Un trend che appare ormai inesorabile. I sardi sono in via di estinzione e sembra che nessuno sappia come fermare questo processo. Le più recenti previsioni sono inquietanti. Dicono che nel 2066 la Sardegna avrà una popolazione inferiore a 1,2 milioni, uguale a quella degli anni Cinquanta del ‘900, nell’immediato dopoguerra e prima del boom economico che negli anni Sessanta diede un’iniezione di fiducia grazie anche alle mutate condizioni economiche. Questo perché, a partire dal 2021, ogni anno comincerà a perdere fette sempre più consistenti di popolazione residente.
A diffondere gli allarmanti dati è stato Sseo, il Sardinian socio-economic observatory, sulla base delle proiezioni demografiche predisposte annualmente da Istat. L’associazione no-profit creata da Frantziscu Sanna Carta, in una efficace infografica sul sito sardinianobservatory.org mostra l’evoluzione dell’isola in due secoli di storia, con una parte (quella già trascorsa) frutto di dati reali e una ancora da compiersi per la quale sono state utilizzate delle stime molto attendibili. E conferma il recente report della Cna che parla di oltre 3200 giovani partiti all’isola nel 2018, anno in cui la Sardegna ha fatto registrare 1 milione e 639mila abitanti, 9000 in meno rispetto al 2017.
L’analisi di Sseo parte da lontano, dal 1861 anno dell’unificazione dell’Italia, quando in Sardegna si contavano poco più di 600 mila abitanti. Da allora e sino all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso la popolazione è cresciuta, con rallentamenti dopo la Grande Guerra (molto netto quello tra il 1921 e il 1931, crescita nel decennio limitata al 2%) e un altro tra il 1971 e il 1981, periodo di forti flussi migratori dall’isola verso il resto d’Italia e l’Europa. La maggiore espansione è stata registrata in Sardegna nel decennio che va dal 1951 al 1961, con una crescita nel decennio superiore al 15%.
Dopo una fase del nuovo millennio che fa registrare valori praticamente nulli, sostanzialmente in linea con la non-crescita della popolazione della parte finale del ’900, è previsto un calo che rischia di avere effetti devastanti: nei decenni che andranno dal 2021 in poi la decrescita si farà più consistente e progressivamente più elevata fino a raggiungere picchi quantificati in un -1,2% di popolazione residente all’anno.
Un crollo demografico che non riguarda solo la Sardegna, ma è evidente che nella terra dei nuraghi il problema è decisamente più grave che nella maggior parte del resto d’Italia. Un trend irrimediabile? Forse no, se si considera un altro report di Sseo, che qualche tempo fa metteva a confronto le previsioni demografiche della Sardegna con quelle di altre isole paragonabili per caratteristiche sociali, culturali ed economiche. Ebbene, se per la Sardegna l’ipotesi è catastrofica (-34% di abitanti nel 2080), a parte la Sicilia (-16%) e Creta (0%), quasi tutte le altre vantano un trend in crescita . Addirittura, la Corsica, isola gemella per antonomasia, fa registrare un +50%, con Baleari e Cirpoi sul +44%. E, quel che è peggio, la Sardegna sarà l’isola con la più bassa densità abitativa dopo l’Islanda, che non è però una terra ospitale come questa dal punto di vista climatico.
Insomma, essere isola non significa essere condannati allo spopolamento. Significa che altri hanno saputo trovare soluzioni e che occorre avere l’intelligenza e il coraggio per dare una sterzata decisa, magari studiando con umiltà proprio le loro strategie vincenti. Di certo occorre fare in modo di rendere la Sardegna un posto dal quale, bellezze paesaggistiche a parte, non si abbia voglia di fuggire. Occorre lavoro, prima di tutto, ma per far sì che questo sia possibile occorre creare infrastrutture e servizi (energia, internet veloce, trasporti)che permettano a chiunque di creare economia anche se abita nell’interno. Importante quello che farà la politica, chiamata alla difficile impresa di ridare una speranza per il futuro. È l’unico incentivo che possa portare a uno stop dello spopolamento.
Gia’ e si vede……