PRIMA PARTE
di PAOLO PULINA
Caro Beppe, […] ti ricordi quando a “Primato” desideravano che io – e rifiutai – mi chiamassi almeno Varesi ? [perché il cognome Varese in epoca di leggi razziali fasciste poteva suonare indebitamente ebraico, ndR] ignorando la serie dei grandi, grandini Varese, cattolici (!), ariani (!), Fabio Varese, poeta lombardo del ’500, Carlo Varese di Tortona, ma autore di romanzi, anche sardi storici, nel primo Ottocento – che forse hai letto (la Preziosa di Sanluri), Sigismondo Varese, traduttore di Lessing, nel secondo Ottocento; per non parlare del grande musicista francese Varèse. [Lettera di Claudio Varese a Giuseppe Dessì datata Firenze, 21 ottobre 1976 in Giuseppe Dessì-Claudio Varese, Lettere 1931-1977, a cura di Marzia Stedile, Roma, Bulzoni, 2012, cfr. pp. 484-85].
Carlo Varese
Ma chi è questo «Carlo Varese di Tortona, autore di romanzi, anche sardi storici, nel primo Ottocento – che forse [Giuseppe Dessì] ha letto (la Preziosa di Sanluri)»?
Non si trovano sue notizie biografiche nelle Enciclopedie della Sardegna anche se i suoi due romanzi storici di ambientazione sarda “Il proscritto, storia sarda dell’autore di Sibilla Odaleta”, 2 voll., Torino, per Giuseppe Pomba, 1830, e “Preziosa di Sanluri, ossia I montanari sardi. Romanzo storico dell’autore della Sibilla Odaleta; preceduto da una dissertazione dello stesso intitolata ‘I romanzi di Walter Scott e le opere di Rossini’ ”, 2 voll., Milano, presso A. F. Stella e figli, 1832, avrebbero dovuto suscitare l’attenzione degli studiosi sardi anche prima che nei confronti di essi si indirizzasse la benemerita analisi storico-critica del docente dell’Università di Sassari Aldo Maria Morace, che ha procurato due ristampe con sua approfondita disamina dei testi sia del primo volume (presso Nuoro, Ilisso, 2004) che della seconda opera (Sassari, Edes, 2002).
Per conoscere la vita di Varese ricorriamo perciò a Wikipedia.
«Carlo Varese (Tortona, 13 gennaio 1793 – Rovezzano, 15 settembre 1866) è stato un medico, scrittore e storico italiano, deputato del Regno di Sardegna e del Regno d’Italia.
Biografia. Dopo essersi laureato in medicina nell’Università di Pavia, esercitò la professione prima a Voghera e poi, dal 1840, a Genova. Nel 1859 fu eletto deputato per la VI legislatura nella Camera del Regno di Sardegna e confermato nel 1860 per la legislatura successiva. Dopo l’unificazione del 1861, fu deputato della Camera del Regno d’Italia nella VIII e IX legislatura, ma morì, prima di completarla, a settantatré anni nel 1866.
L’opera letteraria. Pur impegnato con la professione medica e l’attività politica, Varese coltivò la propria vocazione letteraria. Le sue opere più importanti possono considerarsi i romanzi storici, scritti ispirandosi a Walter Scott, lo scrittore scozzese autore del celebre “Ivanhoe”. I romanzi, creati con intenti patriottici, ricevettero una buona accoglienza presso il pubblico borghese dell’Italia pre-unitaria. Il più significativo tra questi fu “Sibilla Odaleta” (pubblicato a Milano nel 1827), al quale seguirono tra il 1829 e il 1840 “I prigionieri di Pizzighettone”, “Folchetto Malaspina”, “Il proscritto”,
“Preziosa di Sanluri”, “Torriani e Visconti”».
Sulla base dei miei interessi interculturali volti a “scovare” collegamenti fra la Sardegna e la provincia di Pavia (ho pubblicato due volumi, ciascuno di oltre 300 pagine, di una “Guida letteraria della provincia di Pavia”), ho cercato negli anni di interessare le biblioteche di Voghera e di Tortona (che è in provincia di Alessandria, ma che è legata storicamente all’Oltrepò pavese a tal punto che ancora oggi le parrocchie dei paesi dell’Oltrepò fanno parte della Diocesi di Tortona) all’organizzazione di un convegno di studi su Carlo Varese ma il mio suggerimento non è stato accolto. Se mai si fosse organizzato questo convegno su Claudio Varese tortonese-vogherese, mi sarebbe piaciuto far conoscere gli scrittori sardi di romanzi storici fra metà e fine Ottocento, qualcuno dei quali dalle opere di Varese (che pure non è mai stato in Sardegna, ma che dell’isola aveva studiato la storia) può essere stato influenzato.
Agli immemori bisogna ricordare che Tortona – nei tempi in cui Varese scriveva i suoi romanzi storici – apparteneva al Regno di Sardegna! Voghera passò sotto il dominio di Casa Savoia con il trattato di Worms del 1743.
Sir Walter Scott
Sir Walter Scott, I Baronetto Scott (Edimburgo, 15 agosto 1771 – Abbotsford House, 21 settembre 1832), scrittore, poeta e romanziere scozzese, è considerato l’ideatore del moderno romanzo storico.
