di OTTAVIO OLITA
Due drammatiche vicende di cronaca, quasi contemporanee, stanno dando la misura del grave disagio sociale vissuto dalle giovanissime generazioni che risiedono in paesi del centro Sardegna alle prese con la chiusura dei servizi essenziali, lo spopolamento, la massiccia diffusione di droga, la perdita di credibilità della scuola, l’abbandono degli studi.
In entrambe le vicende tutti i protagonisti, vittime e responsabili, hanno poco più o poco meno di vent’anni.
Partiamo dalla scomparsa di un diciottenne, Manuel Careddu, avvenuta l’11 settembre scorso. Quaranta giorni più tardi il suo corpo, massacrato a colpi di vanga o di piccone, viene trovato sepolto sulle sponde di un lago. Dalle intercettazioni i carabinieri scoprono che quella è la sua seconda sepoltura. In manette finiscono quattro ventenni e due minorenni. Avrebbero ucciso Manuel perché pretendeva il saldo, per alcune centinaia di euro, di una partita di marijuana venduta a uno o più componenti del branco.
La seconda vicenda ha per vittime un diciannovenne, Gianluca Monni, ucciso tre anni fa, ad Orune, a colpi di fucile, mentre attendeva l’autobus per andare a scuola a Nuoro; e un ventottenne di Nule, Stefano Masala, scomparso il giorno prima dell’assassinio di Monni e il cui corpo non è mai stato ritrovato. Nei giorni scorsi si è chiuso il processo a carico di un ventiduenne ritenuto corresponsabile, con un cugino all’epoca dei fatti minorenne, del duplice omicidio. Il ragazzo è stato condannato all’ergastolo; al cugino, giudicato dal tribunale dei minori, è stata inflitta una pena di vent’anni. I due delitti risalgono a tre anni fa, quindi tra i due cugini, con sorti così diverse, la differenza d’età è di pochi mesi. Monni sarebbe stato ucciso per vendicare un precedente sgarbo; Masala perché non avrebbe accettato l’idea della spedizione punitiva e quindi rischiava di diventare un teste scomodo.
Dai due moventi emerge la spaventosa solitudine e l’assenza in quei giovani di forti valori etici di riferimento. Se i modelli proposti e riproposti in tv e sui social sono sempre e solo quelli delle realtà metropolitane, come possono essere tradotti nel vissuto quotidiano da ragazzi inseriti in realtà sociali, economiche, culturali, completamente diverse? Realtà nelle quali chiudono gli uffici postali e i presidi sanitari, le scuole vengono accorpate, i trasporti sono carenti. Se sono solo gli amministratori locali a supplire alla lontananza dello Stato, in che modo, con quali mezzi possono intervenire?
E poi la scuola. Un dato diffuso nei giorni scorsi da Openpolis assegna alla Sardegna il primato nazionale di abbandono scolastico da parte di studenti nella fascia d’età compresa tra i 18 e 24 anni. La percentuale è del 21,2 %. Seguono Sicilia, Campania, Puglia e Calabria. Semplicistico scaricare esclusivamente sulla diffusione incontrollata dello spaccio di droga (non solo hascisc, anche cocaina ed eroina) il dramma che si sta vivendo. E’ indispensabile compiere analisi approfondite, avendo la capacità di proporre modelli educativi, di istruzione, che tengano conto delle diverse realtà nelle quali si opera.
E infine bisogna con urgenza intervenire in nome dell’assoluta necessità di offrire prospettive di lavoro e di vita a tanti giovani che, disamorati di una scuola nella quale non credono più, privati della speranza di un futuro degno di essere vissuto, condannati a rapportarsi a modelli lontanissimi dal loro quotidiano, si illudono di affermare se stessi o con la violenza o con i facili guadagni dallo spaccio di droga. Che differenza c’è tra i drammi che vivono questi ragazzi e quelli dei loro coetanei delle periferie urbane gravemente degradate?