di MARINA MONCELSI
scritto per il progetto “ANDANDO VIA. OMAGGIO A GRAZIA DELEDDA”
Annìra si accovacciò in mezzo alla macchia di crochi viola, raccogliendo i lembi della gonna in mezzo alle gambe, chè cercava di non sporcarsi con la polvere gialla degli stimmi che staccava dai fiori, uno ad uno. Li prendeva con la punta delle dita, delicatamente; si sentiva come quei crieddi che acchiappavano i tilipirche e gli staccavano le zampette, così per cattiveria. Annìra rabbrividiva al pensiero di tanta malvagità, lei manco i fiori li trattava male. E quelli, poi, le servivano a fare il giallo per tingere la lana.
L’ombra lunga apparve improvvisamente a coprire tutto quel viola diventato nero, e Annìra agghiacciò senza riuscire a muoversi. Qualcuno era arrivato alle sue spalle, inaspettato e silenzioso. Un attimo troppo lungo di terrore, in un balzo fu in piedi voltata fronte a lui, faccia al sole.
Abbagliata dalla luce non lo vedeva in volto ma ne riconobbe la divisa: era uno dei tedeschi che avevano preso quartiere pochi chilometri più a valle, vicino alla stazione. Uno di quelli che erano saliti fin su da loro, a portare via il poco che avevano nella stalla e nel granaio. Accompagnati da quello sfaticato di Matèu Solinas, quello che si pavoneggiava con la camicia nera e gli stivali lucidi, lui che manco si sapeva togliere i pidocchi di testa quando era bambino, e adesso camminava tronfio facendo battere i tacchi pestando la strada manco fosse il federale.
Suo fratello Bostianu le aveva detto che i tedeschi erano amici, ma lei non capiva perché il babbo le aveva raccontato di quando li combatteva a baionetta, nell’altra guerra, e adesso Bostianu ci andava d’accordo. Adesso però non era adesso di ora, pensava Annìra: chèBostianu era partito anche lui, e nell’ultima cartolina arrivata c’era il timbro del re e diceva che si stava imbarcando per “zona di guerra” che chissà dove era.
Poi la notizia che aveva sentito alla messa diceva che la guerra l’avevano finita gli italiani e gli americani, che avevano fatto l’arm-stizio, e lei non lo sapeva cosa era quell’arm-stizio, ma sapeva solo che ora Bostianu tornava.
E di fronte in faccia ora c’era un tedesco. Si guardavano con attenzione, lei sospettosa e lui…ohi, lui manco un soldato sembrava! Il colletto della giacca sbottonato, berretto manco a parlarne, e gli occhi imploranti.
“Mangiare” le disse una sola parola portando la mano alla bocca. E poi: ”Io, fame”.
Annìra pensava che la
cosa migliore era correre veloce scappando, che tanto lui si vedeva che era
morto di stanchezza e non l’avrebbe raggiunta. E invece, scema! gli fece cenno
di seguirla, e lui dietro, verso casa.
E quello fu.
Che lei gli diede da mangiare, e lo tenne nascosto nella stalla vuota perché Masèda la vacca gliel’avevano portata via Matèu con i tedeschi. E tanto a casa non c’era più nessuno tranne lei, chi morto e chi alla guerra, e solo il tron-tron del telaio le faceva compagnia quando si metteva a fare di quei tappeti che poi scendeva a Nuoro a venderli. La mamma, in su chelusìat, aveva fatto in tempo prima di morire ad insegnarle tutto quello che le serviva per sposarsi: filare la lana, seccare le erbe per tingerla, e poi a tessere col telaio grande che stava in cucina faccia alla finestra vicino alla porta. Che a tessere ci voleva la luce, e in inverno il telaio lo spostava in un angolo vicino al camino, ma tesseva poco perché in inverno filava sino a che arrivava buio. La lana gliela portava il pastore vicino che il figlio la voleva sposare, ma anche lui lo avevano mandato in “zona di guerra” e non si sapeva nulla dov’era.
Le portava anche la lana nera che non bisognava tingerla, ma a lei di metterci il nero nei suoi tappeti colorati non le piaceva molto. Le piacevano il rosso e il giallo fatto con lo zafferano, anche il verde ci metteva; le foglie che sceglieva con cura per non scurire troppo la tinta, per lei erano senza misteri.
Il soldato rimase con lei per tutto settembre, e poi arrivò l’autunno che lassù era fratello minore dell’inverno. Lei lo teneva nascosto di giorno, e quando andava in paese cercava di capire cosa poteva succedergli se lo scoprivano, perché adesso i tedeschi erano i nemici e a lui, diononvoglia, magari lo ammazzavano.
Annìra lo sapeva che
prima o poi lui se ne sarebbe andato, non le aveva nascosto niente e le
fotografie dei bambini che lo aspettavano in Germania gliele aveva mostrate con
gli occhi che luccicavano uguali a quando la guardava tessere le sue trame dai
colori vividi. Perché adesso Annìra tesseva poco, ma quel poco lo intrecciava
di rossi e di gialli e di verdi, manco il marrone usava più da quando lui
l’aveva baciata.
“MeineLiebe”, la chiamava, e lei non sapeva cosa
voleva dire, ma sentiva che era una cosa che nessuno le avrebbe detto mai. Solo
lui.
E il telaio cantava, mentre lei lo riempiva di segni e di sogni.
La neve arrivò come ogni inverno, e come ogni inverno lei si chiuse nella casa dove nessuno la cercava, ma per quell’anno la provvista di legna gliel’aveva fatta lui, andando nel bosco al tramonto, attento a non farsi vedere da nessuno. E quell’inverno fu caldo, nella casa nascosta tra i nocciòli e la neve. Il telaio in un angolo, ozioso, a guardare.
La neve si stava sciogliendo e ancora non era Natale, quando la porta gridò che volevano aprirla. E Mateu non aveva la camicia nera ma gli stivali erano gli stessi, e con lui i soldati vestiti uguali a Bostianu di quando era tornato in licenza.
Lo portarono via, e Matèu sputò sul pavimento, ai piedi di lei.
La mattina dopo,
Annìra si asciugò gli occhi che avevano pianto senza poterli chiudere un solo
momento, si avvolse nello scialle di lana nera e andò alla chiesa a parlare col
prete. Lui la guardò con gli occhi che fingevano carità ma brillavano di
soddisfazione, e le disse che il peccato si paga e che adesso lo doveva
espiare.
Annìra allora scese alla caserma in fondo al paese,
e ai carabinieri domandò cosa sarebbe successo di lui, se almeno lo rimandavano
a casa, che aveva moglie e bambini; e loro le dissero che dei bambini e della
moglie si doveva preoccupare prima di diventare l’amante del nemico, e che
adesso lui era in mani all’esercito e tranquilla: che forse lo facevano a
scambio di prigionieri, ma già non lo ammazzavano.
Tornata a casa Annìra
guardò il telaio col lavoro iniziato e lasciato, e gli occhi ormai asciutti gli
domandarono scusa.
Con l’anima che chiedeva di uscirle dal petto,
raccolse dalla còrbula della lana la matassa nera, e iniziò a intrecciare.