di ROBERTA CARBONI
A pochi chilometri da Nuoro sorge la frazione di Lollove, un piccolo borgo in pietra caratterizzato da casette basse inerpicate sul declivio di una collina, da cui si gode di uno stupendo panorama sulla vallata. Grazia Deledda scelse di ambientare qui il suo romanzo “La madre“.
Entrando nel borgo si avverte da subito un’aura di malinconia e mistero che il silenzio sembra rendere più densa man mano che si passeggia tra le ripide e strette viuzze in acciottolato che conducono alle poche case ancora intatte. Casette in pietra con tetti a spioventi coperti da tegole d’argilla, finestre incorniciate d’azzurro, qualche vaso di fiori, comignoli e forni a legna emergono da una vegetazione incolta e rigogliosa. Pochissimi anche gli abitanti, appena più di venti anime.
Gli anziani rimasti raccontano una leggenda legata ad un’antica maledizione: alcune monache francescane del monastero di Santa Maria Maddalena – oggi scomparso – furono accusate di intrattenere rapporti intimi con i pastori locali e per questo costrette ad abbandonare il villaggio. Ma la loro espulsione fu accompagnata da una dura maledizione che esse stesse scagliarono contro il paese e i suoi abitanti:
“Lollove, sarai come l’acqua di mare, non crescerai né mostrerai di crescere mai”
A quanto pare, col tempo la leggenda sembra essere divenuta realtà: il borgo è rimasto piccolissimo, pur resistendo alla scomparsa grazie alla volontà dei pochi abitanti, da sempre dediti all’ agricoltura e all’allevamento.
Una sorte analoga è toccata al borgo di Rebeccu, frazione del comune di Bonorva in provincia di Sassari, anch’esso condannato da una maledizione a non crescere mai di numero. Oggi totalmente disabitato, il borgo di Rebeccu sorse in epoca medievale e nel corso del XV secolo vide cominciare un inarrestabile declino dovuto a pestilenze e carestie generate, si dice, dalla “maledizione delle trenta case”. A scagliare l’anatema fu la principessa Donoria, figlia del re Beccu, da cui il nome del paese, che fu accusata di stregoneria e giustiziata. Colta dall’ira ella scagliò la maledizione secondo cui il paese non avrebbe mai superato le trenta abitazioni:
“Rebeccu, Rebecchei, da’e trinta domos non movei”
Sarà per le leggende e i racconti popolari che su di essi si tramandano, eppure questi borghi “fantasma” possiedono un fascino senza tempo.
Nel corso del XIX e XX secolo, il mistero di Lollove ha ispirato artisti e scrittori, tra cui Sebastiano Satta e, soprattutto, Grazia Deledda che nel 1920 lo scelse come ambientazione del suo romanzo “La madre”.
L’opera, che ha dato a sua volta ispirazione a film ed opere teatrali, è incentrata proprio sulla storia proibita tra un giovane prete, Paulo, e la bella Agnese, come a ribadire l’aura peccaminosa e oscura del borgo.
Comune a sé fino alla metà dell’Ottocento, oggi Lollove è l’unica frazione del capoluogo, pur distando da esso di circa 16 km. Negli anni Cinquanta del Novecento contava oltre 400 abitanti, ma oggi si anima soltanto nelle feste religiose: l’antica patrona santa Maria Maddalena (a fine luglio), l’attuale patrono san Biagio (a inizio febbraio), san Luigi dei Francesi (a fine agosto) e sant’Eufemia (a metà settembre). Anche a Novembre il borgo si accende, in occasione della rassegna Autunno in Barbagia dove, insieme alle pratiche e ai lavori artigianali, vengono mostrate le antiche case, che sembrano riprendere vita come nella sequenza di un film in bianco e nero.