di ROBERTA CARBONI
È sicuramente la canzone d’amore sarda più famosa al mondo, con la quale si sono misurati cantautori di fama e livello internazionale: i Tazenda, Maria Carta, Pierangelo Bertoli, Andrea Parodi, Katia Ricciarelli, GiannaNannini, Antonella Ruggero, Noa, Anna Oxa, Placido Domingo, Mango e Maria Giovanna Cherchi, tra i più celebri. “A Diosa”, meglio conosciuta come “Non potho reposare”, è un inno all’amore che sembra non conoscere tempo e spazio, adattandosi facilmente al sentimento amoroso che non sembra fare eccezioni e differenze, se vissuto nel profondo. Nella sua storia, ormai centenaria, “No potho reposare” costituisce il brano sardo più inciso, contando oltre un centinaio di versioni.
Ogni poesia, ogni
romanzo, ogni canzone, da sempre, nascono dal pensiero di un’epoca, oltre che
dalla creatività dell’artista che lo compone. In questo caso il contesto
geografico è Nuoro e l’epoca è
la Prima Guerra Mondiale che ha
da poco coinvolto anche la Sardegna. Tra pianti disperati di mogli, madri e
fidanzate, molti giovani sono chiamati al fronte, strappati violentemente alla
vita quotidiana per una causa più grande: la guerra. Una guerra di cui ancora
si conosce molto poco ma si teme tanto.
La partenza imminente porta a riflettere, interrogarsi sul futuro e sulla vita
in generale, facendo i conti con il dolore della perdita e il timore
dell’addio. Tutta l’Italia si accinge ad affrontare il dramma della guerra
componendo inni e poemi che ancora oggi rappresentano struggenti manifestazioni
d’amore e dolore. Emblematica è a tal proposito la famosa canzone napoletana “O surdato ‘nnammurato”, composta da
Aniello Califano ed Ennio Canino.
E in questo clima condiviso di paura, tristezza e speranza l’avvocato e poeta Salvatore Sini di Sarule, conosciuto come Badore, scrive i primi versi di quella che sarà destinata a diventare la più bella poesia d’amore in lingua sarda. È il 23 luglio del 1915.
“A diosa. Non potho riposare, amore, coro, pensande a tie so donzimomentu: no istes in tristura, prenda d’oro, né in dispiaghere o pensamentu. T’assicuro che a tiesolu bramo, ca t’amo vorte, t’amo t’amot’amo”.
“Diosa” è il nome che il poeta dà alla donna amata, paragonata ad una musa ispiratrice, una vera e propria dea.
Qualche mese più tardi quelle parole vengono trasformate in musica dal musicista cagliaritano Giuseppe Rachel e il 3 Ottobre dello stesso anno il brano viene eseguito nell’ambito di una rappresentazione drammatica scritta dallo stesso Barore Sini. Da quel momento la canzone conosce un primo grande successo, soprattutto con il titolo “Non pothoreposare” che, per volontà del musicista Gavino Gabriel nel 1957 viene cantata a Torino dal Coro di Nuoro, con la voce solista di Mario Delussu.
Nel 1966 il brano viene inciso dal Coro Barbagia con la voce solista del tenore Giuseppe Tanchis nell’ambito dell’ LP del coro polifonico dal titolo “Sardegna canta e prega”. In seguito diversi cori nuoresi inseriranno il brano nel loro repertorio: il Coro Ortobene, Su Nugoresu, SosCanariose altri. Ben il presto il brano si diffonde anche nel resto dell’isola.
Il successo delle prime incisioni folkloristiche su disco è quasi immediatamente seguito dal successo nell’ambito della discografia nazionale: dalla Polydornella versione di Maria Carta nel 1978 alla Fonit Cetra nella versione di Anna Loddo nel 1981.
In ambito regionale si aggiungono poi le interpretazioni incise del gruppo pop il Coro degli Angeli, Tazenda, Andrea Parodi, il Duo Puggioni, Cordas e Cannas ed Elena Ledda.
Nel componimento di Sini si notano numerose analogie con il poema dello scrittore algherese Antonio Lo Frasso, “Los diezlibros de Fortuna de Amor”. Il poeta partecipò alla celebre Battaglia di Lepanto, nell’ambito della quale conobbe il celebre Miguel de Cervantes, autore del “Don Chisciotte”, che cita l’opera proprio tra i libri della biblioteca del protagonista del romanzo.
Nell’opera del Lo Frasso si leggono alcuni versi come “Non poto dia e note reposare” , che ricorda l’incipit della poesia di Sini. Anche i riferimenti a “Diosa” e “Diosu” richiamano “Dulcineo” e “Dulcina”, i due pastori innamorati de “Los diezlibros de Fortuna de Amor”.
Dello scrittore algherese si conoscono poche notizie, salvo quelle autobiografiche contenute nelle sue opere, in cui egli si autodefinisce “militar sardo de la ciudad de L’Alguer” (“un militare sardo della città di Alghero”), e riferisce di essere stato ingiustamente accusato di omicidio per amore di una giovane algherese, per cui fu rinchiuso in carcere ed in seguito fu costretto a lasciare la Sardegna per rifugiarsi a Barcellona.