CON IL CUORE IN GOLA: SCALARE IL CIELO DELLA SARDEGNA PER TROVARE LA CIVILTA’ NURAGICA

di MAURO PILI

Se soffrite di vertigini lasciate perdere. Non fidatevi di googlemaps, l’autostrada nuragica nel cielo della Sardegna non è segnata. Per arrivarci dovete affidarvi alle aquile del Gennargentu e se la fortuna e le coronarie vi assistono tentate l’impresa.

In teoria dovete costeggiare il Parco del Carmine, sulla strada tra Villagrande per Nuoro, sino ad un ponticello di granito vero, il km a terra è il 174,2. La direzione è quella dell’alto Flumendosa. In realtà dovete scegliere se lasciare la vita terrena per raggiungere quella fantastica dell’etere. Inerpicatevi. Non concedetevi nessuna distrazione. Occupatevi del cuore in gola, della strada e ancor di più degli strapiombi infiniti a destra e a sinistra della carreggiata. Mandrie in ordine sparso costeggiano la Cordigliera del Gennargentu. Non sono catarifrangenti ma i custodi di queste terre. Si arrampicano in ogni dove e se non fosse per l’improbabilità della genetica si potrebbe pensare ad un incrocio con capre e mufloni.

Se avete scalato l’Everest non fate gli spiritosi perché qui, nell’alveo della immensa civiltà nuragica, le emozioni potrebbero costringervi a ricredervi.

Mi avevano sempre detto che la Civiltà Nuragica dialogava con le stelle, le triangolava, le proiettava sull’isola in lungo e in largo. E per segnare il tempo imponeva dei fori millimetrici in cui, in quel determinato giorno, il sole doveva entrare per forza a scaldare l’acqua del pozzo sacro.

Tutto avrei pensato ma mai che quel dialogo si fosse spinto a prendersi per mano. In realtà non ne sapevo niente di questo amoreggiamento tra civiltà nuragica e stelle consumato ad alta quota.

Per crederci bisogna arrivarci lassù, dove in pochi osano, e dove se decide di salire non puoi pensare di abbandonare il percorso in retromarcia. L’unica possibilità di invertire il senso di marcia è solo quando il cielo non ti lascia scampo.

Quella lingua d’asfalto attraversa, costeggia e insegue in lungo e in largo quelli che apparentemente sono dei corsi d’acqua. Apparentemente, perché qui l’acqua c’è ma non si vede. Limpida da far invidia ad un cristallo ondulato che dilava da monte sino a valle.

Se lo sguardo è attratto da quel che accade intorno fermatevi. Vedrete montagne sospese nel vuoto, con grattacieli di pietra che si stagliano sul cielo e tutto attorno sprofondato. Voragini infinite nel cielo.

Qui la cremagliera delle montagne scorre su un binario a scartamento lento che ogni tanto ritrovi lungo il percorso. Ma non preoccupatevi, purtroppo il treno si è fermato a Monserrato. Il trenino verde da far invidia alle ferrovie del cielo qui non passa più. Stoltezza e negligenza si sono infilate nelle rotaie dello sviluppo.

Ad un certo punto del percorso il bivio è emblematico, a sinistra il cielo a destra le piscine cascate nel cuore del Gennargentu.

La meta è costellata da una salita verticale infinita e a gomito. Se svolti non puoi più tornare indietro. Respiro lungo e si sale. Non si sa per quanto e per dove. Mi hanno solo detto che qui, almeno 3.500 anni prima di oggi, il popolo sardo aveva eretto la sua ultima difesa, quella irraggiungibile. E non si trattava di un modesto villaggio, ma ai tempi di quella straordinaria civiltà si poteva parlare di una vera e propria città. Facendo le debite proporzioni con altri villaggi, secondo alcuni studiosi, quel villaggio poteva contenere anche 1.200 abitanti.

Sembra tutto surreale, fantasia o fantascienza, vista l’altitudine. E del resto più si avanza a passo d’uomo, nonostante le quattro ruote, e più si percepisce che solo un popolo evoluto, strategicamente attrezzato e lungimirante poteva decidere di insediarsi dove pochi avrebbero osato.

L’aria è rarefatta, sempre di più. Il cuore ostruisce la gola. C’è freddo glaciale, ma senti caldo. L’adrenalina ha preso il posto del sangue. E quando pensi alle arterie viarie, capisci il vero senso di quel richiamo cardiaco. Qui l’arteria che ti porta sino all’aldilà entra nel cuore della civiltà più evoluta del Mediterraneo. Gente capace di erigere un villaggio, con tanto di sala delle riunioni e una reggia nuragica in mezzo al cielo.

In realtà più salgo e meno vedo. Intorno a me solo cielo, azzurro a piene mani e sprazzi di sole che irradiano l’orizzonte. Mi convinco che il nuraghe rimasto intatto nella vetta del Gennargentu non esiste. Impossibile aver edificato al posto del nido delle aquile. 

E, invece, eccolo il Nuraghe reggia di Ruinas, come un diamante incastonato nel cielo, scolpito da una simmetria totale con l’orizzonte infinito. Nuraghe trilobato, tecnicamente. In realtà il nuraghe più alto al mondo. Nel Gennargentu di Arzana questo gioiello custodito dal tempo e dall’altitudine non ha eguali. Quello di Desulo, cento metri più in alto, è stato purtroppo devastato dal tempo.

Il freddo qui, nelle vette della civiltà dei sardi, si fa vento, turbinamento ad alta quota.

Giusto il tempo di uno sguardo all’orizzonte per capire l’immensità di un popolo ardito e coraggioso, di una terra esclusiva.

E come ho sempre detto, non mettete troppi cartelli. La Sardegna è meglio scoprirla perdendosi, in terra e in cielo. Benvenuti nell’antica civiltà del Popolo Sardo. Quella dimenticata, ma che esiste, fiera e salda nelle vette della Sardegna nuragica.

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