di MASSIMILIANO PERLATO
La Sardegna è uno dei luoghi del Mediterraneo più originali e complessi sia geograficamente che da un punto di vista storico e culturale. Grembo di un’antica civiltà che l’isolamento ed il tempo hanno frantumato e disperso in mille cantoni mai ricondotti a unità, ha da sempre costituito terra di scontri ma anche di incastri fecondi: un lembo tutto speciale tra le molte civiltà del Mediterraneo. Crocevia di popoli e di culture, per la sua straordinaria posizione geografica, vantava già in età classica prestigiosi porti e approdi: Caralis, Nora, Sulci, Tharros, Olbia. A ritroso nel tempo la Sardegna è stata piemontese, austriaca, spagnola, catalana e, prima ancora, egemonizzata qua e là da pisani e genovesi, bizantini, goti, vandali, romani e fenicio-punici.
Una stratificazione di civiltà difficilmente riscontrabile altrove, ma anche una sequenza impressionante di colonizzazioni subìte e metabolizzate che avrebbero distrutto in chiunque il senso della propria identità. Tutti hanno lasciato qualcosa a loro ricordo nella lingua, nella cultura e nel carattere della gente. La lingua esprime, con prorompente vitalità, il lungo cammino dei sardi, le origini e le diverse contaminazioni. La cucina locale richiama irresistibilmente la Spagna con i piatti tradizionali di legumi: ceci, fagioli, lenticchie, fave secche condite con olio crudo. Quattro secoli di fedeltà alla Spagna, risentita ma onesta, hanno lasciato (nella fisionomia storica, nella parlata, nei comportamenti quotidiani e nell’atmosfera complessiva della Sardegna) un segno leggero ma inconfondibile che ricorda la civiltà iberica. Terra a lungo infestata da pirati, oggetto di continue occupazioni e baratti di dominio che hanno dato vita ad incroci di etnie che si sono via via innestate su un “fondo” autoctono, occulto e misterioso. Una piccola nazione incompiuta perché aperta, troppo aperta, all’influsso di stirpi opposte, di genti e culture diverse, spesso contrastanti e ostili tra loro. Più di 5mila anni di storia, di cultura e di tradizioni da scoprire che hanno determinato una stratificazione di civiltà difficilmente riscontrabile altrove.
Un’isola ricca di bellezza che affascina il visitatore sin dal primo incontro. L’isolamento della Sardegna ha accentuato nel mistero quei tratti di complessità e di unicità che da sempre le sono stati peculiari. Esso suscita sentimenti contrastanti: da un lato costituisce fonte di vantaggi non trascurabili in termini di salvaguardia degli equilibri naturali e di quieto vivere, ma presenta anche diseconomie e svantaggi non meno trascurabili. Non a caso per l’isolamento i sardi un po’ s’inorgogliscono e un po’ si rattristano. Per i forestieri il primo impatto con l’isola è dato dal paesaggio costiero, straordinariamente bello e ricco di biodiversità. Le spiagge del sud richiamano la profondità ed il fascino luminoso di certi paesaggi africani. La costa, da Santa Margherita di Pula a Capo Teulada, è tutto un susseguirsi di insenature dolcissime con spiagge quasi desertiche che abbracciano un mare smeraldino: Chia, Capo Malfatano, Capo Spartivento, Tuerredda. Nella parte nord-occidentale, da Alghero a Bosa, il mare assume un colore blu, diviene inaccessibile e sembra immenso, quasi violento. Dalle alte falesie di Capo Caccia si scorge la linea rocciosa di coste sottolineata dalla schiuma bianca e si rimane quasi assordati dalle grida dei gabbiani che sembrano lanciarsi a precipizio sul mare. Il litorale è inasprito da punte e da speroni, battuti dal vento, che contorce gli alberi e la macchia della riviera e modella il folto groviglio di selve che trabocca sino al litorale. Poi, dopo aver percorso chilometri di rocce lavorate dal vento, nella fascia costiera dell’Oristanese il paesaggio si trasforma: si fa piatto e si sviluppano chilometri di spiagge alternati a tratti rocciosi circondati dalla macchia mediterranea e da stagni salmastri, dorati e pescosi, con la bassa vegetazione piegata dal vento. La costa occidentale, da Masua al Capo Frasca, è generalmente alta, pericolosa, anche se le scogliere sono spesso intervallate da spiagge stupende dalle sabbie incastonate tra gli speroni di roccia e le estreme propaggini dei villaggi minerari dimessi del Sulcis-Iglesiente. Il paesaggio che si presenta è tra i più desolati della Sardegna, ma anche tra quelli maggiormente suggestivi. Su questo versante il punto più imprevedibile è Piscinas, una formazione dunale tra Buggerru e la Marina di Arbus. Per coloro che vogliono