di SERGIO PORTAS
Ci dobbiamo rassegnare, almeno noi radical-chic, da questa crisi economica di cui non si intravvede la fine, almeno nel nostro paese, e che con le sue scorie avvelenate ha mutato il modo di essere, di lavorare, di sognare un futuro possibile, di milioni e milioni di persone, se ne uscirà da destra. Rilasciando deleghe in bianco a chiunque (Duce o Capitano che sia) prometterà di riportare indietro le lancette degli orologi, a quel bel tempo antico in cui prima venivano gli italiani, poi tutto il resto del mondo. E allora sì che regnava la felicità. Del resto altri sono partiti prima di noi: con slogan tipo “America first” un facoltoso palazzinaro che mai aveva “fatto politica”e in compenso aveva il vizio di afferrare le donne che gli capitavano attorno per le loro parti intime, non è forse diventato presidente della maggior potenza mondiale? E la civilissima Gran Bretagna non aveva democraticamente scelto di ritirarsi nelle sue isole, lasciando che il resto d’Europa si arrangiasse con le crisi del debito greco, le orde di migranti che tutti volevano imbarcarsi a Calais per raggiungere Londra: che Brexit sia. E si impicchi il resto del mondo. Victor Orban, l’ungherese, ha stravinto le ultime elezioni anche tappezzando i muri del suo paese col ritratto del suo connazionale Soros, ricchissimo imprenditore di stampo liberale, convincendo gran parte degli elettori che codesto ebreo ( ebbene sì, ancora loro) fosse magna parte di una congiura tendente ad islamizzare la cattolicissima patria magiara: le orde islamiche tutte tese alla violenza sessuale delle “nostre donne”. Ma lui avrebbe eretto muri non metaforici a difesa. E lo ha fatto. I polacchi seguono entusiasti, e i cechi e gli sloveni, gli austriaci, giusto per ricordare al resto del mondo che anche loro vengono prima di tutti, hanno in mente di “regalare” il loro passaporto anche ai “cugini” di lingua tedesca ( o di razza tedesca?) costretti a vivere in Italia, in quello che loro, anche con qualche ragione, chiamano sud Tirolo, e che noi ci ostiniamo a definire alto Adige. Ininfluente che oggi si passi il vecchio confine senza neppure accorgersene e senza dover esibire alcun documento, e che il passaporto europeo emesso dai singoli paesi aderenti all’unione abbia un formato comune. Insomma siano inestinguibili l’uno dall’altro. A quando un passaporto magiaro anche per i cittadini di lingua ungherese (600.000) “costretti” a vivere in Romania? Da iniqui trattati. L’aria (politica) che si respira è di questo sentore, gonfia le vele delle barche dei Le Pen, dei neo-nazisti tedeschi ( che hanno smesso di vergognarsi per un olocausto sempre troppo amplificato, e in fondo Hitler aveva portato il paese alla piena occupazione), da qui tutto un rifiorire di braccia tese e di svastiche, da noi ci pensa Casa Pound a rinverdire i fasti del fascismo che fu e che faceva arrivare i treni in orario. Bei tempi quelli. Grillo, non molto tempo fa, sosteneva che i “cinque stelle” fossero nient’altro che un argine a tanto sfasciume. E aveva forse una qualche ragione. Un vero peccato che alla fine, solo per dare un governo a questo martoriato paese, essi siano stati costretti ad una alleanza ( loro dicono: contratto) con la Lega di Matteo Salvini, sodale politico degli Orban, dei Le Pen. Che in politica estera strizza l’occhio a Vladimir Putin, un altro bel tomo che ha “salvato” l’intera Crimea, dove si parla russo da sempre, dalle catene che l’avevano relegata in Ucraina, diecimila morti ha già fatto la “guerra di liberazione” del Donbass, gran parte civili innocenti naturalmente, e non se ne intravede l’esito finale. E allora domenica ultima di settembre, un sole che tingeva il Duomo di una luce perfetta, me ne sono andato anche io in piazza, con una maglietta rossa