di IRENE MUSCARA'
Sempre più spesso oggi si sente parlare di film restaurati. Come inizia il lavoro di restauro di un film? Nel porci queste domande, abbiamo pensato di incontrare la dott. ssa Franca Farina, che da quasi trent’anni lavora alla Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia. Lei si occupa in particolare della salvaguardia del patrimonio filmico, contribuendo proprio alla ricerca e alla ricostruzione di numerose opere filmiche di importanza mondiale. Così è stato, ad esempio, per Roma città aperta di Roberto Rossellini, La terrazza di Ettore Scola, Italiani brava gente di Giuseppe De Santis, quest’ultimo presentato recentemente alla Festa del Cinema di Roma.
Franca, ci racconta quando e come ha iniziato a lavorare al Centro Sperimentale di Cinematografia? Ci lavoro da quasi trent’anni, quando iniziai era un Ente pubblico non economico, ma dal 1997 è stato trasformato in Fondazione. Il Centro è diviso in Scuola di Cinema e Cineteca Nazionale, per la quale appunto io lavoro, dopo avere vinto un concorso pubblico come operatore cinematografico da proiezione. Avevo preso il patentino come proiezionista, quasi per gioco. Tramite l’ufficio di collocamento ho ottenuto dei contratti a tempo determinato che mi hanno permesso di lavorare come proiezionista al Ministero del Turismo e dello Spettacolo, a Cinecittà. Fu proprio a Cinecittà che feci la mia più grande esperienza, facendo anche della pratica. Ricordo che c’erano continue proiezioni dei cosiddetti “giornalieri”, dovevo essere veloce con i rulli a far il cambio macchina. Ho anche lavorato alla Rai al teatro dell’Opera di Roma e per sei anni al cineclub “Politecnico”, dove mi occupavo della direzione della sala. Oggi il lavoro del proiezionista non ha più lo stesso valore. Infatti nelle sale cinematografiche con la tecnologia moderna, anche un bambino schiacciando dei tasti al computer può fare partire un film. Dal 2013, infatti, vista l’assenza di produzione della pellicola, le sale cinematografiche hanno smantellato dalle cabine i proiettori per il 35mm o 16mm, facendo posto alle proiezioni in digitale. Ci sono ancora oggi cinema che mantengono questi proiettori, come il cinema Trevi di Roma e il Palazzo dell’Esposizione, ma la maggior parte delle sale moderne ha eliminato i macchinari. Io sono rimasta una nostalgica della pellicola: la pellicola è ancora il mezzo più sicuro per conservare un film. Oggi il mio compito è quello di ispezionare i materiali d’archivio filmico, per capire come e cosa restaurare. Verifico il loro stato e ne ricavo un giudizio sullo stato di conservazione. Dopo aver classificato la pellicola, nel caso non fosse catalogata, inserisco gli elementi necessari nella Banca Dati. A volte è necessario cambiare la scatola, dalla latta alla plastica, mettere l’etichetta, fare l’inventario e catalogare. Ho partecipato, ad esempio, al grande restauro del capolavoro di Rossellini, Roma città aperta. Per cominciare ho selezionato ogni tipologia di materiali conservato in Cineteca Nazionale e ispezionarlo. Ho impiegato circa due anni. E’ un lavoro che richiede forza fisica, ma anche molta attenzione e concentrazione. Il negativo scena di Roma città aperta fortunatamente si era conservato in condizioni discrete. Come prima cosa si è preservato in analogico nel formato 35mm, successivamente si è intervenuti in digitale per la pulizia delle rigature e spuntinature, lavori eseguiti al laboratorio di Cinecittà. Il restauro conclusivo in 4k lo abbiamo poi realizzato a Bologna. Su questo capolavoro c’era una leggenda. Si diceva che Rossellini quando girava il film, scarseggiando la pellicola, girava con stock rimediati. L’analisi del negativo originale conservato negli archivi della Cineteca Nazionale e i codici trascritti che stavano ai bordi delle diverse pellicole utilizzate, hanno confermato che la leggenda aveva un