Nell’Ottocento il modello delle sue “invenzioni” letterarie, inserite in un contesto storico del lontano passato della vita sociale della propria nazione, fu ricalcato non solo da altri autori scozzesi ma da scrittori di tutta l’Europa: basta citare, per l’Italia, I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.
Walter Scott era anche un campione di modestia, come sottolinea il filosofo, storico della letteratura e critico letterario ungherese György Lukács (Budapest, 1885–1971), nel suo saggio Il romanzo storico (titolo originale: Der historische Roman, Berlin, Aufbau Verlag, 1957; traduzione dal tedesco di Eraldo Arnaud, Torino, Einaudi, 1965):
«[…] In Italia, Walter Scott ha trovato un continuatore che, sia pure in una sola opera, ne ha sviluppato in modo grandioso e originale le tendenze e lo ha superato in più aspetti. Alludiamo naturalmente ai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Lo stesso Walter Scott ha riconosciuto questa grandezza di Manzoni. Allorché quest’ultimo a Milano gli disse di essere un suo discepolo, Walter Scott rispose che in tal caso l’opera del Manzoni era la sua opera migliore. È però molto caratteristico che, mentre Walter Scott poté scrivere tutta una serie di romanzi sulla storia inglese e scozzese, Manzoni si sia limitato a quest’unico capolavoro. Ciò non dipende certo da un limite del talento personale di Manzoni. La sua capacità inventiva per l’intreccio, la sua fantasia nel rappresentare caratteri delle più diverse classi sociali, la sua sensibilità per l’autenticità storica nella vita interiore ed esteriore dei personaggi sono qualità ch’egli possiede in grado almeno pari a Walter Scott. Anzi proprio nella ricchezza e nella profondità con cui sono delineati in caratteri, nella completa utilizzazione dei grandi contrasti tragici per delineare la psicologia dei personaggi, Manzoni è perfino superiore. Come creatore di figure individuali egli è un poeta superiore a Walter Scott».
Resta il fatto comunque che Walter Scott è la figura di riferimento per chi si augura che ci siano scrittori che ambientino le loro storie, per fare un esempio concreto, in Sardegna così come il romanziere ha fatto per la sua Scozia.
Trascrivo due brani da un saggio di Sandro Ruju intitolato Honoré de Balzac e la Sardegna che apparirà in un volume collettaneo che sto curando per la F.A.S.I. (Federazione delle 70 Associazioni Sarde in Italia):
1. «Prima del suo breve viaggio in Sardegna, che avvenne nel 1838, Honoré de Balzac aveva soggiornato nel 1836 a Torino, dove era stato ospite del marchese Boyl di Putifigari. In un opuscolo pubblicato a Sassari nel 1909 presso la Tipografia Forni dal professore francese Pierre Fournier [Encore sur le voyage de Honoré de Balzac en Sardaigne] è riportato integralmente il testo della lettera che, riferendogli di quella visita, il marchese Boyl inviò a Pasquale Tola [alto magistrato e parlamentare, autore di un famoso Dizionario biografico degli uomini illustri della Sardegna]: “L’altro giorno ho raccontato la storia del famoso brigante Peppe Bonu di Bonorva al celebre romanziere francese Honoré de Balzac, che fu nostro ospite per una settimana. Io gli ho dunque parlato a lungo della nostra povera isola e l’ho spinto a volerne conoscere i costumi. E lui non si mostrò contrario a quest’idea. Da parte mia lo desidero ardentemente perché io sono certo che sarebbe un gran vantaggio per la Sardegna se un uomo di un simile talento volesse farla conoscere al mondo come un’isola molto interessante e degna di miglior sorte. Se tutto il mondo, ai giorni nostri, desidera visitare la Scozia, ciò è grazie a Walter Scott, che ha saputo con tanta bravura descrivere i suoi paesaggi”. Boyl sperava dunque che Balzac potesse contribuire con i suoi scritti e con la sua fama a favorire la scoperta della Sardegna. Un auspicio che però si rivelerà infondato».
2. «Nel 1920 lo studioso Giuseppe Gigli pubblicò a Milano, presso Fratelli Treves, un’interessante monografia sui rapporti tra lo scrittore francese e l’Italia [Balzac in Italia. Contributo alla biografia di Onorato di Balzac] e dedicò un capitolo al breve viaggio in Sardegna, prendendo le distanze dalle esagerate e malevole osservazioni che Balzac formulò sull’isola: “Bisogna ben dire che quelli erano sfoghi di un uomo annoiato e deluso, profondamente deluso, giacché in Sardegna non aveva trovato, né la ricchezza sperata [una miniera d’argento da sfruttare], né l’ispirazione per nuovi lavori. L’isola italiana non era la Scozia, e la civiltà dei Sardi era ancora primitiva, almeno quale era apparsa ai suoi occhi, per dettare a lui, scrutatore di misteri di anime raffinate, nuovi intrecci e nuovi studi di costumi: col primo sogno tramontava anche quello di esser chiamato il Walter Scott della Sardegna”».
