di DIEGO BONO
Da diversi anni il volto della fotografia internazionale annovera tra le fila una talentuosa artista sarda che con i propri scatti è riuscita a far innamorare non solo la città di New York, ma l’intero pianeta.
Maria Antonietta Mameli (Cagliari – 1969) nasce avvocato, una laurea ottenuta a soli 23 anni col massimo dei voti che nel 1995 le aprirà le porte, a Roma, di uno degli studi più autorevoli della nostra penisola; ma è il 2002 che per la Mameli giurista sarà l’anno della “riscoperta”. Per via di un master in Diritto internazionale alla Georgetown University, l’avvocatessa cagliaritana scoprirà infatti la città di New York, un luogo magico e tanto carico di stimoli da portarla alla dettagliata esplorazione di una passione presente da sempre, ma dimenticata e inscatolata negli impegni della vita precedente: la fotografia. I suoi scatti e la sua “Free composition” (composizione artistica in cui il soggetto viene estromesso dal superfluo) non impiegano molto tempo prima di essere notati dai più grandi nomi del settore di tutto il mondo, raggiungendo anche l’autorevolissima galleria d’arte fotografica “Bruce Silverstein” e portando perfino l’artista a firmare, con un proprio scatto, la copertina di una delle riviste più prestigiose del mondo: il TIME (dicembre 2017).
Lei ha alle spalle un lungo percorso da legale, ma è da sempre grande appassionata di fotografia: come si è affacciata per la prima volta a questo incredibile mondo? Per quanto riguarda la fotografia, la macchina fotografica è stata nelle mie mani fin da tenera età, ma nel 2005, tramite un amico comune, ho conosciuto un artista che mi ha insegnato tutto quello che di tecnico c’è da sapere e soprattutto mi ha spinto a “sperimentare” con una bellissima Nikon FE2 che ho acquistato di seconda mano, per poche centinaia di dollari, nel febbraio del 2006. Da allora non ho mai smesso di scattare e di esplorare le potenzialità creative della fotografia.
Le sue stampe sono popolate da diversi protagonisti, ma come sceglie i soggetti da ritrarre? Fino ad ora la mia fonte di ispirazione più importante è stata sicuramente la città di New York con la sua inesauribile energia, nonché i newyorkesi che la popolano. Non vado mai alla ricerca di qualche cosa di preciso, ma reputo importante essere lì, pronta a scattare. I luoghi di New York che stimolano la mia creatività sono tanti, ma hanno tutti una caratteristica comune: pullulano di persone e hanno un punto dal quale posso osservare, totalmente inosservata.
Può spiegare ai meno esperti che cosa caratterizza la sua “Free composition”? E quale tra le sue creazioni è la più rappresentativa di questo stile? Una costante della mia produzione creativa è, sicuramente, il lunghissimo lavoro di post produzione che segue ogni scatto, in modo da isolare e definire il soggetto. “Human Observations – Free Composition” è il titolo di una mia serie fotografica che ho scattato dal ponte di Manhattan volta ad immortalare l’incessante via vai dei passanti in uno dei quartieri più interessanti di New York: Chinatown.
Tra i traguardi più importanti della sua carriera vi è certamente l’esposizione in una delle gallerie d’arte fotografica più importanti del pianeta: la celebre galleria “Bruce Silverstein”, ma anche in fiere di settore di tutto il mondo. Vedere il proprio lavoro esposto nelle fiere internazionali d’arte più importanti del mondo come a Parigi, Basilea, Miami, Beijing e a New York, in una delle gallerie più prestigiose specializzate in fotografia d’arte è surreale, eppure, al tempo stesso, fonte di grande ispirazione per il lavoro futuro, spingendomi a dare il meglio e provare sempre nuovi scatti.
La copertina del TIME di dicembre ha visto come protagonista una sua composizione, come è nata la collaborazione con la celebre rivista americana? Mi ha contattato la redazione del TIME spiegandomi che stavano lavorando ad una storia sulle truppe speciali delle forze armate americane e mi hanno chiesto di creare un’immagine ad hoc per illustrare l’articolo. L’immagine di copertina è il risultato di tanti scatti e molte ore di lavoro nella mia “camera oscura digitale”. Per quanto riguarda la composizione dell’immagine ho avuto completa carta bianca da parte della redazione; questo mi ha permesso di lavorare con assoluta libertà creativa.
La ringraziamo moltissimo per il tempo concesso; per concludere, una domanda rivolta più alla Maria Antonietta professionista che artista: oggi con gli smartphone la fotografia è stata completamente sdoganata, pensa quindi che questo possa essere un aspetto negativo o positivo? E ha qualche consiglio da offrire a chi si vuole approcciare a questa realtà artistica?
La fotografia d’arte non sarà mai in competizione con gli scatti degli smartphone, mentre un consiglio che mi sento di dare a chi vorrebbe intraprendere la via della fotografia è: “non aspettate la musa ispiratrice, il lavoro porta lavoro”.