di MARCO SCARAMELLA
Beatboxando dentro l’armonica di sua nonna, riesce a dimostrare il proprio talento, grazie al suo stile unico. Innamorato profondamente della musica fin da bambino, e con tre album all’attivo, I Wanna Breathe (2014), Cannonau (2015), Cannonau Spirits (2016), ha pubblicato il suo ultimo album Human Revolution. Stiamo parlando di Moses Concas. Lo abbiamo incontrato, nella suggestiva cornice della spiaggia di Porto Ferro, per fare due chiacchiere sulla sua avventura musicale.
Raccontaci del tuo percorso artistico. Per come la vedo io, il mio percorso artistico è ancora agli inizi. Sono in una completa fase di sperimentazione. Mi distacco totalmente dall’approccio classico di fare musica, che rispetta gli schemi e le proporzioni. Il mio approccio è rivolto verso l’improvvisazione. Questo nasce dall’esigenza di lasciare un messaggio, che possa far capire alle persone che non è necessario rispettare gli schemi per trasmettere emozioni: l’arte è un veicolo di emozioni e deve essere accessibile a tutti. Ecco perché, per me, la musica è uno strumento per abbattere i muri tra le persone.
Quando ti sei avvicinato all’armonica e al beatbox? Sono arrivato al beatbox per la pura necessità fisica di estrapolare il tempo che stava battendo dentro di me, articolandolo per mezzo delle labbra, indipendentemente dall’approccio tecnico dell’Hip Hop school. L’armonica è arrivata a quasi 22 anni, in un periodo in cui avevo bisogno di costruire delle melodie affiancate al beatbox. Così mi venne l’idea di provare con l’armonica di mia nonna, nonostante i suoi accordi non stessero dentro l’ordine dell’Hip Hop. Ho cercato di distaccarmi dal senso del folk o del blues, classici dell’armonica e, quindi, di suonare acquisendo sempre più feeling con lo strumento, piuttosto che prestando attenzione alla tecnica. Col tempo, ho cominciato ad accorgermi che l’accoppiata armonica e beatbox aveva un risvolto positivo, sia sulla mia vita, che sul pubblico. Ad un certo punto ho capito che era il momento di cambiare armonica, per sperimentare nuove sonorità. Quando ho conosciuto Lee Oskar, armonicista dei War (band statunitense celebre per brani come “Why can we be friends?”) mi avvicinai molto al suo concetto di “uscire fuori dagli schemi”. Comprai un’armonica del suo brand, per poi finire a collaborare con quello che è stato uno dei miei idoli. Spesso mi fa testare nuovi prodotti da sviluppare anche assieme.
Hai mosso i primi passi suonando per strada. Cosa ti ha insegnato questa esperienza? Mi ha insegnato che la strada è il mio palcoscenico. La strada mi dà la possibilità di suonare gratuitamente, l’unico compenso che ricevo è l’emozione della gente, e questo mi dona la possibilità di essere me stesso. La strada rappresenta il più bel pubblico, perché la gente si ferma di sua spontanea volontà. Si crea uno spirito di comunione tra loro e me: chi si ferma ad ascoltarmi si rispecchia nella musica che io suono. È bellissimo perché suonare è la prima cosa che mi viene da fare la mattina, appena mi sveglio.
Che tipo di
strumentazione usi nei tuoi spettacoli? Ci sono tantissime apparecchiature e tipologie di effetti. Per quel che mi
riguarda, ho sempre preferito rimanere il più fedele possibile al suono
dell’armonica, mantenendo molto bassi i supporti esterni. Nonostante tutto, mi
piace sperimentare con questi supporti, anche se poi l’uso che ne faccio
risulta minimo. Tutto ciò che uso sono una loop station con l’aggiunta di riverberi, un piccolo
effetto phaser e
degli overlay di
armoniche per far crescere il suono e l’atmosfera.
Penso che la tecnologia non sia altro che un escamotage dell’uomo. La
tecnologia può contribuire molto in termini di emozioni e atmosfera, ma se
abusata, può altrettanto appiattire le sensazioni. Fondamentalmente per me la
musica, tramite il suono dell’armonica, è la ricerca di un sano contatto
acustico col pubblico.
Quanto conta la sperimentazione nel tuo processo creativo? Trovo che sia molto importante la sperimentazione di sé stessi, in un palcoscenico come la strada. La musica significa condivisione, significa libertà, è un inno alla gioia nell’accogliere le sfide della vita. Questo è il messaggio che cerco di trasmettere al pubblico, che mi ascolta per le strade.
Raccontami cosa rappresenta Londra per te. Non mi riconoscevo nel posto in cui vivevo e, partendo per Londra, sono uscito dalla mia confort-zone. Così, ho avuto la possibilità di trasformare la mia sofferenza in voglia di spezzare quella profonda malinconia che provavo nell’essere un immigrato. Ho capito che dovevo vedere altro, prima di poter apprezzare ciò che avevo a casa. Londra mi ha dato la possibilità di non avere scelta. Sono, quindi, riuscito a spostare questa energia positiva, verso la mia musica. Vivere in una città dove convivono così tante etnie e culture, mi ha anche dato la possibilità di aprire la mia mente: mi sono reso conto che al mondo ci sono tante diversità, e che esistono tante cose giuste che prima ritenevo sbagliate e viceversa.
Cosa ti ha dato la vittoria ad Italia’s Got Talent? È stata una cosa forte dal punto di vista mediatico. Una bellissima parentesi tra tante altre bellissime parentesi: come la soddisfazione ed il rispetto dei miei genitori, dopo una prima titubanza sul fatto che il figlio volesse mollare gli studi di fisica, per andare a suonare per la strada. Questa esperienza mi ha dato sicuramente l’opportunità di mettermi alla prova su tantissimi palchi, sparsi in giro per il mondo, e di confrontarmi con tante tipologie di pubblico: da festival jazz, a serate reggae passando per serate di super lusso. Tutto questo mi ha messo alla prova e mi aiuta a crescere.
Che progetti hai per il futuro? Questa domanda mi piace sempre (sorride). Sicuramente, dal punto di vista personale mi piacerebbe creare una famiglia con mia moglie Silvia. Dal punto di vista artistico, invece, il mio obiettivo è quello di continuare lo studio dell’armonica e del beatbox. Vorrei girare il mondo con le mie performance in cerca di nuove ispirazioni e contaminazioni, che mi portino a vincere le mie paure e ad acquisire sicurezza ed umiltà. Sto anche per concludere uno spettacolo, che si può definire contemporary art, su cui sto lavorando ormai da qualche anno. Questo show prevede delle parti soliste con armonica e beatbox, loop machine, una parte elettronica e una parte acustica composta da voce, tromba, flauto traverso e chitarra.
Ho conosciuto da poco Moses Concas e mi piace molto la sua musica espressione delle sue radici Sarde