IMMAGINI DI SARDEGNA DEL 1959: IN MOSTRA SINO A SETTEMBRE A MAMOIADA, LE OPERE DEL FOTOGRAFO UNGHERESE JANOS REISMANN

“Posso continuare a sognare; io che so usare solo la macchina fotografica e se ho un contratto, un lavoro, sono costretto ad andare in mezzo alla gente a far vedere il mondo, io che il mondo lo trovo molto interessante e che ho il desiderio di far mostrare questo mondo agli altri attraverso le mie fotografie”. Uomo vivace e di grande cultura, innamorato del mondo e delle sue contraddizioni, Reismann raccontava della sua vita travagliata con semplicità, come se narrasse un aneddoto su qualcun altro, divertendo, come sapeva essere piacevole solo lui. Era timido; ma ovunque entrasse era subito al centro dell’attenzione. Le sue parole trascinavano dentro al suo universo, reale e illusorio allo stesso tempo, con quel miscuglio di malinconica passione e ideali mai perduti, che non potevi che rimanere incantato. Brassai (anch’egli ungherese), Robert Capa, David “Chim” Seymour, Henri Cartier Bresson, Max Alpert, John Heartfield, furono suoi colleghi e amici. Il suo stile da fotoreporter, volutamente indifferente, alla macchina fotografica non chiedeva altro che la registrazione di un pensiero, di una visione nella sua cruda nudità. Cercò così di illustrare e riflettere oggettivamente, senza trucchi e manipolazioni, il mondo come lo incontrava. Se fin dall’inizio della carriera amava dire che la sua fotografia non poteva essere arte né mera fonte di guadagno ma la sua stessa vita, fu però poeta della vita quotidiana: riprendeva persone e luoghi nel loro ambiente; osservava e immortalava gli operai nelle fabbriche, i contadini al lavoro nei campi, senza che nessuno si accorgesse della sua presenza. Tanto che talvolta le immagini sono cariche di un’eccessiva spontaneità, lontane delle perfezione formale e tecnica, e anche il chiaroscuro è solo un pretesto per la ricerca della verità dell’istante. Non cercava di fare delle “belle fotografie”, piuttosto gli interessava l’attimo che non torna, quel passo di una vecchia sul selciato, il suono indelebile delle stradine di paese, l’ombra di una persona che non si mostra. Lavorava in solitudine e in silenzio, non metteva in posa nessuno, non chiedeva di girarsi verso la macchina fotografica o di sorridere. Ma per fortuna, e per incanto, le sue foto riuscivano a rispecchiare la nuda verità. Sulla pellicola restava impressa quella poesia del silenzio che Reismann sapeva di avere dentro. Ancora in vita, la sua avventura terrena, travolgente e per certi versi molto sfortunata, ebbe maggiore risalto rispetto alle sue opere; si parlava di lui ovunque ma poco delle sue immagini, o almeno non quanto avrebbero meritato. Solo dopo la sua morte, le fotografie, rimaste orfane, cominciarono a staccarsi dall’eccessiva imponenza del loro creatore e a vivere la loro vita: acquisirono forza, profondità, iniziando il lungo cammino che porterà a svelare l’opera di un moderno poeta dell’immagine.

János Reismann nacque a Szombathely nel 1905 e morì a Budapest nel 1976. È considerato il più grande fotografo ungherese e uno dei più importanti a livello mondiale. Emigrò giovane a Parigi, quando la capitale francese era il ritrovo mondiale degli artisti di tutto il mondo. I locali di Montparnasse divennero il suo ambiente ideale. Qui incontrò Brassai, Robert Capa, David Seymour, Henri Cartier Bresson, Max Alpert, John Heartfield, che divennero suoi colleghi e amici. Partecipò a numerose mostre collettive e personali, fra cui la Mostra Internazionale Fotografica (Budapest 1937), “Quelques Images de Hongrie par Robert Capa”, “János Reismann”, “David Seymour” (Roma, 1949), una Personale a Roma (1969). A Parigi le sue opere furono l’attrattiva principale dell’esposizione “Les Hongrois” (1980). Fra i premi vinti quelli come miglior artista ungherese nel 1971 e 1975. Fra i tanti volumi “Images de Russie” (1947), “Italien” (1959), “Aller Honig geht zu Ende” (1963), “Viaggio in Italia” (1971), “Bakony” (1973).