fondo di verità. Questa mia ricerca è stata poi utile a tanti studiosi di Rossellini. Utilizzo un macchinario chiamato accoppiatrice, dove si possono analizzare varie tipologie di materiale e il contare i fotogrammi che possono mancare, i metri, e il tempo. Spesso capita di rimettere a posto parti di pellicola strappata, a volte è necessario mettere le giunte e fare delle riparazioni alle perforazioni. Quando si analizzano queste pellicole, bisogna anche indossare delle maschere. Ci sono infatti delle polveri e a volte un forte odore acre. Credo si debba parlare di restauro quando si parte da un materiale molto antico, che ha bisogno di essere preservato, integrato e ripulito. Ultimamente ho partecipato anche alle lavorazioni del film di Giuseppe De Santis, Italiani Brava gente. Ho analizzato il negativo e fatto il report. Il restauro in digitale è stato realizzato in un laboratorio esterno. Mi ero occupata anche di altri restauri, quali Umanità del 1919 di Elvira Giallanella, una donna regista in quegli anni. Ho lavorato a Proibito del 1954 di Mario Monicelli, La terrazza del 1980 di Ettore Scola, L’ultimo pugno di terra del 1965 di Fiorenzo Serra, Il ponte dei sospiri del 1921 di Domenico Gaido e tanti altri.
Ci sono giovani interessati a questo tipo di lavoro? A Bologna esiste la Fiaf Summer School, La Federazione Internazionale di Archivi di Film, una scuola estiva che ogni anno la Cineteca di Bologna organizza per dei corsi- laboratori. Ci sono tanti giovani affascinati al tema. Io sono stata tanto aiutata dal fatto di essere stata per molto tempo all’estero. Questo ha ampliato le mie competenze. A Lisbona, ad esempio, ho fatto un corso importante di catalogazione e programmazione. Ho approfondito i miei studi anche a Lisbona, Praga e a Madrid. Questi corsi sono stati molto utili per il mio lavoro da archivista in Cineteca. Al cinema Trevi di Roma da oltre dieci anni, organizzo degli incontri dedicati al cinema sardo. Queste serate sono organizzate con estrema cura. Scelgo con molta attenzione i film, in base all’argomento e alla durata. Anche l’ordine di presentazione non è mai casuale. Che rapporto ha con gli studenti del Centro Sperimentale? Molto buono, anche se negli ultimi anni i contatti con gli studenti sono diminuiti. Quando giravano in pellicola era più facile interfacciare con gli studenti. Avevo più modo di incontrarli. Adesso si gira tutto in digitale, e ci sono meno possibilità di relazionarsi.
So che tu parli anche persiano e turco, lingue che hai studiato durante gli anni universitari. Non sono prettamente legate al tuo lavoro.Ti hanno aiutata in qualche modo? E’ vero queste lingue non sono legate al mio lavoro di restauro delle pellicole, ma ultimamente questa conoscenza è servita anche perché mi è stato chiesto di fare da una rivista di cinema la traduzione dal Farsi (lingua persiano) in italiano di un articolo su Alberto Sordi. Mi piacerebbe organizzare delle rassegne dedicate al cinema persiano. Mentre pronunciava questo desiderio e il nostro piacevole incontro stava per finire, gli occhi di Franca si sono illuminati così come quando parlava delle pellicole e del cinema che lei ama tanto.
(Diari di Cineclub)
Bella intervista Franca, complimenti!
Ciao Franca pensavo di sapere tanto di te ma ho scoperto altre doti che non conoscevo. Sei mitica.
Complimenti cara Franca, grande professionalità e competenza.
Il tuo è un lavoro splendido!
Un augurio e un saluto affettuoso!
♥️🌹🌸🏵️🌼😙
Grandeee!! E grazie per aver scelto la mia foto 😃😄
Franca è veramente una grande! 😊
Conosco Franca da molto tempo. L’intervista mi ha svelato alcune cose di cui non ero a conoscenza. Grazie Franca per aver restituito a tutti noi le pellicole restaurate dei più importanti capolavori del Cinema.
complimenti Franca 😍si legge nelle parole dell’intervista la passione per il tuo lavoro 👏ragazza vai avanti 😉