di ERIKA CALCAGNINI (Università degli Studi di Roma-Tor Vergata)
Partecipare al premio di laurea indetto dalla F.A.S.I è stata per me un’occasione importante per condividere i miei studi su Grazia Deledda. La scrittrice sarda oggi più che mai ha bisogno di essere ricordata e riconosciuta, non solo in quanto unica scrittrice italiana vincitrice del premio Nobel per la letteratura, ma soprattutto come autrice che ha lasciato ai posteri un bagaglio letterario e culturale autentico, di cui tutti dovremmo fare tesoro.
La tesi dal titolo “Lo sguardo dell’anima e del paesaggio nella narrativa di Grazia Deledda” ha focalizzato l’attenzione sul “paesaggio deleddiano” che costituisce il fulcro narrativo per comprendere l’evoluzione letteraria di Grazia Deledda.
Ma prima di orientare l’indagine sulla produzione letteraria della scrittrice, è stato necessario uno studio approfondito della biografia, attingendo a tutta la recente saggistica, al fine di ricercare soprattutto i luoghi che hanno avuto un valore particolare nell’esperienza personale della scrittrice influenzandone il suo sguardo.
La scelta dei romanzi che sono stati oggetto d’analisi, ha tenuto conto del periodo di maggiore maturità letteraria, risalente agli anni successivi al trasferimento a Roma (1900), dove è possibile riconoscere il passaggio da un’ambientazione realistica ad una più simbolica. La selezione si è dunque focalizzata sui luoghi che hanno maggiormente influito sulla produzione deleddiana: la Sardegna, Roma e Cervia. L’analisi dei tre romanzi: Canne al vento (1913), Nel deserto (1911), La fuga in Egitto (1925) si è dunque concentrata sull’evoluzione narrativa del paesaggio in Grazia Deledda, inteso non solo come ambiente geograficamente connotato, ma soprattutto come espediente poetico, caratterizzato dalla partecipazione attiva degli elementi naturali nei momenti di più forte carica emotiva presenti nei romanzi. Il paesaggio diventa un interlocutore attivo nella prosa deleddiana, è lo specchio dell’anima dei protagonisti, lo strumento narrativo attraverso il quale la scrittrice riesce ad affrontare i temi a lei più cari: l’amore, il peccato e la sua conseguente espiazione.
Infatti, ponendo a confronto i romanzi sardi con quelli continentali, si è potuto osservare come il paesaggio cambi prospettiva in funzione degli stati d’animo dei protagonisti e questi ultimi vengono affrontati secondo un’ottica sempre più introspettiva ricalcando quasi il modus operandi del romanzo psicologico. Infine, poiché il paesaggio ha, tra le tante finalità, quella di trasmettere i significati morali del romanzo, si può osservare che anch’essi assistono al passaggio dall’esteriorità all’interiorità: nei romanzi sardi il senso di colpa è scaturito dalla violazione di principi sociali vincolanti ed è amplificato dalla presenza di quella coralità che osserva e giudica i protagonisti; nei romanzi continentali, al contrario, il senso di colpa è vissuto come un fatto personale, i personaggi trovandosi soli e lontani dalla società, soffrono per il peccato commesso perché tormentati dalla propria coscienza.
In ultimo si è lavorato sulla ricostruzione complessiva della critica, soffermandosi su tutti quei giudizi che avevano adombrato o esaltato il paesaggio deleddiano, confutando il pensiero generale che circoscriveva la scrittrice nell’ambito della letteratura sarda, restituendone il merito di aver guardato – con i suoi romanzi – al mondo, nella sua molteplicità e universalità insieme, motivo questo che ha sicuramente influito sul conferimento, nel 1927, del premio Nobel per la letteratura relativo all’anno 1926.
Grazie mille F.A.S.I e viva sempre Grazia Deledda!