di PAOLA CORREDDU – medico, STEFANO DELIPERI – ambientalista, SANDRO ROGGIO– urbanista, CLAUDIA ZUNCHEDDU– medico
A tutte le Istituzioni preposte a salvaguardare la nostra salute – nessuna esclusa.
Ci siamo illusi, come tanti altri Sardi che, per una volta, il nostro isolamento geografico avrebbe contribuito a salvarci dall’ingresso del COVID-19, o a mitigarne l’impatto, insieme alla bassa densità abitativa: 68 ab/kmq, sei volte meno di quella della Lombardia che tocca la vetta di 420 ab/kmq , densità ancor più elevata nella Città Metropolitana di Milano.
Il distanziamento sociale in Sardegna è nei caratteri dell’insediamento e pure nella condizione sociale, molti i vecchi e i poveri.
Speravamo che queste condizioni favorevoli – mentre imperversava l’epidemia in Cina e si riscontrava un primo focolaio anche in Italia, nella bassa lodigiana – ci avrebbero consentito di organizzare la nostra difesa, se solo fossero stati imposti controlli rigorosi circa l’osservanza delle prescrizioni, sempre più stringenti, contenute nei vari DPCM emessi dalla Presidenza del Consiglio.
Ma i decisori non sono stati all’altezza, tanto che porti e aeroporti sono rimasti aperti a flussi incontrollati di persone che, in spregio ai decreti governativi, ma anche al comune buon senso, non si sono fatte scrupolo di lasciare la propria Regione, sede di focolaio epidemico di coronavirus, per raggiungere la Sardegna in cui i casi accertati di infezione erano pochi e isolati.
In un momento come quello che stiamo vivendo, in cui si fa continuo appello al senso di responsabilità di ciascuno di noi per superare un’emergenza sanitaria strettamente legata ai comportamenti umani, abbiamo assistito alla presa d’assalto della nostra isola da parte di una nuova categoria di migranti, i migranti epidemici, ben più pericolosi degli innocui migranti economici in quanto portatori di malattia e, potenzialmente, di morte, vista la presenza di una elevata percentuale di over 70 nella popolazione sarda e la scarsa efficienza del nostro sistema sanitario regionale.
Delle 13 mila persone che si sono autodenunciate, certamente una parte avranno rispettato l’obbligo della quarantena domiciliare ma, ciascuno di noi, ha avuto esperienza di vedere residenti del nord Italia circolare liberamente per le strade, per i supermercati, per i negozi e i bar prima che questi venissero chiusi.
Le 2-300 mila “seconde case” si sono rivelate, ancora una volta, una maledizione per noi. La moltitudine di abitazioni sparse nelle riviere, oltre al danno ambientale, rischia di concorrere ad aprire un varco importante alla diffusione nell’isola della malattia.
Un’impennata nel contagio porterebbe al collasso l’insufficiente dotazione assistenziale sarda non solo ospedaliera, inadeguata pure per i pochi abitanti della Sardegna, dopo decenni di tagli e di sprechi.
Non si tratta dunque di non essere ospitali e solidali. Si tratta di essere realisti e consapevoli che, in caso di una diffusione del virus pari a quella vista in Lombardia, i posti letto di terapia intensiva attualmente disponibili, non sarebbero in grado di soddisfare neppure la richiesta dei residenti in Sardegna.
Considerato che i flussi non sarebbero nemmeno oggi del tutto interrotti, nonostante l’obbligo attuale di stare a casa, ci aspettiamo di essere rassicurati poichè si teme che i 13 mila autodenunciati finora siano solo una parte degli arrivati, e questo potrebbe essere un serio problema.
Per questo è urgente un adeguato censimento dei migranti epidemici, il controllo sui loro spostamenti per le ordinarie necessità e il blocco di nuovi ingressi. Questi dati sono fondamentali per l’organizzazione del Piano strategico per contrastare l’emergenza COVID-19 che sta per essere attuato dalla Regione Sardegna.
A chi fa appello al dovere della solidarietà – perché noi sardi siamo ospitali – diciamo che l’accoglienza è dovuta a chi scappa da guerre, calamità naturali e per fame. Siamo amici dei turisti, ma anche nel loro interesse siamo contro le violazioni con destrezza delle disposizioni e delle raccomandazioni dei medici. E diciamo anche che la solidarietà deve essere reciproca.