di ALBERTO MEDDA COSTELLA
Alto Adige o SüdTirol, questi sono i due toponimi utilizzati per indicare la provincia di Bolzano a seconda della prospettiva da cui si guarda il territorio più settentrionale dello stato italiano…
I cittadini di lingua tedesca si considerano tirolesi del sud (il resto del Tirolo è in Austria) e non altoatesini. A livello istituzionale vige il bilinguismo perfetto. Fino al 1918 qui era territorio asburgico. Gli italiani sono arrivati in gran parte con l’annessione all’Italia, dopo la grande guerra. All’epoca del fascismo l’Alto Adige è stato italianizzato forzatamente – mi dice Pietro Congiu di Oliena, nella sede del Circolo sardo di Bolzano di cui è stato presidente dal 1980 al 2009. Furono create industrie come la Lancia e le acciaierie, che hanno fatto arrivare tanti rodigini, mantovani, calabresi. Gli italiani, da minoranza, sono diventati maggioranza in città – aggiunge Pietro, che ha prestato servizio come carabiniere in Sud Tirolo.
La questione altoatesina e il processo di snazionalizzazione
Le tracce del regime fascista sono evidenti e le prove delle politiche di snazionalizzazione di questo territorio sono nei documenti d’archivio. La città ospita due tra i più discussi monumenti fascisti scampati alle epurazioni del secondo dopoguerra: il Monumento alla Vittoria, oggetto di un attentato terroristico di oltranzisti tirolesi, e il bassorilievo col duce a cavallo, nella facciata dell’ex Casa del fascio, recentemente contestualizzato con la frase “Nessuno ha il diritto di obbedire” della filosofa ebrea HannahArendt. All’epoca del regime molti altoatesini avevano optato per la cittadinanza tedesca. Alcuni sono tornati, altri non sono mai partiti. Finita la guerra sono diventati apolidi, quindi senza nazionalità e senza beni, che nel frattempo erano stati ceduti all’Ente delle Tre Venezie o all’Opera Nazionale Combattenti. “Beni già appartenenti al suddito tedesco” si scriveva negli annunci pubblicitari. Poi, quando era possibile, hanno ottenuto nuovamente la cittadinanza e la restituzione delle case. Lo Stato italiano cercava di creare le basi per una convivenza pacifica, ma non sempre funzionava. Negli anni ’60 siamo arrivati al terrorismo. Da militari abbiamo passato anni difficili. Tutto cominciò l’11 giugno del 1961. Io stavo rientrando in caserma quando sentii dei boati e mancò la luce. Non capivamo cosa era successo. Per sette o otto giorni rimanemmo disorientati – dice Pietro, spiegando come una serie di sabotaggi ai piloni dell’alta tensione di alcuni oltranzisti diedero inizio alle rivendicazioni di tutta la popolazione locale. Il fallito attentato a un giornalista di lingua tedesca, ma filoitaliano, permise di smantellare il gruppo terrorista – riprende Pietro. Nel 1957 gli altoatesini si erano uniti al grido di Los von Trient, Via da Trento. All’epoca esisteva solo la Regione Autonoma del Trentino-Alto Adige. Alcuni volevano perfino staccarsi dall’Italia, ma capendo che non era possibile optarono per una forte autonomia di Bolzano da Trento. È stata un’azione lungimirante di governo perché si è arrivati a una pacificazione. Dopo anni di difficile convivenza, tra italiani e tirolesi è stata raggiunta la pace. La creazione della provincia autonoma e l’introduzione della proporzionale etnica, che garantisce la ripartizione delle risorse percentualmente ai tre gruppi etnici (italiani, tirolesi, ladini), hanno portato la pace, ma sancito una netta separazione. Nel centro storico sono più i tirolesi – riprende Pietro – dal ponte sul fiume Talvera in qua è predominante la componente italiana. È un dato che sperimento direttamente. In mattinata ho l’occasione di comprare del pane nella parte più antica della città. Mi accorgo che la collega della signora che mi sta servendo esterna in tedesco che non gradisce che io mi rivolga a loro in italiano. In mezza giornata passata a Bolzano, imparo così, a mie spese, che a seconda del quartiere in cui ti trovi, devi per rispetto adoperare un registro linguistico diverso.
Dalla Sardegna al Tirolo
Pietro arrivò come giovane carabiniere nel 1952. A quei tempi si ambiva ad andare nelle grandi città. Avevo un compagno d’arme di Ardauli che mi diceva: “Dai, andiamo a Bolzano, c’è mio cugino”. Sono arrivato qui il 19 gennaio: c’era un freddo terribile e indossavo una divisa leggera. Dopo una giornata a sbrigare pratiche, mi hanno dato come località Tirolo. Era già buio e alle 17:30 arrivo a Merano. Sceso dal treno, trovo un collega sardo che mi dice: e tui a innui andas? Mi accompagna così alla seggiovia che chiudeva alle sette. Dopo dieci minuti di viaggio si blocca l’impianto. Sono rimasto ad alta quota per venti minuti. Ho pensato di morire assiderato. Poi ho scoperto che il responsabile che mi aveva caricato sul seggiolino si era dimenticato di avvisare il collega a monte che stavo arrivando. Fortuna che lo stesso, vedendo che la seggiovia si era fermata troppo presto, rientrando a casa ha riflettuto che non potevo essere arrivato a destinazione in così poco tempo. E mi ha salvato. Pietro è una miniera di informazioni e di esperienze. Si potrebbe ascoltarlo per ore. La sede era bellissima – riprende – ero sorpreso perché la gente di italiano non capiva niente, né io capivo loro. Dopo un paio d’anni sono finito a passo Resia, al controllo passaporti, e ho imparato il tedesco. Gli esperti dicono che un bilingue ha maggiore facilità ad apprendere un terzo idioma e Pietro mi conferma di aver imparato prima rispetto ai colleghi di altre zone d’Italia. Dopo un mesetto a Tirolo, mi scrivono da casa che a Bolzano c’è una famiglia di paesani che stava qui dal 1934. Avevano una figlia. Alcuni anni più tardi quella ragazzina è diventata mia moglie.
