Piccolo centro agro-pastorale del Nuorese, Belvì vanta un importante passato commerciale ed economico, tanto che l’area in cui sorge prende, appunto, la denominazione di Barbagia di Belvì. Arroccato sul monte “Genna de Crobu”, questo paesino si adagia su un particolarissimo territorio, caratterizzato da declivi montani, sempre diversi. Qui la natura è maestosa, e generosa si concede al viandante, mostrandogli paesaggi straordinari: tra scenografici tacchi calcarei e le pendici del Gennargentu, questa località è immersa nel verde dei boschi di secolari castagni, ciliegi e noccioli, ma anche di lecci e rovelle e, ancora, di ulivi e ginepri, che crescono nelle aree rocciose. Belvì è famoso proprio per l’immenso patrimonio naturalistico che conserva, per quelle foreste così fitte e misteriose, da sempre muse ispiratrici di racconti fantastici. Oltre alle janas, si narra che in questi boschi avrebbe trovato rifugio anche un’altra creatura leggendaria, il “Maschinganna”, un demone burlone e dispettoso, dalle sembianze a volte umane e a volte animali, che ama spaventare specialmente chi possiede un’indole cattiva, con voci, suoni, maledizioni, ma anche luci e fiammelle. Al di là dei racconti leggendari e della scenografica natura, vero e indiscusso simbolo di Belvì sono i delicatissimi dolci chiamati “Caschettes”, prodotto tipico ed esclusivo dell’antica tradizione dolciaria locale. Queste squisite creazioni hanno origini remote e risalgono al ’600, quando si preparavano solo per particolari occasioni, quali feste religiose e, specialmente, matrimoni. Realizzati con un sottilissimo e trasparente guscio di pasta “violada”, farcito con nocciole e miele e aromatizzato con scorza d’arancia, i “Caschettes” sono anche conosciuti come “dolci della sposa” e rappresentano una vera e propria ricchezza gastronomica, tesoro di un’arte secolare che si tramanda di generazione in generazione. Belvì, però, è anche un importante centro artigianale della Sardegna: mani preziose, quelle belviesi, capaci di intagliare il legno e tramutarlo in una vera e propria opera d’arte. Il castagno così trasformato è una trama ricorrente del centro abitato e del piccolo museo all’aperto di Arte Contemporanea, allestito nel parco comunale, dove si trovano numerose sculture lignee. In questo centro della Barbagia è presente, inoltre, il museo di Scienze Naturali: un’interessante e ricca esposizione di minerali fossili e della fauna isolana, che nacque negli anni ’80 del secolo scorso, su iniziativa di un gruppo di appassionati, guidati dal noto studioso Friedrich Reichsgraf von Hartig.
Maestosa natura, creature fantastiche, peculiare arte dolciaria e artigianale: ecco perché avventurarsi in questo paesino, il cui nome è come le sue foreste, affascinate e misterioso. Secondo alcuni studiosi, Belvì – in sardo Brevì – potrebbe derivare dall’appellativo latino “Belui” o “Belue” con il significato di “belve”, per indicare l’indole dei popoli barbaricini che, spesso, cedevano a scorrerie, rifiutando la “Civitas” imposta dai conquistatori Romani. Per altri, invece, potrebbe derivare dalla parola fenicia “Bela”, ossia “terrore”, oppure dal termine sardo “Brevèi” che significa “pecora”.
Sebbene il toponimo del paese presenti ancora origini oscure, è certo che il passato di Belvì sia molto antico e affondi le sue radici nella preistoria: le prime orme dell’uomo nel territorio belviese risalgono, infatti, al Neolitico medio (4000 – 3400 a. C.) e si rilevano in una grotta posta sul tacco calcareo di “Pitzu de Pranu”, nota come “Perda Dudda”, dove sono stati rinvenuti vari reperti, tra cui pezzi di bronzo e un forno, probabilmente usato per forgiare le armi. Al Neolitico recente, invece, risalgono le domus de janas sparse nell’area circostante l’abitato, tra cui quelle di “Nadalia” e di “Lagosu”. Le prime notizie certe sull’esistenza del paese ci giungono, però, dall’epoca medievale, quando Belvì apparteneva al Giudicato di Arborea ed era inserito nell’omonima curatoria. Questo centro è stato uno dei paesi barbaricini che meno hanno subito l’egemonia feudale. Perfino durante il dominio catalano – aragonese, i feudatari rinunciarono ad un controllo diretto sul centro e, a causa dei numerosi scontri, Belvì fu inserito nel patrimonio regio e fu amministrato da un ufficiale locale, scelto tra i rappresentanti del popolo. L’esperienza feudale di Belvì si concluse definitivamente nel 1838, con il riscatto del feudo da parte degli abitanti. Il XIX secolo regalò al centro un notevole benessere, in virtù della costruzione della rete ferroviaria isolana: tra il 1888 e il 1890, nei pressi dell’abitato, fu edificata “S’Arcu”, la più lunga galleria ferroviaria della Sardegna, e ciò portò ad una crescita esponenziale del commercio locale. Oltre alla vendita di castagne, nocciole e noci, Belvì era noto anche per la produzione di laterizi: ancora oggi, questa attività è testimoniata dalla presenza di antichi forni, impiegati per la produzione di mattoni e tegole, poi commercializzati in diversi paesi dell’Isola.
