LE DISOBBEDIENTI: STORIE DI STREGHE DI SARDEGNA ANTICHE E MODERNE

di CLAUDIA ZEDDA

A casa circolavano libri, non troppi, non troppo pochi. Una media piuttosto dignitosa. Uno di quelli che fin da bambina mi ha catturata era il volumetto di un’enciclopedia. L’enciclopedia si occupava di tutto: dalla medicina all’astronomia. C’era pure quello che, copertina rigida, parlava di magia. La mia passione. Credo che ancora oggi sia il più sfogliato. In copertina, lucida, sempre fresca, liscia, c’era un quadro di Goya: il grande caprone.

La mia più antica e solida idea di magia la devo a quel quadro: natura, animali, donne, il tutto in cerchio. Tutto piuttosto ovvio. Ho ho sperato a lungo che le streghe conoscessero formule magiche che le facessero volare, mutare forma, o cambiare epoca storica. Ho desiderato a lungo conoscere qualche strega. Ho fatto presto dunque a capire che le streghe erano donne, herbarie, maestre, custodi imprendibili, misteriose, mitiche, desiderabili.

Si potrebbe dire che sono con me da sempre, per un’affinità non elettiva ma selettiva, della quale ancora oggi non mi do chiara spiegazione. Sono, come io stessa sono.

Non è un caso dunque se oggi parliamo di donne impegnate in ambito sacro, terapeutico, sacerdotale ripercorrendone velocemente la storia. Oggi parliamo di streghe cercando di comprendere chi siano, se siano mai realmente esistite e se calchino ancora questa terra.  Niente di nuovo, ma parlarne, parlare di streghe, non fa mai male. Aiuta a cambiare il punto di vista. A vedere le cose in maniera diversa, nuova, inaspettata. Aiuta le donne, aiuta gli uomini. Hai mai provato a guardare un fiore dal basso verso l’alto?

La storia della strega comincia pressappoco così: in un tempo ormai dimenticato un uomo si ammalò. Una donna, mossa da pietà decise di raccogliere le erbe che la Madre originaria le consigliava. Le somministrò al malato. Affidò le sue preghiere ai fumi sacri. In – Cantò per lui. Attese. Quando l’uomo guarì, la donna divenne strega.

Il mio concetto di strega è completamente svincolato da qualsivoglia accezione negativa preventiva: chi se le immagina vecchie, spaventose, puzzolenti, che rapiscono i bambini e rendono impotenti gli uomini, è fuori strada.

Chi non vuole cambiare punto di vista è fuori luogo (ha sbagliato articolo).

La strega non è necessariamente una creatura negativa, così come gli uomini (intesi come specie) non sono necessariamente creature positive: sono una miscela di entrambe le cose, sono caos, sono sorpresa.  

La strega è donna. Le streghe sono principalmente donne e questo non è un fatto banale. La donna possiede una dimestichezza spontanea e istintiva con la natura. Non credo che sia mai esistita una strega che non fosse medichessa, raccoglitrice, magari levatrice e che non abbia trasmesso in linea femminile i suoi saperi. In questo senso di cose appare chiaro che le donne siano nate per essere sacre. Ti sembra un’esagerazione? Allora risolviamo dicendo che le donne sono nate per averci a che fare con il sacro. La donna di sacro se ne intende, lo capisce spontaneamente, lo custodisce e quando necessario lo dispensa.

Se in un’antichità difficile da collocare cronologicamente l’attitudine al sacro e la familiarità con la natura della donna era accettato, auspicato, ammirato, invidiato (?) la storia in seguito ci ha fatto assistere ad una inarrestabile spirale che ha ingurgitato e degenerato, quasi annientato la reputazione culturale femminile, svilendola, cambiandone la natura. Si è creata un’opposizione piuttosto nota fra donna benefica, madre, moglie, santa e donna dannosa, tentatrice malefica, strega, del quale ancora oggi non ci siamo liberati. Perché? I motivi sono e culturalmente vari ed esiste una bibliografia solida e copiosa che ha indagato il problema. Credo che una risposta possa valere su tutte: potere e dominio.

Il ragionamento per opposizioni d’altronde ci appartiene: chi sa guarire sa ammalare, chi sa far nascere sa far morire, chi parla con il cielo parla anche con la terra. Quindi se una strega guarisce è ovvio che sappia far anche ammalare. Ma com’è che di un medico non si è mai detto questo?

