di SERGIO PORTAS
In questi tempi di reclusioni più o meno volontarie, coi bimbi che ciondolano per casa a coltivare noie che gli psicologhi sono sicuri frutteranno loro aperture mentali per adesso imponderabili, persino Radio Popolare, al mattino dopo i vari radiogiornali che trasmettono notizie del virus che sapete, fa leggere una fiaba ai suoi cronisti. Nella certezza che possa essere loro di consolazione a tanto disordine che ha scombussolato il mondo che conoscevano fino a ieri. La cosa, che all’inizio trovavo assai bizzarra, alla fine mi è apparsa più sensata di molte delle cosiddette politiche che, nello stesso periodo, si ingegnavano i “grandi” di portare avanti per risolvere, alleviare, il problema. E mi è venuta voglia di proporvene una anche io, nel tentativo di spezzare il clima nebuloso che contraddistingue i giorni che stiamo vivendo. Dunque: c’era una volta in un paese della Sardegna che si chiama Tortolì…Un momento, intanto bisogna dire che questa è una storia vera, dunque tocca situarla anche nel tempo, giusto per cogliere la straordinarietà degli eventi che vi si narrano. Siamo agli inizi del ‘900, che per la nostra isola voleva dire tempi di grande miseria, in verità essa miseria durava da un centinaio d’anni, almeno dal tempo delle chiudende quando quel bel tomo del re, Vittorio Emanuele 1°, ovviamente di Savoia, autorizzò la recinzione dei terreni che per antica tradizione erano fino allora considerati di proprietà collettiva, si era nel 1823. E da noi il comunismo venne finalmente sradicato, per sempre (altro che Trump!). Scrive P. Atzeni in un suo libro delle ediz.Cuec, Cagliari 1988 (“Il corpo, i gesti, lo stile: lavori delle donne in Sardegna”): “Assente l’acqua corrente nelle case, assenti i servizi igienici privati; persistente promiscuità tra animali e uomini, scarsa attenzione anche all’igiene della conservazione e dell’assunzione dei cibi; scarsa l’igiene personale, pochi gli abiti, quasi inesistenti le scarpe per i piccoli e per i grandi. Precari i mezzi per ripararsi dal freddo, sia dentro che fuori casa. Scarsa e incompleta l’alimentazione. Forte presenza di insetti all’aperto e al chiuso, frequenti veicoli di ogni genere di infezione”. Analfabetismo praticamente totale, sapevano leggere e scrivere giusto il prete, il farmacista e il maestro di scuola. Ecco in questa Tortolì, che oggi viaggia sui diecimila abitanti e col porto di Arbatax è la porta d’oro per chi si vuole immergere nelle bellezze dell’Ogliastra, erano allora 2000 abitanti e il maestro del paese, tale Peppino Meloni, in grazia dei suoi studi non solo aveva letto libri ma persino girato il mondo (non tutto). L’aveva fatto come tocca fare ai sardi d’ogni tempo: arruolarsi negli eserciti del periodo che ti toccano vivere e fare le guerre che i governanti il “Paese” scatenano per aumentare la sua grandezza nel mondo. A lui erano toccate, in qualità di tenete del regio esercito, quelle d’Eritrea e similari, le guerre coloniali in cui l’Italietta del tempo, la grande proletaria, si era finalmente svegliata (questa non è farina del mio sacco, è Giovanni Pascoli che avrebbe fatto bene a scrivere solo di poesia, in cui era bravo davvero). Allora l’”uomo forte” che reggeva i destini del paese era Francesco Crispi, ex garibaldino, già “uomo di sinistra”, un siciliano collerico incapace di mediazioni anche in politica estera, decise dei dazi nei confronti dei prodotti francesi che, per ritorsione d’oltralpe, misero in crisi quelle che per i sardi erano esportazioni di vitale importanza: carni, olio, grano. E dilagò la fame nelle campagne sarde. Scrisse Gramsci sull’edizione torinese dell’”Avanti!”: “Anni terribili, che in Sardegna, per esempio, hanno lasciato lo stesso ricordo del 1812, quando si moriva di fame per le vie e uno starello di grano veniva clandestinamente scambiato col campo seminato corrispondente. L’inchiesta dell’on. Pais Serra sulla Sardegna è un documento che rimarrà indelebile marchio d’infamia per la politica di Crispi e dei ceti economici che la sostennero. Per la verità neppure le guerre di conquista nel corno d’Africa andarono granché bene, a Macallè, a Adua i contingenti italiani vennero massacrati dagli etiopi del ras Menelik. Peppino comunque la scampò e, da quelle parti, venne fulminato dall’incontro col più grande uccello esistente sull’orbe terraqueo: lo struzzo. Tornato nella sua Tortolì gli era venuto a noia il suo lavoro di maestro elementare, per altro malissimo pagato. E si mise a pensare “in grande”. Era tempo di “Belle Epoque”, giravano anche in Sardegna cartoline di sgambanti ballerine che si esibivano all’Operà di Parigi, avvolte in boa di piume, piume di struzzo. E allora perché non mettersi ad allevarli, in Sardegna, e