In virtù delle sue peculiarità, tra siti archeologici e naturalistici, le attrazioni di Belvì sono variegate. Per un viaggio nella storia più remota del paese, non può mancare una visita alla già citata grotta “Perda Dudda”, inserita nel suggestivo scenario di “Pitzu de Pranu”, dove, se sarete fortunati, potrete anche scorgere una bella fanciulla, intenta a creare tessuti d’oro, che proprio qui dimora, o almeno così narra la leggenda. Meritano certamente di essere ammirate le numerose domus de janas presenti nel territorio, tra cui quella di “Antonitzò”, posizionata su un’aspra collina, e quella di “Nadalia”, tra le più spettacolari. Interessante è anche il centro storico del paese che, nelle sue abitazioni, esprime la tipica architettura barbaricina: costruite in conci di pietra a più piani e caratterizzate da balconi in legno, le piccole dimore si affacciano su un intricato percorso di ripide stradine. Rimanendo nell’abitato è possibile, inoltre, visitare differenti luoghi di culto, tra cui spicca la parrocchiale dedicata a Sant’Agostino, patrono del paese: eretta nel Cinquecento, la chiesa presenta un campanile sormontato da una graziosa cupoletta maiolicata e custodisce, al suo interno, due altari lignei del XIX secolo. Tra gli altri edifici sacri sparsi nel territorio, degne di nota sono, poi, la chiesetta campestre di San Sebastiano e quella di Santa Margherita, ricostruita al principio del ’900 sulle rovine della prima parrocchiale che, secondo la tradizione popolare, faceva parte del nucleo originario del paese, un tempo collocato nella vallata di “S’Iscara”. Tappa obbligata è, infine, il già citato museo di Scienze Naturali: articolato in diverse sezioni, tra cui quelle mineralogica, paleontologica ed entomologica, pezzo forte del museo sono la collezione di rapaci diurni e notturni, con specie rarissime e, oltre agli splendidi esemplari di farfalle esotiche, i resti del “Prolagus Sardus”.
Ricchezza di Belvì è, come detto, il suo straordinario patrimonio naturalistico. Famoso per i suoi boschi di castagno, di nocciolo e di noce, quale l’esemplare ultrasecolare “Sa nuje de tziu Pili”, ma anche di ciliegio e corbezzolo, custoditi in località “Sa Tanca”, qui, oltre al leggendario “Maschinganna”, trovano rifugio anche il picchio, il verdone, il colombaccio e l’astore. A Belvì, oltre allo scenografico tacco calcareo di “Pitzu de Pranu”, pregiate sono, poi, le valli circostanti, ammantate da una florida vegetazione e dalle colture di alberi da frutto: incantevole è la valle di “S’iscara”, dove scorreva l’omonimo fiume, così come il pianoro attraversato dal fiume Occile, al confine con Desulo. Belvì, infine, condivide con Sorgono e Tonara, la straordinaria foresta di Uatzo, tra le maggiori attrazioni naturalistiche dell’area, un’ideale località per indimenticabili escursioni, tra boschi, torrenti e i magnifici voli dell’aquila e del falco. Questi affascinanti paesaggi possono essere ammirati anche attraverso il viaggio del Trenino verde, che fa tappa proprio nella stazione del paese.
Avventurarsi a Belvì significa anche gustare i sapori locali della tradizione barbaricina. Oltre ai raffinati “caschettes”, potrete assaporare le deliziose castagne arrosto e “Is brentigheddas”, un piatto tipico preparato con lo stomaco di agnello. In relazione all’artigianato, insieme all’intaglio del legno, fiore all’occhiello del paese è anche la lavorazione del ferro battuto, ma non mancano altre attività artigianali, quali la tessitura, il ricamo e la lavorazione della ceramica. La comunità belviese, inoltre, è scrigno di tradizioni antiche, legate soprattutto all’infanzia di un tempo: giochi del passato che dilettavano i bambini di una volta, come “Su giogu de su cignedhu” (il gioco del cinto) e “Sa Bardùfula”, animeranno il paese proprio in occasione di Autunno in Barbagia.