La crisi economica avviata all’inizio del decennio 2008 ha giocato un ruolo decisivo nella mobilità interna determinando un drastico calo degli spostamenti. La lenta ripresa del fenomeno negli ultimi anni è in larga parte da attribuire al contributo della popolazione straniera che, durante il decennio 2008-2017, è aumentata considerevolmente. Dal 2008 al 2017 la mobilità interna dei cittadini italiani è diminuita del 6,3%. Il calo si è registrato sia per i movimenti tra regioni diverse sia per quelli all’interno della stessa regione, pari rispettivamente a 6,7% e a 6,1%. Nello stesso periodo, il numero degli emigrati italiani per l’estero si è triplicato, passando da 39 mila nel 2008 a più di 114 mila individui nel 2017. Pertanto, gli individui che decidono di emigrare fuori dalla propria regione di residenza, scelgono sempre con più frequenza di risiedere all’estero rispetto a un’altra regione italiana: tale quota aumenta, infatti, dal 12% nel 2008 al 30% nel 2017. Tuttavia, la crescita delle emigrazioni all’estero e la riduzione di quelle interne riguarda in modo diverso le ripartizioni italiane: è nelle regioni settentrionali che alla riduzione degli arrivi dalle altre regioni si abbina una evidente crescita delle partenze che determina saldi migratori negativi più consistenti rispetto alle altre ripartizioni geografiche. Sembra pertanto che proprio nelle regioni settentrionali l’emigrazione all’estero sia risultata l’unica opzione possibile, essendo peggiore la situazione economica nelle altre regioni italiane. L’analisi dei flussi migratori per livello di istruzione mette in evidenza le aree del Paese che attraggono in maggior misura capitale umano e quelle, invece, che più si impoveriscono di risorse qualificate. Se negli anni successivi al Secondo dopoguerra i flussi migratori verso le regioni centro settentrionali erano prevalentemente costituiti da manodopera proveniente dalle aree rurali del Mezzogiorno, nell’ultimo decennio mediamente il 70% delle migrazioni dalle regioni meridionali e insulari verso il Centro-Nord sono state caratterizzate da un livello di istruzione medio-alto. Cedendo risorse qualificate, il Mezzogiorno ha ridotto le proprie possibilità di sviluppo alimentando ulteriormente i differenziali economici con il Centro-Nord. Oltre alle migrazioni interne degli italiani nati all’estero nei paesi tradizionalmente meta di emigrazioni degli italiani (paesi europei come la Germania, la Svizzera, Francia e Regno Unito e destinazioni oltreoceano come il Brasile, Venezuela, Argentina e Stati Uniti), non va trascurata la quota crescente di cittadini che hanno acquisito la cittadinanza italiana e che si spostano sul territorio italiano. I dati disponibili non consentono di distinguere tra i nati all’estero quelli “nati con cittadinanza italiana” dai “nati con cittadinanza straniera e poi naturalizzati”. Tuttavia, se si osservano i principali paesi di nascita degli italiani che cambiano la residenza si può osservare che il numero di nati in Romania, Marocco, Albania e India cresce sensibilmente dal 2008 al 2017. In particolare, la Romania diventa il primo paese di nascita dei migranti interni nati all’estero.
Mobilità, ma quanto mi costi? Negli ultimi diciotto anni il saldo della migrazione intellettuale italiana è risultato pesantemente negativo per le regioni del Mezzogiorno. Per effetto dei trasferimenti verso il Centro-Nord, si contano circa 220.000 laureati in meno tra i residenti del Mezzogiorno, senza considerare la crescente quota di pendolari di medio e lungo raggio. Il fenomeno ha assunto connotazioni preoccupanti, soprattutto se si considera che nel 2017 ben il 27% dei migranti totali da Sud a Nord erano laureati rispetto al solo 5% nel 1980 e che nel 2017 circa il 40% dei residenti al Meridione iscritti presso un corso di laurea magistrale, si è spostato presso un ateneo del Centro-Nord. È dunque radicalmente mutata la struttura qualitativa del migrante tipo: se negli anni del Secondo dopoguerra a migrare era soprattutto giovane manodopera proveniente dalle aree rurali del Mezzogiorno, oggi va aumentando il numero dei laureati e degli studenti universitari (immatricolati fuori regione) che si spostano dalle regioni meridionali e insulari, verso le regioni del Centro e del Nord del Paese. Misurare l’impatto della migrazione intellettuale sui territori di origine e destinazione rimane comunque una sfida aperta e un promettente filone di ricerca. Nonostante siano numerosi gli studi che abbiano approfondito la tematica delle determinanti della scelta migratoria, ben pochi sono quelli che, soprattutto per il caso italiano, si siano cimentati nel più complesso campo di indagine che ha a che fare con la misurazione dell’impatto economico di questa importante categoria di migranti. Lo Svimez propone una chiave di lettura, forse poco battuta nella letteratura, relativa alla contabilizzazione delle esternalità positive non recuperabili a seguito degli investimenti pubblici nel campo dell’istruzione. Secondo questa stima, il Mezzogiorno disperderebbe un investimento pubblico pari a circa 1,9 miliardi annuo se consideriamo il solo flusso verso il Centro-Nord, quasi 3 miliardi considerando anche l’emigrazione dei laureati meridionali verso l’estero. Conseguenza di tutto ciò è che i costi netti della emigrazione intellettuale risultano essere particolarmente gravi. Solo attraverso l’attivazione di una politica in grado di essere attrattiva per le giovani generazioni di laureati sarà possibile invertire la rotta e tracciare un futuro di sviluppo per il Mezzogiorno.