vendere uova e piume, perché no? Aveva una moglie Peppino, donna Carmela, che doveva volergli molto bene, e che non lo contrastò in questo sogno irreale. Lui le diceva cose tipo: “L’Africa non la puoi raccontare, la devi vivere o sognare”. Ora questi struzzi che andava sognando erano delle bestie (mi perdonino gli animalisti) che adulti arrivavano a due metri di altezza e a pesare anche 150 chili, avevano gambe solide e correvano più veloci dei cavalli, raggiungendo i 60 chilometri orari. I maschi di color bianco e nero, le femmine e i pulcini grigi. Riuscì a farne arrivare otto da Dresda, chissà come, vi lascio immaginare lo stupore del paese all’arrivo de “is puddas mannas mannas”. “Peppino si fuidi ammacchiau”. E invece no, fece fortuna e le sue piume di struzzo circondarono il collo delle più avvenienti signore del tempo. Sarebbe diventato ricchissimo se quel tal studente serbo non avesse tirato un colpo di rivoltelle all’arciduca d’Austria, a Sarajevo. La guerra che ne seguì (la Grande per antonomasia) costò alla Sardegna 13.000 caduti, e una pletora di invalidi e spostati. La “Belle Epoque” finita per sempre. Nel dopoguerra ci pensò la “Spagnola” a finire il massacro iniziato nelle trincee, quel virus sembra che fece nel mondo cinquanta milioni di morti. Nessuno voleva più boe di struzzo (oggi si vendono su Internet a 38 euro) e allora Peppino si inventò un altro utilizzo di questi non-volatili a cui era poi molto affezionato, ognuno col suo nome, il preferito era Battista, quello con un occhio solo, l’altro l’aveva perso in combattimento per la conquista delle femmine. Mise in piedi un sistema di corse di struzzi, in cui si potevano fare delle scommesse sui vincenti, proprio come con i cavalli. Cercò i fantini più prestigiosi, che in Sardegna non mancano certo, e si risollevò alla grande. Tra i fantini che divennero famosi per le corse di struzzi, spicca il nome di Pericu Dettori, veniva da Barisardo. Pensate che in visita dello “ struzzodromo” di Tortolì venne, il 24 maggio del 1921, nientemeno che il re d’Italia, anche lui un Vittorio Emanuele, secondo. Noto “sciaboletta”, l’altezza di un fantino, perfetto (dico io) per essere messo in groppa a uno struzzo. Eppure Peppino proprio quel giorno si può dire che cominciò a morire, il suo sogno, che pure era stato grande, più grande di così non poteva diventare, addirittura il re venuto a visitarlo in Sardegna, un Savoia, c’era voluto Napoleone Bonaparte a farli scappare da Torino a Cagliari, la prima volta. Lasciò la “ditta” nelle mani del figlio, Franceschino, che del padre aveva ereditato lo spirito imprenditoriale e mise su un circo equestre: il “Franceschino Meloni” che, insieme a Pericu e gli struzzi si mise a girare l’Europa intera. E vissero tutti felici e contenti. Questa storia l’ho sentita raccontare al teatro Blu di Milano il 16 novembre scorso. C’era già poco pubblico in verità, come presagio di una tempesta che i teatri tutti li avrebbe fatti chiudere, e il monologo è stato di Fabrizio Passerotti, che si è formato a Bologna seguendo la B.S.M.T. (Bernstein School of Musical Theatre). Comincia a mettere in scena opere di teatro “brillante” (Oscar Wilde, W. Allen) e nel 2017 fonda una sua compagnia: “ I Girasogni”, dove è presidente, attore, insegnante di teatro. Poi si è imbattuto in Bepi Vigna, di cui ci limiteremo a dire solo che è un apprezzatissimo e noto sceneggiatore e fumettista ogliastrino ( è di Baunei). Di Vigna ha per primo portato in scena: “Sardi, quelli con la testa dura”, dal 2018 visto il successo conseguito, ha continuato con: “L’uomo che sognava gli struzzi” e a tutt’oggi un altro testo dello sceneggiatore sardo: “ Samuele, su’r bandiu” che narra le vicende del bandito Samuele Stocchino, noto come “Tigre dell’Ogliastra”, in collaborazione col Centro Internazionale del Fumetto di Cagliari. E’ in quegli anni che imperversa il bandito Stocchino in Ogliastra, chissà che non sia andato anche lui a godersi una corsa di struzzi a Tortolì. Tra un ammazzamento e un altro. Il libro di Bepi Vigna (illustrato da Giomo) è uscito per la Grafica 77, su Amazon viene via a 8 euro. L’autore, oggi presente in sala, si dice sia stato fulminato da questa storia veramente bislacca che pure funzionerà. Come funzionerà il circo, ci volevano tre vagoni ferroviari per portarsi dietro tutti gli arredi necessari allo spettacolo. Persino la divina Josephine Baker (famosissimo il suo gonnellino formato da dodici banane) ebbe la ventura di cavalcare uno degli struzzi. A tutt’oggi ci sono le fotografie del tempo che ce lo mostrano, le locandine. Tutto ha il sapore di una magia. Di una fiaba. Era solo un libro, ora gira tutta Italia: c’era una volta lo struzzo Battista, quello con un occhio solo.