di Paolo Pulina
Parabiago (importante aggregato urbano della provincia di Milano di oltre 26.000 abitanti) è soprannominata “la città della calzatura”, per la presenza di numerose industrie calzaturiere sul suo territorio (tra gli anni 1970 e 1990, insieme a Vigevano, in provincia di Pavia, si è affermata come “principale polo calzaturiero a livelli internazionali nel nord Italia”). Il circolo sardo “Su Nuraghe” di Parabiago-Canegrate è ben inserito nella dinamica culturale di un’intera zona, che comprende altri notevoli comuni vicini (Arluno, Busto Garolfo, Casorezzo, Cerro Maggiore, Nerviano, San Vittore Olona, Vanzago-Pogliano). Il direttivo del Circolo (presidente Maria Francesca Pitzalis; coordinatore culturale Piero Ledda) ha colto, con abituale prontezza, una sollecitazione proveniente da una eccezionale iniziativa editoriale riguardante il territorio del Parabiaghese per organizzare un confronto con una realtà sarda suscettibile di essere messa a confronto con una caratteristica produttiva di questa zona, cioè la bachicoltura e la sericoltura. “Bachi, filande e telai: opifici e ciminiere, 1773-1980: protagonisti, luoghi e attività manifatturiere del tessile, delle calzature e dei laterizi nell’Ottocento e nel Novecento” è un volume, di alto e largo formato, di ben 428 pagine, che porta la firma di un fecondissimo giornalista vanzaghese, Giancarlo Villa, col quale hanno collaborato – solo per (relativamente) poche pagine – Viviana Paleari, Claudio Villa (fratello dell’autore) e pochi altri, che è stato edito da “Famiglia e Società”. L’apparato iconografico è costituito da oltre 400 illustrazioni (metà a colori), che comprendono anche molti inediti documenti d’archivio e riproduzioni di opere delle pittrici Graziella Zanaboni, Romina Manoli, Francesca Lucchini e della restauratrice Rossana Fanoni. Stimolati dai temi trattati, tralasciando improponibili analogie con le realtà produttive delle diverse zone della Sardegna, i dirigenti de “Su Nuraghe” hanno voluto convocare a Parabiago la docente universitaria Gerolama Carta Mantiglia e il marito Antonio Tavera, autori anch’essi di un grosso volume (oltre 400 pagine riccamente illustrate), pubblicato nel 1992 dall’Istituto Superiore Regionale Etnografico (ISRE) di Nuoro, con una presentazione del direttore dell’ISRE Paolo Piquereddu, che come si intuisce dal titolo, “Storia della seta in Sardegna”, approfondisce un argomento ben determinato. La conferenza, imperniata sul confronto tra la storia della seta nella zona del vanzaghese e quella della nostra isola, è stata seguita con particolare attenzione dai numerosi presenti (soci e autorità locali). Ciascuno dei due relatori ha saputo sviluppare l’argomento dimostrando di esserne conoscitore specialistico ad alto livello e realizzando una divulgazione particolarmente efficace, pur nella necessaria sinteticità. Gli uditori sono rimasti affascinati dalla descrizione del processo che porta “dal baco alla seta” anche perché, con l’aiuto di un’ottantina di diapositive, ognuno dei due relatori ha fatto vedere dal vivo le trasformazioni da “su semene de su erme” (dal seme bachi) al nutrimento dei bachi con le foglie dei gelsi, al formarsi del bozzolo, e alle successive fasi che portano alla secrezione della bava che poi miracolosamente, verrebbe da dire, dà il filo di seta da cui mani sapienti hanno imparato a trarre uno dei tessuti da sempre più pregiati, la seta appunto. L’allevamento dei bachi (bachicoltura) e la produzione della seta (sericoltura) sono stati sviluppati a livello industriale in Lombardia nelle cascine (i coloni firmavano un contratto che li obbligava ad allevare un molto alto numero di bachi) e nelle filande (lavorando nelle quali, e quindi guadagnando autonomamente, le donne hanno raggiunto una fondamentale tappa sulla via dell’emancipazione dalla schiavitù dei non pagati lavori familiari). In Sardegna, nonostante le sollecitazioni provenienti dall’alto, le due attività produttive hanno storicamente interessato pochissimi addetti (nel 2004 il giornalista e scrittore sardo Lucio Spiga ha fatto conoscere la nobildonna, Francesca Sanna Sulis, che a Muravera e a Quartucciu diede impulso a una produzione serica altamente apprezzata anche nel comasco); Gerolama Carta Mantiglia nel libro scritto con Antonio Tavera e nella relazione per Parabiago ha diffusamente trattato il caso-Orgosolo: bozzoli di colore giallo che continuano ad essere i preferiti per la produzione di fili di seta (poi colorati con lo zafferano) che, lavorati col telaio a mano, danno vita a “su lionzu” (il copricapo del caratteristico costume femminile orgolese). Le autorità presenti (Mario Grandini, Assessore alla cultura e tempo libero del Comune di Parabiago; Franco Serra, Assessore ai lavori pubblici del Comune di Nerviano; Roberto Nava, Sindaco di Vanzago; Guido Sangiovanni, Assessore alla cultura e tempo libero di Vanzago), oltre a riconoscere l’impegno culturale del Circolo “Su Nuraghe” a favore della cittadinanza parabiaghese e di quella dell’intero territorio, si sono dichiarati favorevoli a interessare le scolaresche sui temi di storia locale (a partire dalla storia della bachicoltura e della sericoltura) così come auspicato da Giancarlo Villa nella sua relazione.