, stavano zitte, non parlavano. C’era tutta la troupe ed il parentado intorno, allora il mio direttore della fotografia disse, andiamo via e lasciamole sole.

Beh quello che accadde fu meraviglioso, cominciarono a discorrere tra loro in dialetto, dicendo ci hanno lasciate sole per parlare.

Come scegli le storie e i personaggi da raccontare nei tuoi film?

Nel cosiddetto cinema del reale, sono gli incontri che ti fanno capire se una storia riuscirà o meno.

Io ho in testa decine di documentari, ma poi solo alcuni si fanno, perché ci si scontra con difficoltà oggettive legate alla realizzazione e al budget a disposizione.

Lo scorso anno ho incontrato un ex detenuto che faceva l’elemosina a Milano, decido di  invitarlo a pranzo la settimana dopo. Poi dopo un mese ho girato una clip per capire la potenzialità e dopo aver visto le riprese ho capito che poteva essere enorme.

Diventerà un mio prossimo lavoro.

C’e’ qualcuno/a che ti piacerebbe dirigere in particolare ?

Vorrei fare un documentario su Giorgio Armani per scoprire il suo lato dark, mi annoierebbe fare un suo ritratto troppo ossequioso, non apporterebbe nessun elemento di novità.

Per la finzione mi piacerebbe dirigere Robert De Niro, il mio attore feticcio da sempre.

Dimmi la cosa che ti infastidisce di più

La sopravvalutazione di persone e cose.

Credo che si tornerà a un modello dove la ricerca della verità coinvolgerà tutti gli aspetti della vita, dalla politica ai consumi.

Un tuo pregio e un tuo difetto.

A volte sono troppo egocentrico, mi prenderei a schiaffi da solo, ma sono una persona molto leale.

Che consiglio daresti a chi vuole iniziare?

Devi sempre capire chi è la persona che hai di fronte, quanto vale lei e quanto vali tu, rapportandoti nel modo giusto, non troppo ossequioso né troppo spocchioso.

Le persone più “importanti” che ho conosciuto erano e sono molto umili.

Bisogna crederci sempre, mai mollare, e saper coltivare ottime pubbliche relazioni.

Il cinema e’ arte o business?

Il cinema è arte con un business sufficiente a farti sopravvivere, Se poi sei Kubrick beh ,allora sei fortunato.

C’e’ qualche regista o personaggio che ha ispirato il tuo modo di lavorare e vedere il mondo attraverso la cinepresa?

Forse Raymond Carver nella letteratura mi ha ispirato più di tutto ad avere una visione pulita e essenziale.

Nel cinema ho tanti riferimenti, Nanni Loy, Scorsese, Herzog , Harmony Korine regista di culto americano.

Credo che sia un crossover di esperienze, cultura, pancia e influssi musicali.

Cosa deve avere una donna per piacerti?

Deve essere bella intelligente e con una sua indipendenza mentale ed economica. 

Abiti a Milano da più di 20 anni, quanto ti ha cambiato questa città e cosa ancora conservi della tua “sarditudine”.

Io sono un sardo che vive a Milano ed un milanese con origini sarde.

Credo che quando ti formi in una città come Milano ma con una esperienza di bambino vissuto in Ogliastra, hai dei vantaggi.

Non importa da dove vieni ma dove stai e operi.

I sardi hanno una creatività ed un pensiero non ordinario come tutti gli isolani e gli isolati, la Sardegna è un piccolo mondo molto complesso per lingue usi e natura, questo ci dona la capacità di lavorare sulle sfumature.

Stiamo vivendo un momento particolare di transizione e di grandi cambiamenti, come pensi che saremo dopo che finirà questo periodo?

Saremo diversi non so se migliori o peggiori, ma l’umanità deve continuare, come ha sempre fatto davanti alle pandemie molto più gravi di questa.

Il mondo non sarà più quello di prima, se pensiamo a come l’abbiamo lasciato rischiamo di non riuscire a decodificare il futuro che sarà sempre più legato alle tradizioni ma con un grande aiuto dal digitale.

Si riparte dalle proprie radici ma proiettati verso il mondo, magari ritornerò a fare il pastore in Ogliastra, perché no?

Cerco un ovile anche subito.

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3 commenti

  1. Pingback:Intervista con Tottus in pari - Pietro Mereu

  2. Bella intervista. Mi praxidi

  3. Figo!! Una lettura piacevole, perché scorrevole, ma allo stesso tempo ricca che arricchisce di immagini.

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