Dietro suggerimento dello scrittore Carlo Levi, Reismann si convinse a fare un libro sulla Sardegna. L’editore tedesco Dumont s’impegnò a pubblicare l’opera ma pretendeva uno scrittore di fama internazionale per la realizzazione del testo. Reismann fece il nome proprio di Carlo Levi. E così cominciò la sua avventura nell’isola di Sardegna, che durò circa un mese. Arrivò a Roma l’8 dicembre del1959. Si recò al Parlamento italiano per incontrare uno dei deputati sardi di sinistra, Mario Berlinguer. Da lui ricevette le lettere di raccomandazioni per i suoi amici, parenti ed altre persone legate a lui politicamente, senza le quali forse Reismann non sarebbe arrivato lontano. Giunse a Cagliari: accompagnato dai rappresentanti dell’ufficio di turismo visitò la città per tre giorni. L’indomani si recò nel Golfo di Carbonara, a 50 km da Cagliari, dove fotografò il paesino di pescatori di Villasimius e i paesaggi intorno. All’improvviso la Sardegna lo costrinse a cambiare sguardo e stile; fino ad allora aveva sempre fotografato persone e luoghi, ora fotografava pietre e nudi paesaggi. Era affascinato soprattutto dalla parte rocciosa dell’isola; le pietre lo incantavano, penetravano nel suo sguardo arrivando fino all’anima. Si spostò a Olbia, Sassari, Golfo Aranci; arrivò sui Monti del Gennargentu (Punta La Marmora), e poi scese a Santa Giusta. Arrivò a Nuoro il giorno di Natale, e vi si fermò fino all’11 gennaio. Fotografò la cittadina e i paesi intorno (Orune, Orgosolo, Oniferi, Orani). L’esperienza sarda fu molto interessante e piena di sorprese. «Ad Orgosolo (il famoso paese dei banditi, anche i nuoresi facevano il segno della croce se li sentivano a nominare) mi ha ricevuto il barbiere Umberto Goddi; non mi ha permesso di prenotare una locanda. Suo fratello muratore ed i suoi amici, mi accompagnavano dappertutto, mi aiutavano nel mio lavoro. Erano di un’ospitalità grandiosa, cosa che solo in questa parte della Sardegna si può incontrare. Zsebet (diminutivo di sua moglie Erzsebetn n.d.T.) venne a visitarmi a Nuoro per tre giorni. Non voleva credere ai suoi occhi; quando uscivamo a passeggio alCorso non facevamo due passi che i miei”migliori” amici ci fermavano; dovevamo entrare al bar per bere una grappa o del vino sardo, e continuamente entravamo ed uscivamo da un bar all’altro.Così, quando sono tornato in Germania, ho dovuto fare una cura di disintossicazione. Durante i venti giorni di permanenza a Nuoro e dintorni non mi fu mai permesso di pagare, perché avrei offeso il loro senso di ospitalità. Fra tante cose fotografavo soprattutto pietre;sono assolutamente inattese, immagini meravigliose, molto erotiche». Il 26 gennaio 1960 scrisse a sua moglie: «Mi trovo ad Ausburg ospite di amici; leggo tutto il giorno, dormo, faccio il bagno, mangio, mi sto riposando dopo le faticose giornate trascorse in Sardegna». I suoi amici rimasero incantati dall’opera realizzata nell’isola, soprattutto dalla grandiosità delle pietre. Molti critici considerarono il lavoro che realizzò in Sardegna come il suo capolavoro. Dei suoi 1500 scatti, 20 furono scelti per un piccolo libro, edito in tedesco e in italiano nel 1963, con i testi di Carlo Levi e dal titolo “Tutto il miele è finito”.

La mostra presenta una selezione degli scatti realizzati da Reismann in Sardegna nel 1959, in particolare nei paesi del Nuorese, mentre il CATALOGO rende omaggio a tutta l’opera del fotografo ungherese nell’Isola con immagini uniche e mai pubblicate prima d’ora. È un documento che scalza le debolezze, le incongruenze, le distrazioni del nostro sguardo oggi persino troppo sollecitato dalle immagini che corrono veloci. L’isola lo costrinse a cambiare sguardo e stile, gli fece ritrovare la passione per la semplicità con quei nudi paesaggi di pietra, quei paesini solidi al limite del mondo. E gli stoici isolani, i visi segnati dal sole della lotta quotidiana. Sono immagini inattese di una Sardegna arcaica e placida, il capolavoro dell’artista. Venti scatti presenti nel catalogo furono scelti per un piccolo libro con i testi di Carlo Levi dal titolo “Tutto il miele è finito”.

È possibile visitare la mostra sino al 1 settembre 2019 MUSEO DELLE MASCHERE MEDITERRANEE Piazza Europa 15 – MAMOIADA .

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