di GIOVANNA ELIES
Scrivere di Enzo Espa, delle sue collaborazioni, dei suoi testi, delle sue ricerche sembra quasi un dejà vu. Si tratta infatti di uno tra i più attivi scrittori e saggisti di Sardegna, di uno che ha sempre avuto e mostrato molta stima per gli altri, di uno che, alla bisogna, ha aperto i cancelli a molti studiosi senza mai pretendere nessuna paternità. Ciò nondimeno, come talvolta accade pareva proprio che il sunset boulvar avesse inghiottito le sue collaborazioni, le sue opere, le sue ricerche, la sua stessa persona. Cose di mondo, ma di un mondo cui l’appellativo “intellettuale” va decisamente stretto, se non fuorviante. Ma torniamo ad Enzo Espa, Collaboratore de La Nuova Sardegna, Docente di Lettere nella scuola Superiore, per qualche tempo Assistente di Altziator presso il Magistero di Sassari, Presidente della Dante Alighieri di Sassari, Ideatore e Collaboratore del Centro Culturale sardo di Biella, Storico dell’arte, Critico d’arte, Studioso della Cultura sarda, Amante della sardità, Componente di Giuria in diversi Premi letterari, tranne che nel Premio Deledda, nel quale preferirono Camilleri, ignorando –si pensa- tutte le malevoli critiche rivolte alla Deledda principalmente da Pirandello, Capuana e Verga ed infine Scrittore a tutto tondo. Ma non scrittore della “rapa e della fava” ossia narratore di personali miserie, di vite mortificate o spezzate, tanto meno di noir, di episodi inquietanti e meno che mai di eros. Scrittore, dunque, meglio ricercatore de “su connotu”, di tutto ciò che avrebbe potuto fare dell’isola ciò che Marcello Serra ha scritto: “Sardegna quasi un continente”. In effetti la Sardegna è davvero un continente ed Espa lo aveva capito da molto tempo. Spesso durante le lezioni del corso Magistrale riandava con la memoria a piccoli episodi popolari e già li capimmo che tutto il suo talento lo avrebbe usato non per riscrivere Dante, Montale Deledda e neppure per andar contro a Verga e Pirandello ma solo per raccogliere e tramandare quella infinita cultura popolare che, se pur cruda e tenace, lo affascinava. Ricordo che una volta, disquisendo su le vicende del Medioevo, in particolare su le forme matrimoniali, si fermò per raccontare un episodio singolare, accaduto a Nuoro, purtroppo non nel Medioevo ma in epoca recente. Seppur ormai nel Novecento, le condizioni dei pastori e dei servi pastori a Nuoro (come in tutta la Sardegna) non dovessero essere molto umane e quindi poco dissimili rispetto a quelle del Medioevo. Pastori e servi vivevano all’addiaccio, spostando continuamente il gregge per paura dei predatori. Il ritorno a casa non era certo usuale e forse neppure contemplato. Camminavano col gregge per giorni e giorni, solo eccezionalmente provvedevano a costruire una capanna di pietre e giunco. Per questo, in prossimità del matrimonio di uno di questi pastori o servi pastori, dalla famiglia della sposa venne dato ad un giovanetto il compito di cercare -per le campagne- il futuro sposo, un certo tziu Predu e di comunicargli che le nozze con la sua donna erano imminenti. Il giovane si mise in viaggio e man mano che si allontanava in aperta campagna gridava con quanto fiato aveva in corpo: O cuddu tziu Predu, benite a cojuare. Dopo un paio di giorni di cammino e voci, l’uomo rispose ed entrambi fecero ritorno a Nuoro. Erano gli anni Sessanta quando prof. Espa raccontò in classe questo episodio e già da allora si capi quali fossero le sue priorità. Amava in modo incondizionato tutto ciò che il popolo gestiva, nel bene e nel male, senza giudicare, senza sentirsi un privilegiato, senza cambiare o stravolgere alcunché di ciò che aveva registrato, mostrando un rispetto irripetibile per gli altri.. Con “ Su risu de sos muros betzos” Espa ritorna all’antica passione. Studioso e amante del Ferraro, pensava sempre di poter raccontare non solo le parole, le nenie, i canti e, le preghiere, le benedizioni della nostra cultura ma anche e soprattutto quell’universo sotterraneo in cui l’uomo si lascia trascinare dalla bestia e invoca, spesso in modo sotteso, tutti i mali fuoriusciti dal vaso di Pandora. Come uomo, se non ricordo male, non era per nulla coinvolto né da benedizioni né da maledizioni, ma era convinto che tutti gli episodi della vita popolare dovessero essere portati alla luce, in quanto frutto di esperienza e fors’anche di sofferenza. Dopo tanti anni, lo scrittore ritorna alla ribalta, fra i suoi lettori de La Nuova, tra il pubblico che lo ha sempre seguito, tra i suoi estimatoti. Un unico piccolo neo della pubblicazione: pochi i disegni di Efisio e mortificati dal bianco e nero.