di SERGIO PORTAS
La libreria “Il Mio Libro” di via Sannio a Milano confina con “Le vent du nord”, una “brasserie”, una birreria belga con cucina, la domenica dalle 17,30 alle 19, 30 una birra alla spina e un cono di patatine fritte per solo 5 euro , oggi però è martedì e Piergiorgio Pulixi, il cagliaritano scrittore di “noir”, è qui per presentare la sua ultima fatica libraria: “L’isola delle anime”, uscito per Rizzoli. Tocca essere un po’ globe-trotter agli autori di oggi, dice Pulixi che per il suo penultimo (Lo stupore della notte, sempre Rizzoli) l’anno scorso gli sono toccati 125 “incontri coi lettori”. Molti di questi anche in Sardegna, tanto che ne ha approfittato, lui che è “casteddaiu Doc”, per far sua una moltitudine di realtà diverse dell’isola-continente che pure gli ha dato i natali, cosa poi che gli ha permesso di ambientare con una certa sicurezza la storia “nera” che narra in questo libro, l’isola delle anime di cui si parla e che la fa da protagonista, non varrebbe nemmeno specificarlo, è la Sardegna. “E’ dal 2008 che non osavo più scriverne, da quel “Perdas de Fogu” che pure ho firmato con Massimo Carlotto (Piergiorgio era nascosto insieme ad altri nove scrittori nella sigla “Mama Sabot”, co-firmataria del libro), ora che sono fisso in continente e mi è venuto lo “sguardo dell’esule”, vedo la mia isola con occhi diversi, e sempre con molta nostalgia”. La giovane giornalista che lo scorta in questa sua esibizione letteraria si lancia nel dichiarare che, nel romanzo, la descrizione della complicità femminile è particolarmente riuscita: “Sembra scritto da una donna”. Protagoniste del libro sono due “sbirre”, una viene da Milano e, come accadeva una volta per i funzionari pubblici che avessero sgarrato nel loro lavoro, viene sbattuta in Sardegna, dove le accadrà di accorgersi, con una certa sorpresa, quanto possa essere piacevole vivere nella Cagliari di oggi. “Fu camminando a piedi nudi lungo la spiaggia del Poetto che Eva Croce scoprì che Cagliari possedeva due mari. Il primo lo aveva davanti a sé: era una infinita distesa d’acqua, mansueta per essere un giorno di fine ottobre. Il secondo aveva una liquidità nettamente diversa: era un mare di luce. Una luminosità morbida, di una dolcezza materna, che si riversava impetuosa per tutta la città, scorrendo fin nei suoi più reconditi anfratti…” (pag.58). L’altra è cagliaritana pura: Mara Rais: “Era bionda, di media altezza e aveva gli occhi celesti…” Sei l’unica “macca” a piedi a mollo con questo cazzo di freddo, disse riportando gli occhi sulla collega. Freddo? Ci saranno diciotto gradi. Appunto! Esci, dài, che mi stai facendo venire la pelle d’oca…”(pag.59). Molte le pagine del libro che si reggono su questi scambi di parole e di culture. E per quanto riguarda la scelta di privilegiare un punto di vista femminile, essa è fortemente voluta. In un’intervista rilasciata a “ThrillerNord” (thrillernord.it) Pulixi ribadisce che: “ E’ un periodo storico strano, in cui la donna è sotto attacco (pensiamo ai femminicidi) forse proprio perché veicolo di mutamenti sociali ed emancipazione; e queste metamorfosi sociali-al netto delle idee politiche di chi scrive e legge-sono innescate quasi sempre da donne: la Ocasio Cortez negli USA, la Greta Thumberg a livello ambientale, la capitana Carola Rackete a livello di rivalsa sociale, insomma: sono quasi sempre le donne a farsi catalizzatori dei più importanti movimenti sociali. Mi sembrava importante raccontare tutto questo anche in un ambito prettamente poliziesco”. Qui continua: “Benché fossi molto ritroso a scrivere dell’isola, in questo mio lavoro ci sono dodici mesi di ricerca, e sei di scrittura vera e propria. Con un’attenzione particolare al ritmo di lettura, con capitoli brevi e serrati. La coppia di “sbirre” che fa scintille e squadra. In un contesto di pozzi sacri, maschere di Ottana, e ragazze che vengono ritrovate nude e