di ANNA MARIA TURRA
Dolores Demurtas è una scultrice di primo piano. La terra è il suo elemento d’elezione, la lavora e ne parla con rispetto, la ritiene sovrana della vita, precisando che la sua appartenenza a questo elemento è devozione per la dimensione profonda del custodire e generare. «Ho usato quasi tutte le terre, tanti colori e tipi argille mischiate per ottenere effetti particolari: la terra di Sardegna è fatta di strati e ho sempre cercato di sperimentare tra le diverse gradazioni, guardando la terra si capisce quanto tempo ci mette la natura a creare.»
Nasce tra le argille a San Gavino nel 1935 ma è di origine ogliastrina, di Lanusei, dove ha vissuto a lungo con la famiglia sino a quando non si è stabilita ad Assemini e infine a Cagliari. Completamente autodidatta, fin da piccola inizia a modellare con le argille che trovava vicino casa. Cresce maturando una particolare esperienza scultorea, attenta ai dettagli, che trasferisce in pezzi di ritrattistica unici e vitali. Nel suo laboratorio storico, a Cagliari, ha sperimentato la lavorazione di diverse terre, prediligendo il caolino purissimo e la porcellana.
Inizia per gioco con opere che sono i pupazzetti e le biglie, in lingua sarda dette biriglie, a soli cinque anni, incurante dei rimproveri dei genitori, manipola e crea oggetti; le sue tasche sono sempre piene di terra. Come le bambine curiose e appassionate, anche oggi Dolores Demurtas parla di un’anima che ogni artista conserva, qualcosa di sacro come l’intangibilità del talento che chiede di essere curato, salvaguardato e protetto anche dalla comunità in cui si esprime. È come se sapesse precisamente, sfondata la soglia degli ottant’anni, come si maneggia ogni dono prezioso e più è fragile più lei sembra saperlo meglio. Nel 1960 riesce ad acquistare il primo forno elettrico e nel 1967 sposa il pittore e vignettista Aurelio Demontis con cui ha due figlie: Lavinia e Angela che, avvolte nella miriade di ispirazioni artistiche, nutriranno la loro predisposizione della spiccata libertà artistica di due genitori geniali. «Anche le mie bambine avevano sempre le mani sporche di terra – racconta Dolores Demurtas – ma io non le sgridavo, lasciavo che la mangiassero perché l’argilla ha poteri depurativi per l’organismo.»
Dolores Demurtas non parla quando discorre, ricorda mentre dice “non mi ricordo” e intanto lancia messaggi che sembrano arrivare dal futuro. Parla di lei stessa e di quella sua famiglia dalle mani intrise di argilla, sposta concetti antichi, indiscutibili; insomma per lei quello che noi oggi chiamiamo innovazione è sempre stato semplicemente il suo dovere, un lavoro serio condotto con la gioia di chi sale su una giostra luminosa e velocissima. Dolores è una madre senza paura, ha messo le sue bambine dentro i magici profondissimi spazi dell’arte e oggi Angela e Lavinia Demontis hanno una velocità pazzesca, sognano la sostenibilità di un mondo e ci lavorano sodo. Due artiste che pensano alla grande perché hanno imparato presto come rivolgersi al pianeta.
Nelle sue varie fasi artistiche Dolores ha posto particolare cura nello studio della colorazione, creando da sé gli smalti per le decorazioni, ricavandoli dai diversi minerali presenti in Sardegna. Cuocendo le opere nel suo primo forno a legna, ottiene degli effetti cromatici unici e spettacolari: i suoi oggetti d’arte sembrano usciti da un libro di fiabe.
Negli anni Cinquanta la fiera di Cagliari era molto frequentata ed era l’unica occasione di scambi tra arti sull’Isola, un posto di incontri cruciali e ricorda con emozione l’incontro col primo segretario dell’Onu, lo svedese Dag Hammarskjold, che nel ‘61 morì in un incidente aereo in Zambia. Poi in seguito al ritrovamento di prove, che hanno dato peso a quelli che per decenni sono rimasti solo sospetti, ecco aprirsi un’inchiesta. Come si riapre la ferita per Dolores Demurtas, Dag Hammarskjold può essere stato assassinato. L’ipotesi che lui costituisse una minaccia esterna viene ribadita, l’uccisione avviene proprio durante un momento chiave della storia africana, mentre imperversava quella lotta coloniale supportata dal Vecchio Continente, contro quella per l’indipendenza, per il continente africano che voleva essere Nuovo. Si commuove perché ancora una volta in una comunità che non sa prendersi cura di sé, tutti perdono, qualcuno l’anima e qualcuno la vita.
Parla di una Cagliari nel ‘58: lei è una giovane scultrice, durante la fiera dà dimostrazione di come a mano libera, cioè senza alcun attrezzo, costruisce i suoi capolavori scultorei. Lo mostra a personalità del mondo artistico e politico che, impressionate dalla portata di un simile lavoro, finiranno per coprirla di premi rendendola l’esponente di un artigianato simbolo dell’Isola.
Assenza di tornio e uso esclusivo della manualità sono gli elementi distintivi e di rottura con un’arte scultorea in cui vuoti e pieni si alternano in una successione non convenzionale. Una tecnica inventata e perfezionata in decenni d’esperienza che consiste nella creazione di solidi geometrici assemblati tra loro. Con una sfoglia tagliata a strisce crea diversi blocchi che poi vengono montati.
