di LUCIA BECCHERE
«Era un uomo eccezionale che sapeva ascoltare tutti. In lui nessuna ambizione ma un profondo senso del dovere. Non era molto bello ma aveva fascino, a Pisa, dove aveva frequentato l’Università, qualche donna lo ricordava ancora dopo tanti anni. La domenica portava la famiglia al Monte e insieme si passeggiava attorno all’anello. Tutto era straordinario in lui».
Così Maria Mannironi, nata a Nuoro 83 anni fa, seconda di 7 figli – una sorellina era venuta a mancare molto presto e un fratello era rimasto vittima di un incidente a 27 anni –, ricorda il padre Salvatore. Nel 1929 Salvatore Mannironi aveva sposato la pronipote del Canonico Scano, Fannia Satta, che da Sassari era venuta a Nuoro per motivi di studio. «Erano una coppia bellissima – prosegue con commozione Maria –. Il loro è stato un grande amore, il più bello amore in assoluto. Uniti da un grande sentimento tenero e profondo, i nostri genitori erano per noi l’esempio più alto del grande amore».
Alla sua morte la moglie gli era sopravvissuta per 7 anni. Fra loro un enorme carteggio epistolare di 3.400 lettere: un’esplosione d’amore custodita gelosamente in un baule che a distanza di anni la famiglia ha sottratto all’oblio pubblicandone una piccola parte, le altre appartengono alla sfera intima della famiglia.
Cosa raccontava a voi figli? «Per i suoi numerosi impegni, a casa trascorreva poco tempo e quando era presente il cortile era sempre pieno di gente che voleva conferire con lui, sempre disponibile con tutti. Con noi viveva sua madre Mariantonia Lutzu Maccioni che era molto orgogliosa di questo figlio e lo raccontava spesso. Ha studiato al Convento Francescano dei Minori Osservanti, frequentava la classe successiva a quella di Salvatore Satta l’autore de Il giorno del giudizio di cui era grande amico. Per distinguerli tutti li chiamavano Bobore e Boboreddu».
Come viveva le sue responsabilità politiche? «Non raccontava niente, lavorava e basta. Ci teneva lontani da Nuoro durante le feste fasciste, con la sua macchina ci portava in campagna e poi andava su e giù per portare anche gli amici: Luigi Oggiano, Filippo Satta Galfrè e ovviamente Boboreddu, il suo amico più caro. Era un politico serio e rigoroso, amico di Andreotti con cui aveva lavorato per la Costituzione».
Si portava a casa delle amarezze? «No, sia lui che nostra madre non hanno mai esternato alcuna preoccupazione con noi figli, ne parlavano solo fra di loro tenendoci lontani da qualsiasi problema».
Il ricordo di una giornata trascorsa insieme? «In campagna a Sa Serra tutti insieme seduti per terra a consumare l’agnello che il pastore aveva arrostito per noi, con noi la nonna e anche le cugine di Sassari. La campagna di Sa Serra era molto bella, mio padre aveva fatto costruire accanto a quella del pastore due stanze solo per noi, era il nostro rifugio durante la guerra. Era il febbraio 1943. Mamma era rimasta a Nuoro perché mio padre era in carcere a Oristano, pare a causa di una lettera intercettata dai servizi segreti italiani, lettera che Dino Giacobbe avrebbe inviato a Emilio Lussu in cui diceva che qualora gli inglesi avessero mandato degli avamposti avrebbero potuto disporre dei poderi di Jacu Piu a Marreri di cui Salvatore Mannironi, convinto assertore dell’antifascismo, era proprietario».
Maria ricorda bene quel giorno quando, mentre giocava nel cortile di casa vide arrivare il direttore del carcere che era venuto a prendere suo padre per trarlo in arresto. Era un suo caro amico e piuttosto che rinchiuderlo in cella gli aveva messo a disposizione una stanza dell’alloggio a lui riservato e solo successivamente lo aveva tradotto in carcere. Tanta era la stima nei suoi confronti che tutti gli avvocati, perfino quelli fascisti, lo avevano accompagnato alla stazione mentre con le manette ai polsi stava per essere condotto al carcere di Oristano dove la moglie andava a trovarlo regolarmente. Faceva da loro tramite il cappellano del carcere che fungeva anche da intermediario per la consegna delle lettere. Da Oristano fu trasferito al “Buon Cammino” di Cagliari e a seguito del bombardamento del 28 febbraio, fu portato a Roma al carcere di “Regina Coeli” in attesa di essere rinchiuso nel campo di concentramento di Isernia da dove era riuscito a fuggire a seguito di un terribile bombarda- mento. Con lui c’era anche il fratello Cosimo, il vecchio mezzadro di Jacu Piu, il veterinario Ennio Delogu di Bitti reo di possedere un terreno vicino a quello dei Mannironi e poi anche i fratelli Ogno di Santa Lucia per aver condotto Giacobbe in Corsica. Tutti questi compagni di sventura, a turno, da Isernia fino a Brindisi si erano caricati sulle spalle il vecchio mezzadro rimasto ferito ad una gamba sotto le bombe. «Fatti raccontati nell’immediatezza da Cosimo e Salvatore alle rispettive mogli e subito rimossi per cui nessuno ne aveva più fatto cenno. Di questi fatti ne siamo venuti a conoscenza solo a traverso le lettere scritte dal carcere», racconta Maria.
Da Bari Salvatore Mannironi aveva raggiunto Brindisi col fratello Cosimo, poi con la complicità di un sardo era riuscito a prendere il primo aereo per la Sardegna costretto a lasciare il mezzadro in ospedale perché in precarie condizioni di salute. Nelle lettere che raccontano l’esperienza di Isernia e Brindisi si coglie tutta la tragicità del momento quando, senza soldi e scalzo ha dovuto oltrepassare la linea. Partito a febbraio aveva fatto ritorno a novembre a Nuoro dove fu accolto con una grande festa. Per un mese si era stabilito in campagna con la moglie, dando libero sfogo alle sue sofferenze lontano dai figli per poi blindare per sempre quella triste esperienza.
Come lo racconta ai suoi figli? «Dico che era un uomo onesto, che non aveva mai visto la politica come trampolino di lancio ma che amava lavorare solo per il bene comune in particolare per la Sardegna tutta e che alla sua morte ha lasciato un grande vuoto. Ai nipoti oggi dico che hanno avuto un grande nonno e che devono andare fieri della sua bontà d’animo e dell’amore che aveva per tutti noi».
per gentile concessione de https://www.ortobene.net/
Io sono stato sempre comunista, ieri nel PCI, poi in Democrazia Proletaria Sarda, oggi in Rifondazione comunista.
Questo per dire che ho sentito sempre parlare con rispetto di Mannironi, pur essendo stato un un’avversario politico.
Mi piace conoscere la storia politica, ed in particolare quella sarda.
Conoscendo e stimando il Prof. Carlo Felice Casula sono certo sia un’ottimo e bellissimo lavoro.
Un grande uomo, allora nel 1970 quando si era occupato della mia elezione al consiglio comunale non riuscivo a capacitarmi della umiltà, capacità di ascolto e coraggio.
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