Tea Salis presenta il suo ultimo lavoro letterario, “La vedova Bianca” (Catartica Edizioni, Collana in Quiete). Una casa, un’eredità, e i ricordi che la abitano costruiscono il passato di Lia, la cui vita era ancorata alle dediche d’amore, che il marito, morto in guerra, le scriveva nella prima pagina dei radio canzonieri e nel retro delle foto, piccole frasi sdolcinate e romantiche. È come se la casa stessa parlasse e raccontasse, in una sorta di “testamento” e “memoria indelebile” di usi e tradizioni, di amore e fede. La vita di Lia è votata a questo amore idilliaco ma non solo, la musica è la matrice costante presente nel libro come passione e legame naturale tra Lia e la protagonista, voce narrante della storia.
Una casa, un’eredità, i ricordi. Le tradizioni hanno dei custodi, la scrittura è tra questi? Può un libro raccontare il passato non come un peso, ma trasferirlo nell’oggi, e restituire consapevolezza di ciò che siamo? Io credo che tutte le forme d’arte possiedono questa magia. E quindi si, la scrittura può farlo, e un libro, è un grande contenitore di memoria, arricchito con stati d’animo e pensieri attraverso cui il lettore può vivere in prima persona ciò che viene narrato e quindi acquisire consapevolezza. Non può essere un peso ma una “trasmissione”, una sorta di DNA dotato di un patrimonio genetico che passa di vita in vita. E nella scrittura come nelle altre forme d’arte esiste un patrimonio culturale e di tradizioni che viene trasmesso.
La lingua sarda. Con l’uso frequente della lingua sarda nel tuo libro hai voluto che la storia restasse fortemente ancorata al contesto culturale della protagonista. Ma che utilità ha parlare e scrivere in sardo ai giorni nostri? Capire l’importanza della lingua è un processo di consapevolezza che è molto personale. Nel mio caso è una ricerca di noi stessi, un riappropriarsi della nostra “identità”, ma non nel senso di etichettarci, ognuno di noi possiede una sua identità data dal carattere, dall’esperienza, sarebbe scorretto definire un sardo privo d’identità se non conosce la lingua sarda. Il mio senso d’identità risiede nel riconoscimento di un popolo culturalmente, storicamente e geograficamente ben definito, e la lingua sarda volente o nolente fa parte delle nostre radici e ci contraddistingue. Nel libro Quartiere Benvenuti (ancora inedito) scrivo “studiare la vera storia della Sardegna mi ha fatto penetrare nelle discrepanze e nei difetti del Sardo, accumulati attraverso un processo lungo durato millenni, credo che scoprire da dove arriviamo e chi siamo ci può aiutare a migliorare e trovare soluzioni oggi” La lingua è un po’ come nostra madre, è importante non perderla. E poi è così bella e così musicale? Perché privarcene. Nel caso della Vedova Bianca non puoi non usarla, fa parte di un contesto sociale, di condivisione, di tradizioni che ci appartiene.
La guerra e l’amore perduto. “La vedova bianca” racconta una storia d’amore che porta inevitabilmente a riflettere sulla guerra. Oggi vediamo sempre più frequentemente la presenza dei militari nei contesti culturali, sociali e persino religiosi. È utile che la società civile, le istituzioni sarde, gli artisti prendano posizione sull’argomento? Si, l’arte è una fonte inesauribile per lanciare un messaggio, oggi si sente nuovamente questo bisogno, è una cosa naturale, l’artista non è un politico ma è inevitabile per lui prendere delle posizioni sui diritti umani e sul sociale. La guerra è una cosa seria, e non siamo molto lontani dagli stati sotto assedio, bisogna sensibilizzare le persone, che dimenticano spesso quello che è stato. Ma in generale bisogna sensibilizzarle ai diritti umani, e depurare la società da tutto questo odio e razzismo generale, dall’essere omertosi e incivili fra noi stessi, l’atteggiamento nei confronti della guerra verrà da se, una volta capito come vivere serenamente fra noi. Un’utopia? Chissà, intanto gli artisti ci provano in questo percorso educativo.
Musica e scrittura. Sia la musica che la scrittura sono al centro della tua sfera artistica. Sei reduce da varie presentazioni in cui la lettura di alcuni brani del tuo libro è stata accompagnata dalla musica di Marco Lais. Quali sono state le reazioni del pubblico? Beh, il pubblico è sempre molto contento e colpito della nostra performance, la scrittura con la musica si arricchisce, si colora, come due persone che ballano insieme, delle volte rimani incantato nel guardarle. La musica intensifica il messaggio delle parole, sia quello manifesto sia quello latente perché mette in moto più sensazioni. Le persone dopo i recital concerti si complimentano spesso per il connubio di musica e parole, e aggiungono le loro sensazioni sulle loro esperienze sulla guerra, sull’immigrazione ( perché dedichiamo un momento anche per questo argomento) sulla donna. Fanno i complimenti a Marco per il tipo di musica che ha composto e sulle sensazioni che ha regalato, lui utilizza anche un’accordatura a 432hz, il suono che esce fuori è più in contatto con la frequenza dell’uomo e quindi si crea armonia. Ma senza dilungarmi troppo, la formula di musica e parole rende il pubblico più vicino a noi, oltre che piacevole, la musica da dinamica e l’ascolto di tematiche serie è più facile e leggero da recepire.