Questo modo di intendere è chiaro anche livello popolare: pure le streghe sarde sono rispettate, cercate, ma temute. In molti, interrogati dalla santa Inquisizione confermano: “a loro non si nega niente”.

Etichettare come strega una persona significava metterla ai margini della società, renderla meno autoritaria, meno credibile.  Dire a una donna “sei una strega” si poteva tradurre in questo modo: non ti posso controllare per cui ti scredito. Come lo faccio? Ti metto un’etichetta: creatura pericolosa. Ti metto ai margini della società che io ho in mente. Ti privo di potere. E finalmente ti controllo (o ci provo).

La strega è herbaria. Lo abbiamo detto, le donne hanno un rapporto intimo e di fiducia con la natura: la ascoltano, la capiscono, la usano. Il ragionamento non può valere per tutte le donne, questo è chiaro, ma le erbe da sempre sono di nostra competenza. È con le società classiche che il sapere femminile inizia a diventare illegittimo, da nascondere. Ma l’archetipo della donna guaritrice sopravvive. Medea, Circe, Calipso ne sono esempi piuttosto noti. Sono solo il ricordo delle antiche dee guaritrici, ma sopravvivono. Streghe ma vive. Streghe e libere.

La strega appartiene a se stessa. La strega non è facilmente assoggettabile ai ruoli che la comunità propone alla donna. Cura anche quando le è vietato di farlo, prega le preghiere sbagliate, frequenta gli infrequentabili, ha alta consapevolezza di se stessa, può essere sola quindi senza uomo (con tutte le conseguenze di mancata prole e prolificazione), usa gli oggetti che non dovrebbe nemmeno toccare, custodisce un sapere da dimenticare. È ostinata.

Porsi in una posizione alternativa rispetto alla norma il più delle volte è sinonimo di libertà.  Le sacerdotesse erano per la maggiore vergini, da leggersi prive di rapporti amorosi duraturi che le vincolavano allo status di mogli (non sempre il più desiderabile – si veda lo status delle spose nella Grecia antica) o di madri.

L’essere vergini, nubili, è una ribellione, la stessa messa in atto dalle sante che ugualmente erano vergini, svincolate dagli uomini. Solo in quanto vergini hanno avuto accesso ad un potere di norma negato alle mogli e madri. Il caso di Ildegarda Von Birgen, uno fra tanti, può essere esemplificativo.

Le nostre janas, donne magiche spesso assimilate alle streghe sono birghines, vergini. Non sono assoggettate al potere di un uomo. Sono libere.

Mangiano i bambini? Rapiscono gli animali? Si trasformano in gatti neri? Volano in sella ad una scopa? Rendono sterili o impotenti gli uomini? No, ma secondo quanto comunemente si riteneva, potevano farlo. Erano libere no?

Le streghe sono tessitrici. E questo potrebbe sembrare un fatto di poca importanza ma in realtà ha una rilevanza capitale se si restituisce all’arte della tessitura il ruolo che ad origine doveva avere. Non arte di produzione, ma arte sacra, di creazione della vita e dei suoi intrecci. Moltissime delle donne accusate di stregoneria si guadagnavano da vivere tessendo: filava e tesseva veli anche Beatrice Mullanu (di cui parliamo giù), tessevano le antiche divinità mediterranee, tessevano le janas e tessendo non producevano, ma creavano. Cosa? Vita naturalmente.

Che piaccia o non piaccia, come racconta Erika Maderna nei suoi libri che ti consiglio di leggere tutti, nessuno escluso (ultimo per uscita Con grazia di tocco e di parola – Aboca), “la strega non è altro che una sacerdotessa dimenticata”, il cui prestigio sociale è stato buttato dentro un vortice che ne ha degradato lo status. Eppure, trascorsi millenni dal primo respiro della prima strega, le streghe, donne, guaritrici, herbarie, libere, pensatrici, tessitrici continuano ad esistere.

Il caso di Ildegarda Von Bingen (se te lo stai chiedendo si legge Binghen). Per spogliarci dell’idea molesta di strega che in molti ancora oggi possiedono sarà utile mostrare le cose da un altro punto di vista. Smettiamo per un attimo di parlare di streghe e parliamo di sante. Poi forse capiremo che si somigliano molto le streghe e le sante, ma questo verrà dopo.