made in India un po’ stinta, in “risposta all’appello” dell’ANPI (spero che non siano necessarie specificazioni), dell’ Aned (Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti), dei Sentinelli di Milano (un movimento che si batte contro ogni forma di pregiudizio, di omofobia e fascismo). L’idea era di testimoniare che esiste anche un’Italia accogliente e solidale. Un’Italia che non si riconosce nelle parole d’odio che imperano sui social e che condanna i sempre più numerosi episodi di intolleranza e violenza verso chi è diverso. C’era, incredibilmente, un mucchio di gente, bandiere di Emergency, dei Verdi, una del vecchio Pci. Per dire come stanno andando le cose d’Italia, al Tg3 nazionale delle 19, neanche un’accenno alla manifestazione. Giornalisticamente parlando: una vera porcheria. Vero è che “la notizia” era quella dei 70.000 Pd in piazza del Popolo. E senza Partito democratico come sognare una qualche rivincita “di sinistra”? Sabato 22 settembre ero stato a sentire Luigi Manconi alla festa de L’Unità di Milano Metropolitana, motto della festa: “Eppure il vento soffia ancora”, vi presentava il suo ultimo libro: “Non sono razzista, ma. La xenofobia degli italiani e gli imprenditori politici della paura” (ed. Feltrinelli). Duole dirlo ma alla “festa metropolitana” c’erano davvero quattro gatti. Ah le feste ( dell’Unità) di una volta! Comunque sia con Luigi Manconi, sassarese che in cinquant’anni di continente ha saldamente mantenuto un accento sardo inossidabile, interloquivano Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche sociali, Salute, Diritti, del comune di Milano, l’ex sindaco Giuliano Pisapia e Lisa Noja, deputata del Partito Democratico. L’intero dibattito si può risentire sul sito web di Radio Radicale, loro sottotitolano: “conoscere per deliberare”. Ma onestamente c’è poco da conoscere se i consensi al nuovo governo grillino-leghista sono schizzati al 60%. Il libro è uscito nel settembre del 2017 e in esso c’è tutto un capitolo riguardante quello che Luigi chiama “l’homo calderolis”, l’infinita serie di gaffe che il rappresentate della allora Lega Nord,Roberto Calderoli ( lega che allora sputava in faccia ai meridionali e invocava il Vesuvio perché ponesse finalmente una fine al “problema napoletano”) ha perpetuato nel suo cammino istituzionale. Fino a diventare vice-presidente del Senato della Repubblica. Temo che non basterebbe un libro intero invece per descrivere compiutamente la comparsa sulla scena politica che conta di più, quella di governo, dell’ ”homo salviniensis”, l’immarcescibile nuovo ministro dell’interno italiano Matteo Salvini, a cui il titolo di “imprenditore politico della paura” calza come un guanto.
Persino Majorino inizia il suo intervento col dire che forse il libro è superato dagli eventi. Che il progetto politico da Salvini costruito è basato sul rancore. Parole d’ordine: insicurezza, incertezza, paura e rancore. Tutto sulla pelle dei migranti. L’italiano povero trattato come carne da macello. Un corto circuito per cui politiche tutte fondate su una presunta emergenza non fanno che produrre ancora più processi di non integrazione. Volano i soliti numeri, i soliti dati che dovrebbero rassicurare, solo 6,9%i di stranieri in Europa, che ne conta 500 milioni di abitanti, il bisogno effettivo di lavoratori stranieri a contrastare la denatalità italiana, un fenomeno che non è congiunturale e che non si può quindi contrastare con politiche di corto respiro, ci vorranno decenni, se ci si riuscirà, per invertire un trend che pare inarrestabile, Lo sanno bene i sardi che vedono i loro paesi dell’interno spopolarsi e morire di demografia. Di numero dei nuovi nati inesorabilmente sempre più basso a coprire le morti dei vecchi. Eppure l’affermazione: “in Italia c’è bisogno