Il circolo: lavoro e interazione con la comunità locale
I sardi sono in città dal ventennio, ma il circolo è stato fondato nel 1978. A Bolzano, quando ero in servizio c’erano 300 famiglie residenti. C’era un sardo tra i responsabili delle acciaierie e ha portato qui tanti conterranei. Anche il circolo se n’è avvantaggiato. Si unisce a noi Pierpaolo Carboni, attuale presidente, originario di Fonni. Siamo quasi coetanei. Anche lui ha imparato il tedesco e pure lui si è sposato con la figlia di compaesani trasferiti a Bolzano per lavoro. Al circolo siamo 130 tesserati. Molti dell’Oristanese. Solo di Solarussa saranno una trentina – dice Pierpaolo, che lavora in un caseificio di Bressanone.
Tante analogie con la Sardegna.
Dai tirolesi mi sono sentito dire più di una volta: “Lei non è italiano, è sardo” – riprende Pietro. Ci vedono simili a loro nella storia e nei problemi con lo stato italiano. Una volta andammo da Silvius Magnago, politico del Südtiroler Volkspartei fautore del Los von Trient, per chiedergli di sostenere economicamente la nostra causa come circolo sardo. Anche lui ci disse più volte che eravamo sardi e non italiani. Io la vedo diversamente, ma certo c’è molta affinità con loro. Lo stesso Pietro, quando era presidente, è riuscito a organizzare con loro una manifestazione su un confronto tra costumi sardi e altoatesini. Loro non sono molto caldi con le periferie (abitate prevalentemente dagli italiani n.d.a.). Quella volta il circolo sardo, unico tra quelli italiani, riuscì a mettere insieme tirolesi e non. Come accennato, in città sono presenti immigrati di altre regioni. È attivo il circolo polesani e fino a poco tempo fa esistevano quello calabrese e mantovano. I veneti sono arrivati qui soprattutto dopo l’alluvione del ’51. C’era il detto “Giù acqua e su rovigotti” – dice Pierpaolo. Ma oggi è difficile portare in sede le nuove generazioni. Molti dicono che si gioca solo a carte. Vedono il circolo come un ritrovo per persone di una certa età. Io personalmente lo frequentavo anche quando ero studente a Parma.
Speranze e problemi
Rispetto ad altri circoli del Nordest, Bolzano può contare anche sull’aiuto economico delle istituzioni locali. Siamo un’associazione riconosciuta e quando presentiamo progetti con i requisiti veniamo sostenuti – riprende Pierpaolo. La Provincia Autonoma di Bolzano e la Regione Trentino-Alto Adige godono di maggiori poteri rispetto alla RAS. La regione è montuosa, ma il problema dei trasporti interni non esiste. La ferrovia è in mano alla Provincia e c’è efficienza – aggiunge Pietro. Gli altoatesini, se si fossero ritrovati i trasporti gestiti come in Sardegna, non l’avrebbero certamente permesso. Speranze di cambiamento tante. Col nuovo governo della Regione sarda si potrebbe pensare all’elezione diretta di un consigliere che rappresenti gli emigrati. Sarebbe bello – dice Pierpaolo – la FASI si impegna, ma trova difficoltà a farsi ascoltare e ogni cinque anni deve interloquire con persone diverse. Anche una revisione dello statuto di autonomia potrebbe offrire maggiori opportunità. Il modello Alto Adige è stato indicato come lungimirante per la buona amministrazione e per aver pacificato la zona – sottolinea Pietro. Tanti problemi in Sardegna, dalla vertenza latte all’annoso problema dei trasporti, dai giovani che non riescono a realizzarsi al mancato bilinguismo, che darebbe maggiore coscienza di popolo a tutti i sardi. Alla nuova giunta guidata dal sardista Christian Solinas chiediamo di prendere nota.
per gentile concessione de https://www.arborense.it/
Ambasciatore della cultura sarda a Bolzano, un cittadino onorario di Oliena.
Mi complimento con Lei per la perfetta e ricca espodienr perno dire talentuosa. Lei è una persona completa scrive come ogni sardo nel ricco bagaglio di sarda dignità.. unica nel suo genere e fortemente coinvolgente. Rallegramenti maresciallo. Chi le scrive è stato a Bressanone dal 1° gennaio del 1957.successivamente 27 agosto fui trasferito a Verona cfo NATO.
SON IL FRATELLO DI NINO CASULA PURTROPPO CI HA LASCITO FISICAMENTE MA È RIMASTO SRMPRE UNA UNICA NEL SUO GENERE E MAI LO SCORDERÒ.
Con stima e considerazione un sardo saluto.
Colonnello Silvio casula