sgozzate. In un entroterra sardo molto misterioso. L’ho riletto settantadue volte prima di darlo alle stampe”. “E’ anche una storia di trasformazione, interloquisce la giornalista, un viaggio emozionale. Lo si può definire come romanzo polifonico, difficile da abbandonare una volta iniziato a leggere”. “Non ho sacrificato nessun personaggio, neppure i minori, la prima scrittura l’ho “cannata” (questo è un lombardismo: dal verbo cannare: sbagliare completamente) specie nella commistione con il dialetto e mi sono dovuto accorgere che non è così semplice raccontare la propria terra”. Sempre da “ThrillerNord”: “Per la prima volta ho utilizzato il dialetto. Con grande parsimonia, devo specificare. Il dialetto può essere un dono o una condanna. Nel mio caso, poi, si tratta di una lingua a tutti gli effetti, con innumerevoli varianti. Ho pensato che lasciare alcune parole nei dialoghi aiutasse a caratterizzare meglio i personaggi; per quanto riguarda le altre parole presenti in “limba” nel testo, pensavo che potessero restituire al lettore la carnalità, il peso di questa lingua così particolare, che pare quasi mutuata dall’ambiente in cui è nata: un ambiente aspro, crudo e primevo. Il sardo riesce a suscitare queste sensazioni. E’ una lingua che parla direttamente alle viscere”. Il ritmo degli avvenimenti e dei luoghi che li contengono è quasi frenetico: per darvi un esempio, da pag.74 a 103 Pulixi riesce a racchiudere sette capitoli: titolandoli in ordine cronologico: Piazza della Repubblica, tribunale di Cagliari (cap.18); Vigne dei Ladu, Barbagia superiore (cap.19); Entroterra sardo (cap.20); Valle delle anime, Barbagia superiore (cap.21); Baia di Mari Pintau, Geremeas, Quartu Sant’Elena (cap.22); Colline di Capitana, Quartu Sant’Elena (cap.23); Commissariato di pubblica sicurezza, Carbonia, Sardegna meridionale (cap.24); Località Capitana, Quartu Sant’Elena (cap.25). Ha ragione quando definisce il romanzo “on the road” (sulla strada, ndr.). Il paesino che ha immaginato per i Ladu (mi hanno fatto male, dirà di questi suoi personaggi) conta non più di cento anime, una comunità agro-pastorale in cui si vive come un secolo fa. Tutti molto legati alla terra. Persone che non hanno mai visto il mare. “Gente mala”. Con un codice d’onore che ricalca quello mirabilmente descritto da Antonio Pigliaru, il giurista, filosofo, educatore di Orune. Più bravo comunque a caratterizzare i sardi del sud-Sardegna, Pulixi. Quelli del capo di sopra li ho trovati un po’ troppo stereotipizzati. E la “sua” Sardegna come ne esce? Diciamo che è più raccontata nei caratteri dei vari personaggi che si dipanano fra le pagine, anche se non mancano spazi lirici di descrizione del paesaggio che rimangono impressi: Sentite come suona il santuario nuragico di Serri: “Immerso nella natura, il santuario sorgeva per tre ettari e mezzo sulla Giara di Serri, che dominava l’intera vallata a quasi settecento metri sul livello del mare. Dall’alto del promontorio basaltico, volgendo lo sguardo sulla vallata e sulle pianure sottostanti, si potevano abbracciare con gli occhi i territori campestri del Sarcidano, della Trexenta e della Marmilla, in un panorama che, nonostante Billo lo conoscesse a menadito, continuava a mozzargli il fiato. Quel giorno, il silenzio che permeava le vestigia nuragiche aveva qualcosa di preternaturale” (pag 203). Ha vinto molti premi nazionali e internazionali Pierpaolo, e nonostante la giovane età (è dell”82) ha pubblicato moltissimo, cambiando spesso il tipo di investigatore che agisce nelle sue storie. Del resto ogni scrittore di “gialli” è alla ricerca del suo Nero Wolfe, del suo commissario Maigret. Queste due investigatrici che fa lavorare in Sardegna sono degne di avere nuova vita in nuovi libri. E allora anche la milanese Croce avrà passato abbastanza tempo in Sardegna da non confondere più una maschera di mamuthone di Mamoiada con una di boe di Ottana.