Ildegarda Von Bingen nata in Germania nel XII secolo fu una figura di donna che non passò inosservata. La sua parola d’ordine era “discretio” – equilibro, senza eccessi, in armonia. Rivestirà il ruolo di badessa, posizione di grande potere religioso e politico. Conversò con Federico Barbarassa, fu botanica ed erborista, guaritrice misticaveggente, amante appassionata della natura, musicista (il mondo è stato creato dal verbo ed il verbo non è necessariamente parola ma sicuramente vibrazione), madre di una filosofia medica originale e di spessore, soggetta a visioni delle quali parla solo a 40 anni per quanto le facevano visita fin dalla sua più tenera età. Perché? Probabilmente perché Ildegarda Von Binghen conosceva la società nella quale viveva e sapeva che non sarebbe stato sicuro esporsi: il fraintendimento era dietro l’angolo.

A ottant’anni si oppose alla richiesta della cancelleria dei canonici di diseppellire un cadavere ed esporlo. Tenne testa a uomini importanti. In cambio il sul suo convento cadde l’interdetto. A lei e alle sue donne impediranno, fra le altre cose di cantare. Poco dopo morirà non prima d’aver detto che far uscire dai monasteri il canto è un buon modo per farvi entrare il demonio. Ma non è tutto.

Ildegarda spiegava la sua medicina come una sintonia fra componente fisica, psichica e spirituale in armonico senso di appartenenza all’ordine cosmico. La malattia in quest’ottica si genera dalla rottura di un equilibro e la causa va cercata nella psiche, nelle emozioni, nel malessere del vivere che consuma l’energia vitale.

Riteneva che la musica fosse fondamentale nella guarigione, e credeva che gli astri influenzassero le piante nelle diverse fasi vegetative.

Eliminava il male fisico non solo con cure erboristiche (molte delle quali incredibilmente valide ancora oggi), ma anche attraverso l’uso di gesti, cristalli, parole.

Segnava in croce le parti malate, usava acqua e gesto per medicarle, e consigliava la recita di sacre scritture, meglio ancora di formule. Insomma le sue guarigioni avevano sentore di antiche pratiche magico pagane, rivisitate in chiave cristiana.

Lo dico io o lo dici tu? Se Ildegarda Von Binghen non fosse diventata monaca sarebbe stata certamente strega e la sua storia sarebbe stata completamente diversa. E forse anche la nostra.

Ancora su suggestione di Erika Maderna: streghe e sante hanno molto in comune: entrambe hanno scelto di appartenere a se stesse, sono state

ostinate, entrambe nella libertà hanno trovato uno strumento di espressione o di sopravvivenza.

Le streghe in Sardegna (brevissima disanima). In Sardegna streghe ne abbiamo avuto e ne abbiamo tante.

La storia delle streghe sarde è antica come l’isola. Le streghe sarde erano in origine madri, guardiane, protettrici, espressione della divinità e la divinità in Sardegna è madre.

Di queste madri portiamo ancora il ricordo nel mito, nella lingua, nella leggenda. Forse non tutti ricordano la madre del sole (sa mama de su soli), la madre dell’acqua (sa mama de su potzu), la madre del vento (sa mama de su bentu), la madre del mare (sa mama de su mari), la madre del freddo (sa mama de su frius), la madre del grano (sa mama de su trigu) e pure la madre del sonno (sa mama de su sonnu), ma sono esistite e ancora esistono. Parlano del passato, mai realmente passato, animistico dell’Isola. E ancora oggi sono funzionali alla nostra modernità: innestano nel cuore di chi le conosce il sospetto che tutto debba essere rispettato perché tutto è vivo. Sospetto pericoloso non trovi? Che la natura sia altro: non solo materia, ma pure spirito. Che tutto possa essere messo in connessione sinusoidale in un alternarsi di natura – donna/uomo, donna/uomo – natura. E al mezzo benessere. Sacralità. Vita.

Il mito conserva una pesante impronta delle janas, un poco fate e un poco streghe, delle cogas, donne letali non per volontà propria ma per volontà divina, e delle bruxas che poco hanno a che fare con il mito e molto hanno a che fare con la realtà.