In ogni caso, gli autori sardi si ispirarono a Walter Scott e al suo «discepolo» (ipse dixit) Alessandro Manzoni nella compilazione dei romanzi storici di ambientazione sarda, ma non solo sarda, che nella seconda metà dell’Ottocento, pur non essendo di grande qualità letteraria, conobbero un notevole successo di pubblico nell’isola (successo che arrise anche ai racconti storici coevi editi nel resto d’Italia): peraltro si trattava di una narrativa fra storia e fiction destinata al popolo con testi pubblicati a puntate come i romanzi d’appendice.
Autori sardi di romanzi storici fra metà e fine Ottocento
Ecco gli autori sardi che, rifacendosi nel primo e secondo Ottocento alla lezione di Scott e di Manzoni, hanno scritto i romanzi storici più significativi.
Antonio Baccaredda (Cagliari 1823-Napoli 1904) scrisse diversi drammi e alcuni romanzi storici accolti con grande favore dai lettori del tempo: può essere considerato l’antesignano degli scrittori sardi che si cimentarono in questi generi letterari, come prolungamento “creativo” della loro attività professionale, quasi sempre sviluppantesi nei campi dell’insegnamento, dell’amministrazione, della burocrazia, dell’avvocatura.
Tra questi i due fratelli Michele Uda (Cagliari 1830-Napoli 1898) e Felice Uda (Cagliari 1832-Roma 1900).
Il primo scrisse, tra l’altro, Lena degli Strozzi, dramma in 4 atti del 1849, uno dei suoi primi tentativi teatrali che ricalca la vicenda dei Promessi Sposi di Manzoni. Di lui ha detto lo storico Raimondo Bonu: «In arte fu manzoniano per la sobrietà delle tinte e la temperanza dei sentimenti. Facile a divagare dal tema con i molti e inopportuni intrecci avventurosi, rivelò spesso (e sono sue parole) “slegature abbastanza visibili a occhio nudo”».
Del secondo lo stesso Bonu ricorda che ad Agrigento, città dove per qualche anno insegnò storia al Liceo, «nel 1884 diede alle stampe un romanzo archeologico (Pantea d’Agrigento: racconto delle olimpiadi), con l’intento di fare rivivere la storia e la vita della libera città siciliana, quale poteva presentarsi circa ventidue secoli prima».
Dobbiamo poi citare Carlo Brundo (Cagliari 1834-1904), che a partire dal 1869 cominciò a pubblicare numerosi romanzi, tutti richiamantisi al modello manzoniano.
Mandò alle stampe anche alcuni saggi di storia: cito solo quello del 1878 intitolato Il castello dell’Acquafredda. Scene storiche del secolo XIII.
Prima ho fatto riferimento a due fratelli scrittori di romanzi storici, adesso è il turno di due cugini primi: Gavino Cossu (Cossoine 1844-Sassari 1890) e Marcello Cossu (Semèstene 1845-fine sec. XIX).
Di quest’ultimo ho letto Ritedda di Barigau. Bozzetto ogliastrino (del 1885) su consiglio dell’amica scrittrice Lina Aresu, che ne ha procurato negli anni scorsi una riedizione commentata andata a ruba nelle zone (Lanusei e dintorni: “Barigau” è uno dei quartieri di Lanusei) in cui sono collocate le vicende di questo romanzo storico che è al tempo stesso un romanzo d’appendice.
Il più grande di questi autori è senza dubbio Enrico Costa (Sassari 1841-1909), archivista, storico di Sassari per eccellenza ma anche fecondissimo poligrafo (letterato, romanziere, poeta, autore di bozzetti, di novelle, di libretti di teatro ma anche di approfonditi saggi storici).
Il più famoso romanzo storico di Enrico Costa è Il muto di Gallura, pubblicato nel 1885, best seller dell’epoca ma continuamente ristampato perché richiesto anche dai lettori di oggi. “Il muto di Gallura”, così era chiamato Bastiano Addis Tansu, uno dei più feroci protagonisti della terribile faida che dal 1849 al 1856 insanguinò il paese di Aggius, facendo oltre settanta vittime.
Dal libro traggo un brano, che certifica le conoscenze “manzoniane” di Enrico Costa, e che potrebbero motivare, in ipotesi, un gemellaggio tra Lecco e Aggius, ben noto comune della Gallura: sia chiaro, non per analoga presenza e azione di spietati banditi, ma per una certa simile conformazione delle montagne che sovrastano le due località.
Scrive Enrico Costa: «Il paese di Aggius è addossato ad una strana catena di montagne che sembrano create per difenderlo. Diresti che non siano gli uomini che abbiano fabbricato il villaggio a piedi di quella catena; ma piuttosto la natura che abbia costrutto quella barriera alle spalle di Aggius. Quei monti hanno forme bizzarre, e ti fanno pensare al famoso Resegone di Lecco, immortalato dal Manzoni. Essi ergono al cielo le creste nude, frastagliate, capricciose; e gli abitanti guardano con un certo orgoglio quelle punte taglienti e aguzze come il loro ingegno, come la loro lingua, come il loro coltello».