VIAGGIARE E VIVERE NEL MONDO, NONOSTANTE LA NOSTALGIA: CLAUDIA PITTAU, DA BARUMINI A DUBAI PER FAR CARRIERA NEL MANAGEMENT ALBERGHIERO

ph: Claudia Pittau

di LUIGI BARNABA FRIGOLI

Claudia Pittau è una delle tante ragazze sarde che hanno deciso di lasciare l’Isola e l’Italia per affermarsi all’estero. Una ex studentessa della cosiddetta Generazione Erasmus che, sin dai tempi della scuola e dell’università, ha sentito il richiamo del mondo, raccogliendo il coraggio a due mani per abbandonare la sua comfort zone, il “nido” rappresentato da famiglia e casa natale, per spiccare il volo oltre confine. Ne è valsa la pena? E quanto è stata dura? A raccontare la sua esperienza è lei stessa, nata a Cagliari 26 anni fa e vissuta a Barumini con la famiglia fino a 18. Oggi, dopo aver girovagato per l’Europa, vive a Dubai, dove lavora come guest service manager del Blu Media City, hotel da 246 stanze della catena Radisson, nel cuore della capitale degli Emirati Arabi.

Lavorare all’estero: una libera scelta o è stata in qualche modo costretta? “Ho una laurea in Lingue e Comunicazione, quindi la mia idea è sempre stata quella di vivere per qualche anno all’estero. A dire il vero, non ho mai lavorato in Italia; la mia carriera è iniziata a Londra ma è al liceo che ho capito che viaggiare e vivere in posti diversi era la mia vocazione”.

Esattamente, quando è arrivata questa “illuminazione”? “In quinta superiore. Andai con la scuola a Brighton per qualche tempo e vissi con una famiglia inglese. Quella fu la prima volta che uscii dalla mia comfort zone e anche se non ero in grado di spiccicare una parola in inglese, trovai l’esperienza molto arricchente. Dopo qualche anno, mentre ero all’Università, andai in Erasmus per sei mesi a Riga, in Lettonia. E quando rientrai a casa capii che avevo bisogno di nuove avventure, di conoscere cose nuove e sentirmi cittadina del mondo. Così decisi di candidarmi per l’Erasmus post-laurea”.

Come è iniziata la sua carriera nel mondo dell’ospitalità internazionale? “Dopo la laurea andai a Londra per il cosiddetto Erasmus Traineeship, un tirocinio post laurea in una scuola d’inglese. La mia idea era quella di stare solo tre mesi per poi rientrare in Italia e intraprendere la specialistica. Ero però incerta sul corso di studi , quindi decisi di stare a Londra per altri sei mesi e imparare bene l’inglese in quanto non lo parlavo né capivo alla perfezione. E in quel periodo è arrivata l’offerta che ha cambiato i miei piani…”.

Cosa è successo? “Ho trovato lavoro come receptionist in un albergo Hilton e da lì tutto è iniziato. Dopo qualche mese alla reception sono stata pian piano promossa, fino a diventare Guest Relations Executive. Dopo due anni mi sono spostata in un altro albergo della catena, dove sono ulteriormente cresciuta professionalmente. Dopo quattro anni e mezzo a Londra, però, ho deciso che era tempo di cambiare…”.

Quindi? “Quindi lo scorso agosto, dopo essere tornata in Sardegna per un po’, sono partita per Dubai, dove attualmente lavoro, al Radisson Blu Media City come Guest Service Manager. Un’offerta che non potevo rifiutare vista la rapida espansione della catena alberghiera in Medioriente. Insomma, Londra è stata il mio trampolino di lancio, un’esperienza unica che porterò sempre con me”.

Ha trovato difficoltà ad affermarsi in quanto donna? “In questi anni all’estero sono stata a contatto con numerose culture e devo essere sincera: sì, a volte il fatto di essere una donna mi ha creato difficoltà, in quanto in alcune parti del mondo c’è una concezione del ruolo della donna diversa dalla nostra. Ma ho imparato ad approcciarmi in maniera differente a seconda della cultura della persona che mi trovo di fronte. Nel mio ruolo di manager è una cosa spesso difficile e anche delicata, ma fa tutto parte dell’esperienza e della scoperta di nuove realtà”.

Come si vive a Dubai? “È un po’ presto per dirlo, visto che mi sono trasferita solo a settembre. Per ora mi piace molto. A differenza di ciò che molti pensano è molto occidentalizzata e, ovviamente, il clima e il mare fanno sicuramente la differenza. E io lo so bene, essendo una sarda che ha vissuto per più di quattro anni a Londra!”.

La difficoltà più grande che ha trovato finora da sarda e italiana all’estero? “Adattarmi al cibo. Ovunque vada, è raro trovare prodotti e piatti che siano saporiti quanto quelli di casa, specialmente quelli cucinati da mia mamma o la carne arrostita da mio papà”.