di lavoratori stranieri” è disapprovata dal 57% degli “intervistati”. Sul “caso Diciotti”, una nave italiana che non è autorizzata ad attraccare sul suolo patrio perché ha la disgrazia di aver salvato da morte “migranti irregolari”, il 61% degli italiani è con Salvini. Le centinaia di migliaia di “irregolari” che il ministro si è accorto di non poter rimpatriare dall’oggi al domani, come pure aveva tuonato di fare in campagna elettorale, cinquantamila al mese erano le promesse, senza una politica che se ne prenda cura dove volete che finiscano se non in piccola delinquenza, quella dello spaccio, dello scippo. Manconi dice che, a parer suo, i razzisti in Italia sono una minoranza, il suo è un libro sulla xenofobia, la paura dello straniero, dell’ignoto, xenofobia e razzismo non sono sinonimi, e la xenofobia non è destinata a trasformarsi in razzismo. Pur essendo una pulsione che vive in ciascuno di noi, siamo nati con il sospetto dell’uno per l’altro, guai a pensare che ci siano i “buoni”, noi, e i “cattivi”, semmai è la politica “cattiva” che ha sopravanzato la “politica buona”. Il mondo che conosciamo è in tumultuosa trasformazione, le guerre e i cambiamenti climatici spingeranno gli individui a cercare una soluzione di vita al di fuori dei loro paesi per decenni e decenni. Fra dieci anni un paese come la Nigeria avrà 500 milioni di abitanti ( in media 7 figli per donna, Ndr) e i terroristi di Boko Haram ne controllano ancora parte del territorio, attaccando scuole, terrorizzando interi villaggi. Le migrazioni non si fermeranno. La convivenza è difficilissima e spesso dolorosa, ma c’è forse un’alternativa? Eppure ci sono in Italia 5 milioni di stranieri regolari, quasi invisibili, perché non producono allarme sociale, e sono quasi 900.000 i minori che sono nelle nostre scuole coi nostri figli, che parlano italiano, che pensano italiano. Che già vestono la maglia azzurra nelle varie nazionali sportive. Il ministro della paura esulta perché nel Mediterraneo non ci sono più le navi delle Ong (organizzazioni non governative senza fine di lucro) che vanno salvando i migranti che fanno naufragio nelle carrette del mare in cui vengono stipati dai trafficanti d’uomini di una Libia fallita come Stato. L’ultima, l’Acquarius è definitivamente senza bandiera, impossibilitata a navigare, i “Medici senza Frontiere” che la sponsorizzavano possono finalmente continuare ad occuparsi di Ebola, dei Rohingya, dei tifoni che spazzano via filippini e indonesiani a migliaia, finita la pacchia, come ebbe a dire l’ineffabile Di Maio, finito di agire come taxi del mare e trasportarci in casa migliaia di disperati. Forse ne moriranno annegati un poco di più, ma intanto noi non lo sapremo. Non ci saranno più i volontari (non pagati) delle ONG a testimoniarlo. Nè i giornalisti, che anche quelli sono pieni di pregiudizi verso il “governo del cambiamento”. Non è “buonismo” pensare che a fondamento della comunità umana c’è un dovere d’aiuto per l’altro che è in difficoltà. Io ti aiuto perché domani, toccasse a me di averne bisogno, so che sarò aiutato. Diversamente, chiude Manconi, la nostra sarà una sconfitta irreparabile, e senza alibi. Ma per intanto il ministro dell’interno partorisce un decreto “sicurezza”: “Nazione di sangue per legge”, titola “Repubblica” del 27 u.s. l’articolo di Nadia Urbinati dove, scrive lei, si fanno labili le distinzioni tra immigrati, rifugiati, esiliati politici e inoltre, tra chi vive in Italia, tra cittadini di nascita e non. E Marco Damilano sull’ultimo numero dell’”Espresso” chiude il suo pezzo a titolo “Manifesto di un’ideologia feroce” scrivendo che il decreto Salvini segna l’inizio di un processo istituzionale di deriva razzista. Ottant’anni dopo le leggi razziali fasciste, non si potrebbe dirlo meglio.