Beatrice Mullanu. Il caso di Beatrice Mullanu deve a Salvatore Loi la sua fama. È interessante perché restituisce fedelmente l’idea di quello che doveva essere la strega. A tale Mullanu nessuno l’aveva mai vista agire, ma tutti la sospettavano capace di tali azioni. Quali? Trasformarsi in corvo, uccidere i bambini, farli o meno attaccare al seno delle madri, farli o meno smettere di piangere, far cadere gli uomini nei fossi. Era povera, madretessitrice per necessità, aveva ricevuto il suo sapere da altre donne che lei diceva tutte morte (per proteggerle forse?), agiva perché il suo istinto di madre glielo imponeva nonostante sapesse di macchiarsi di disobbedienza, ed era accusata dagli altri per lo più per la cattiva fama della quale godeva. E in causa di quella cattiva fama, nessuno le negava niente, quando possibile. Perché quando le si negava qualcosa…

Alcuni dei fatti. 9 dicembre 1721 Ufficio dell’arcidiocesi di Cagliari Cosma Damiano Tronchi (curato di Quartu) inizia a prendere informazioni su Beatrice Mullanu, accusata di essere bruxa, fattucchiera e sortilega.

Giovanni Battista Ligas (notaio) aveva scritto di aver sentito dire da alcuni abitanti di Quartu che la Mullano aveva compiuto malefici contro essi: era  stata vista in forma di corvo nero volare sul tetto della casa parrocchiale, aveva impedito ad un neonato di succhiare il latte materno e che aveva ucciso bambini con arti malefiche.

Altra denuncia arriva dal quartiere di Marina a Cagliari: si riferivano episodi simili a quelli precedenti ma anche si diceva che in Quartu “è voce comune e fama pubblica che Beatrice Mullanu è donna cattiva e tutti la temano come strega”.

In nessuna denuncia si afferma di averla mai vista agire: tutti riferivano per sentito dire, in via ipotetica o per deduzione.

In tal senso da notare la testimonianza di Antioga Ragazu: racconta di un certo litigio avvenuto fra la Mullanu e il marito, Francesco Lay. L’uomo quella stessa sera era caduto in un fosso. Il giorno successivo la Ragazu aveva trovato in casa dei vestiti di un figlio bruciati ma senza che ci fosse stato fuoco. Per questo sospettava della Mullanu. Deduceva, vista la cattiva fama di cui godeva, che fosse lei la colpevole.

Maria Anna Loddy invece raccontò della morte di un neonato. Sospettava che la Mullanu, chiamata dai genitori, avesse fatto qualche stregoneria. Questo lo deduceva per via del fatto che tutti in paese sapevano che era bruxa e perché tutto il villaggio la temeva. Per questo tutti cercavano di accontentarla in quel che chiedeva.

Gavino Perra confessò di aver chiamato la Mullano per via del figlio neonato che non si attaccava al seno della mamma. La Mullano accettò l’incarico, ammise che avrebbe fatto tutto il possibile anche se la

situazione era drastica. Alla morte del bambino i coniugi sospettarono che la morte fosse da attribuire alla Mullano; tempo addietro lei aveva chiesto loro della legna senza riceverne. Quella era la sua vendetta.

Emblematico il fatto che venisse ritenuta “colpevole” anche delle guarigioni, che non avvenivano per meriti suoi, ma per intercessione del demonio.

Giugno 1723 Beatrice Mullanu viene arrestata e portata nelle carceri del Fossario.

Il 22 aprile 1724 la causa viene sospesa perché non esisteva sostanza sufficiente per le accuse. La sospensione non era un’assoluzione. Il processo rimaneva sempre aperto in attesa di nuove denunce.

E’ altamente probabile che la donna abbia continuato ad operare: per pietà, per necessità, per natura, per un innato quanto mai fastidioso istinto alla libertà e alla disubbidienza.

La conclusione migliore per questo articolo è l’invito a riflettere.

Il mio riflettere mi ha portato a scrivere questo: parlare di streghe non è una novità, ma fa sempre bene. Fa bene alle donne e fa bene agli uomini: parlatene con i vostri bambini, regalategli un’idea nuova di strega. E’ rilevante comprendere che spesso ci si trasforma in quello che gli altri pensano di noi, e che dunque si possa facilmente diventare streghe o sante in base al sistema sociale e di cose nel quale ci si trovi ad operare. E’ fondamentale comprendere che strega o santa sono etichette che spesso vengono offerte per limitare la libertà di una donna o di un uomo. E’ importante ricordare che il proprio centro è il sostanziale, tutto il resto è contorno. Siamo streghe se sentiamo d’esserlo, non perché qualcuno ce lo dice. E in questo stato di cose, chi non vorrebbe esserlo, strega intendo?

Ora c’è da chiedersi se sia auspicabile dare alla comunità il potere di decidere chi siamo o se, nel bene o nel male la risposta più desiderabile sia libertà di comportamento e di pensiero. Le streghe hanno scelto, le sante pure. Tu?

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