Per lavorare all’estero è essenziale conoscere le lingue o basta “cavarsela”? “Dipende dal lavoro che si vuole svolgere e dallo stile di vita che si vuole vivere. Quando iniziai a lavorare a Londra il mio inglese non era perfetto ma potevo comunicare e questo mi ha permesso di creare delle amicizie e dei legami eccezionali. Ma per affrontare una carriera nel management il livello dev’essere di gran lunga migliore e direi che sapere le lingue aiuta anche l’inserimento nel team e nella società. Se non si conosce la lingua è difficile socializzare e si rischia di non sfruttare a pieno le opportunità che si hanno davanti”.

Come siamo visti noi italiani all’estero? “Ci sono principalmente due correnti di pensiero. Ci sono coloro che pensano che l’Italia sia un paradiso, una nazione bellissima, ricca di storia e cultura. Gli stessi ritengono che gli italiani siano sempre allegri, gioiosi e calorosi. D’altro canto, ci sono coloro che vedono gli italiani come delle persone che non sanno rischiare, troppo attaccati a casa, mammoni e incapaci di cambiare la loro sorte”.

Qual è la cosa che le chiedono più spesso quando scoprono la sua nazionalità? “Una domanda che mi viene spesso posta, specialmente dagli ospiti dell’albergo, è: ‘Sei italiana, cosa ci fai qua?’. La mia risposta è sempre la stessa e dà un po’ il senso della mia scelta di partire…”.

Ovvero? “Ovvero che l’Italia è un Paese meraviglioso, vivo e ricco di storia, ma al momento non è pronto a offrire un futuro roseo ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Credo che la cosa migliore sia farsi le ossa professionalmente all’estero e poi, con un grande bagaglio di conoscenze e tanta esperienza, tornare a casa, questa volta per restare e contribuire all’arricchimento del proprio Paese”.

Qual è il suo obiettivo di carriera? “Mi piacerebbe dirigere un resort di lusso. E poi, perché no?, arrivare, dopo la dovuta esperienza, a prendere in carico un ruolo nella dirigenza di qualche catena alberghiera”.

Ci sono molte differenze tra l’ospitalità alberghiera italiana e quella estera? “Credo che la differenza principale è la possibilità di fare carriera. In Italia, o meglio in Sardegna, dove avevo mandato qualche curriculum, le posizioni manageriali sono raramente ricoperte da giovani. Per un giovane è molto difficile scalare i vertici della gerarchia poiché non c’è ricambio e possibilità di crescita. Questo purtroppo rende i giovani demotivati e fa morire l’ambizione sul posto di lavoro”.

E poi? “Un’altra differenza, e questa invece la dico da cliente, sono i servizi. Molto spesso il servizio offerto non è preciso e accurato, il cliente viene lasciato in balìa delle onde e non viene ‘coccolato’ come si dovrebbe. D’altro canto, penso che gli italiani, e specialmente i sardi, siano in generale portati per il lavoro nel settore alberghiero, abbiamo l’ospitalità nel sangue e il nostro carattere caloroso ci consente di far sentire il cliente o turista benvenuto”.

Secondo lei cosa manca all’offerta turistica sarda?

“Mancano alcuni servizi essenziali. Per esempio, senza noleggiare una macchina è molto difficile spostarsi e vedere attrattive turistiche importanti. Oppure, quando si paga il parcheggio nei parchimetri, la carta di credito non viene spesso accettata come metodo di pagamento, ma allo stesso tempo non c’è nessuna macchinetta per cambiare. Queste sono piccole cose che aiuterebbero l’esperienza del turista e soprattutto renderebbero la Sardegna accessibile a diversi tipi di clientela”.

Cosa consiglia ai giovani sardi che pensano di emigrare all’estero?

“Consiglio di rischiare, fare le valigie e partire, perché solo così si può imparare a conoscere sé stessi e il mondo. In tanti mi dicono che hanno paura di lasciare casa, parenti e amici, perché temono la solitudine e il rischio di non trovarsi bene. Invito questi giovani a porsi una domanda: qual è la cosa peggiore che potrebbe capitare? Se ciò che troverete non vi piace, potrete sempre tornare a casa. Io so per certo che la mia famiglia e i miei amici più cari saranno sempre là, nella mia isola, pronti ad accogliermi a braccia aperte, in qualsiasi momento io decida di tornare e questo pensiero è ciò che quotidianamente mi infonde coraggio”.

Le manca la Sardegna? “Sì, mi mancano la mia famiglia, i miei amici e i miei affetti. Mi mancano le cene coi parenti e le uscite con le mie amiche. Uscire di casa a piedi o in macchina e potermi fermare a parlare con chiunque, al supermercato, in banca, al bar o al tabacchino. Vengo da un paese molto piccolo, dove ci conosciamo tutti. La differenza tra Barumini, Londra e Dubai è abissale”.

Torna spesso a casa? “Da Londra tornavo spesso, almeno 4 o 5 volte all’anno, in estate. Da Dubai sarà indubbiamente più difficile per svariati motivi, ma tornerò tra qualche giorno a fine novembre e non sto nella pelle. Non c’è sensazione più bella dell’adrenalina e della felicità di quando mi sto sedendo in aereo e la destinazione del volo è Cagliari-Elmas”.

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