Nella sua produzione spiccano i grandi pezzi decorativi come il pannello di tre metri per quattro, denominato L’Inferno dantesco, esposto a Cagliari, l’altra sua opera nota come Fondale Marino si trova a Macomer e ha un’estensione di ben dieci metri quadrati, riporta ricci di mare appesi alle alghe tra colori dalle mirabili sfumature, famoso il suo Monumento ai Caduti di Sant’Antonio Ruinas, di 3 metri e mezzo d’altezza.
La preparazione dei pannelli è costituita da grosse sfoglie di argilla le quali creano un muro di base che nell’opera Fondale marino, per esempio, è di forma circolare. La lavorazione avviene a pannello appeso, l’artista sale su una scala e incomincia a modellare l’argilla componendo la scena e creando le diverse figure. Si dedica anche all’arte sacra producendo sontuosi rosari, grandi crocefissi e altre sculture religiose come la Madonnina di Marina Piccola a Cagliari che era posta nel porticciolo, ora sparita nell’ombra dell’oblio: non si sa esattamente dove sia stata collocata. Ma le statue maggiori, quelle di S.Ignazio da Laconi, S.Antonio e San Francesco, insieme a tante altre, verranno catalogate e ospitate nelle diverse chiese dell’Isola.
Dolores Demurtas passa attraverso una moltitudine di stili scultorei perfezionando il suo studio sulle superfici decorate. Ne nascono elementi naturali come fiori e foglie della vegetazione tipica sarda, in uno stile decorativo assolutamente originale, bianco su bianco, con i caratteristici piccoli frutti, le roselline e le foglie che riproducono il mirto nelle varie fasi di maturazione. I decori appaiono realistici e suggestivi come delicati pizzi, trasferiti su grandi brocche e vasellami di diverse dimensioni. La Brocca della sposa è il nome che viene attribuito a Firenze nel ‘59 a una sua opera a Palazzo Pitti, ed è l’iconico pezzo che spicca in una collezione identitaria tra scultore che si mostrano tradizionali e insieme particolari.
Nel 1985, su lettera invito dal Vaticano, viene
convocata all’incontro pubblico svoltosi a Cagliari nella scalinata di Bonaria
con Papa Giovanni Paolo II. Per l’occasione donerà al pontefice un prezioso
piatto in ceramica lavorato a bassorilievo, con le insegne papali, decorato con
smalti policromi, oro e platino.
Espone alla prima Mostra dell’Artigianato a Sassari nel 1956, per continuare
poi ad esporre alle successive Mostre Regionali e alle Biennali fino al 1962, e
dal 1984 fino agli anni 2000 ottenendo, oggi come allora, sempre un grande
successo. Partecipa alla Biennale di Venezia e
alle Triennali di Milano tra gli anni ’60 e ’70.
Negli anni ’80 insegna tecnica della ceramica nei corsi regionali di formazione
professionale e lavora per l’ente regionale ISOLA dalla sua creazione fino al
2008, partecipando a tutte le esposizioni nazionali e internazionali, l’ultima
nei celebri grandi magazzini Harrod’s a
Londra.
Le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private, del Museo della Ceramica di Caltagirone dove ci sono cinque pezzi riccamente lavorati, tra brocche e fiasche. Presente anche al museo di Ginevra e in numerosi altri musei nazionali e internazionali, nel 2015 un’anfora pregiata, pezzo unico, viene acquisita nella prestigiosa collezione Onick Spanu per il Magazzino Italian Art di New York accanto ad altre ceramiche.
Resta vedova a settant’anni, col marito ha condotto un’esistenza intensa tra personalità come Leonardo Sciascia e il poeta dialettale Ignazio Buttitta, tra mostre collettive che, tra gli anni Sessanta e Ottanta, sono la scena aperta di quell’arte che li vede fianco a fianco nelle gallerie e nelle sedi prestigiose di Cagliari. Ben presto la produzione si estende agli arredi interni, producendo lampadari ed accessori su richiesta dei committenti più vari. Sarà Putin, in occasione della sua visita da Berlusconi a Villa Certosa, ad acquistare una sua anfora esposta a Porto Cervo. «Ho lavorato sodo per il Giappone. Ricordo che la mia mostra allestita in Australia venne spostata a Singapore e infine a New York al palazzo dell’ICE, dove nell’85 ho partecipato a quello che chiamavano un processo di internazionalizzazione delle imprese all’estero. Ho incontrato grandi personalità da Segni a Berlinguer, ricordo tutto di un panorama politico tanto diverso da quello attuale ma per certi versi tanto simile – prosegue Dolores Demurtas – quando l’Aga Khan ha comprato le prime rocce e si parlava solo di lui, Nunzio Filogamo e Corrado Mantoni erano i primi presentatori, pionieri di una televisione che raggiunge proprio tutti, ed era arrivata anche a noi ma soprattutto ricordo con orgoglio quando a New York è una catena di grandi magazzini a volere in esclusiva, per produrre su vasta scala, la mia opera che rappresenta la peonia, il fiore tipico della Sardegna. Non se ne fece nulla, forse i tempi non erano maturi o chissà forse si era ancora in una Sardegna che doveva capire come diventare internazionale. Il mio primo presepe, prodotto in terra argillosa, lo ricordo bene: è stato comprato dalla Rinascente. È fantastico per me osservare come oggi la Costa Smeralda si stia muovendo tra il paradigma della crescita economica e la bellezza diffusa nell’intera Sardegna, è tanto rassicurante e brilla dello stesso fascino che quel tratto di costa ha sempre saputo come esercitare. Le cose autentiche restano.»