dedicarsi all’archeologia è possibile visitare il “Tempio di Antas”, il “villaggio nuragico di Seruci” o le vestigie romane dell’antica “Sulci”, nei pressi di Sant’Antioco. La costa orientale, da Barisardo a Orosei, presenta invece lunghe spiagge bianche dalla sabbia incontaminata, calette nascoste, rocce a strapiombo che formano insenature profonde in alcuni punti inaccessibili da terra, con un mare cristallino. Risalendo verso l’interno (dopo aver attraversato contrade silenziose dominate dalla flora mediterranea, ricca di esemplari rari e profumati), s’incontrano le montagne selvagge dalle cime impervie con i piccoli caratteristici paesi che si spingono sino ai contrafforti più inaccessibili. Infine la parte nord: Santa Teresa di Gallura, Palau e la Costa Smeralda. La costa appare come una fotocopia dei fiordi scandinavi, ma tutto è luminoso e bruciato dal sole: è il regno dei vip. Ma vi sono anche alcune note di particolare interesse culturale: a iniziare dall’arcipelago di La Maddalena (esilio di Giuseppe Garibaldi) per giungere, dopo aver percorso la Costa Paradiso, a Castelsardo, antica rocca genovese che conserva ancora, nella parte vecchia intorno alle fortificazioni sul mare, le caratteristiche strutture della cittadella marinara eretta dai Doria nel 1162. Il centro si sviluppa lungo le pendici di un colle dominato dall’imponente castello; nel periodo pasquale in questa contrada si svolge la processione di Lunissanti, risalente alla dominazione spagnola: una lunga teoria di penitenti incappucciati sfila, illuminata solo dalla fioca luce delle torce, per giungere alla Cattedrale e rendere omaggio al simulacro del Cristo.
Le trasparenze assolute, l’intensità dei colori, la varietà estrema delle coste e dei paesaggi, i profumi della macchia mediterranea e la dolcezza del clima: è il prodigioso concorso di tutti questi elementi che rende unico e ineguagliabile il mare della Sardegna. Tutto questo, tanta ricchezza in un litorale di 1.850 chilometri. Le coste della Sardegna, elemento determinante del paesaggio, ma anche, come accade per qualsiasi isola, della civiltà degli abitanti, che hanno avuto nel passato ruoli di volta in volta diversi e finanche opposti nei rapporti tra di loro e con quelle esterne. Pare proprio che il primo popolamento dell’isola sia avvenuto dal mare e si sia quindi stabilizzato lungo alcuni tratti del litorale: lo dimostrano tra l’altro i resti di numerosi nuraghi. I protosardi avevano confidato con l’elemento marino e praticavano la navigazione: è anche grazie a questa loro abilità che l’ossidiana, la preziosa pietra del Monte Arci, fu esportata in tante parti del Mediterraneo. Fu così che le genti dell’isola entrarono pacificamente in contatto con i Fenici e popolarono con loro le prime città, edificate tutte a strettissimo contatto con il mare: Tharros, Nora, Caralis e altre minori; la scelta fu confermata poi nel lungo periodo della dominazione romana, durante il quale altri centri di riviera accrebbero la loro importanza, in particolare Olbia e Turris Libisonis, l’attuale Porto Torres.
Con la caduta dell’impero romano venne a mancare il controllo sul Mediterraneo e iniziò per la Sardegna una serie di invasioni e di incursioni, che finirono per ridurre al minimo gli insediamenti sulle coste. Il timore delle razzie insieme a quello della malaria, diffusa negli stagni lungo le coste, indusse i sardi a ritirarsi verso l’interno e a costruire nuovi villaggi sulle pendici delle colline e delle montagne; ne fece un popolo dedito quasi esclusivamente alla pastorizia e all’agricoltura, diffidente delle acque che pure continuavano a lambire la sua terra in una teoria di anfratti, spiagge, golfi e promontori di straordinaria varietà e bellezza. L’inversione di tendenza si è fatta finalmente strada nel dopoguerra, a partire dagli anni Cinquanta. Hanno contribuito il successo della lotta contro la malaria e il crescere dei flussi turistici, che si sono indirizzati quasi esclusivamente verso la costa. È iniziato così un lungo processo che ha indotto anche i sardi a riprendere confidenza con l’elemento marino. La fascia litoranea conosce così un nuovo fervore di vita e di iniziative, legate in larga parte al mondo delle vacanze. Si costruiscono strade, case, ponti e altre strutture, che nell’insieme, a parte qualche caso di sovraffollamento estivo che anche in Sardegna comincia a verificarsi, contribuiscono a facilitare i movimenti per terra e per mare di chi vuole visitare le coste.
Bell’articolo, complimenti!