Roberta Capello|Simona
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PENSIERI, PAROLE, OPERE E OMISSIONI
Il peccato originale al tempo del web
Omissioni. Soprattutto quelle.
Re-citare il Mea Culpa nel terzo millennio suona
anacronistico, in realtà la società contemporanea ha cambiato il significato e
il valore del senso di colpa rispetto a quello originale. Etimologicamente, la
parola peccato (dal latino peccatum) significa trasgredire una norma di origine
divina, perché il concetto così umano di infrazione e violazione di un
precetto, rimanda sempre alla sfera del sacro. Nel pensiero più intimo e
profondo di ognuno di noi, la nozione di colpa, norma e ordine, segue le leggi
di coerenza e coscienza alle quali nessuno, nemmeno l’ateo più convinto, riesce
a sottrarsi. Il sacramento del Battesimo col quale purifichiamo un ingenito
corpo corrotto, punto cardine della catechesi cristiana, è sempre più privato
del valore sacrale, tanto da confondersi con qualunque evento frivolo
pubblicato sui diversi canali sociali.
Da un recente sondaggio promosso da una famosa
casa di cosmetic surgery, si evince che i sette vizi capitali, sono stati
stravolti da una sorta di anomalia che ha geneticamente modificato la nostra
percezione di bene e di male. Il vizio della gola ha preso derive che vanno
dall’anoressia alla bulimia fino alla paventata obesità, vissuta non come
malattia, ma come imperdonabile inestetismo.
Così, nel sondaggio risulta che ci sentiamo in
colpa se esageriamo col cibo, se trascuriamo il nostro aspetto esteriore, e se
passiamo troppo tempo sui social network. A questi, seguono gli eccessi e le
dipendenze nelle diverse accezioni, dal gioco, al sesso, alla droga, tutto
facilmente curabile e assolvibile attraverso un flebile senso di colpa e una
aleatoria panacea quotidiana, rigorosamente bio, che depura!
La chirurgia plastica è il nostro breviario per
alleggerirci da ogni “pesantezza” e da ogni tipo di abuso nel quale ci
rifugiamo. Ci auto-perdoniamo qualunque cosa pur di apparire meglio di quello
che siamo, soprattutto, non abbiamo più bisogno di qualcuno che ci ascolti da
dietro una grata, caso mai ci sdraiamo sul lettino e ingoiamo qualche pillola
in più.
Il tema dei sette vizi capitali è sempre stato
celebrato nell’arte attraverso immagini allegoriche che hanno seguito l’idea
gregoriana che dalla superbia, si fossero generati tutti gli altri peccati.
Simboli e bestiari medievali, metafore mediche
per rappresentare le malattie dell’anima, Paradiso, Inferno e ancora Giudizio
Universale, l’arte ha celebrato la perversione umana, sociale e sessuale
facendosi portavoce delle minaccie dirette ad atterrire chi si allontanava dal
sacramento della confessione.
Ripensare alla tavola dei Sette peccati di
Hieronymus Bosch, sviluppata in una complessa allegoria circolare, ci fa
sorridere se la leggiamo come monito e punizione. Ma oggi, cosa ci fa ancora paura?
Quali sono le punizioni inflitte, spesso da noi stessi, che ci rendono
vulnerabili e suscettibili al concetto di peccato? Ognuno di noi, nonostante i
pregiudizi, conserva una propria visione etica e morale del male, il livello di
civilizzazione ha solo cambiato l’immagine ma non l’immaginario, perché per
quanti sforzi l’uomo faccia, il timore di essere giudicati da Dio, dagli uomini
o dai media, resta comunque un problema da risolvere.
PENSIERI, PAROLE, OPERE E OMISSIONI: CON SIMONA MUZZEDDU, ALTRI 23 ARTISTI A FORTE MARGHERA (MESTRE – VE) DAL 12 al 21 LUGLIO 2019
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