di MARCELLO ATZENI
“Gli interventi di disinfestazione non possono debellare del tutto larve e zanzare adulte”. Così, Luigi Arru, assessore alla sanità, ha ammesso che il problema piccolo non è, riguardo la zanzara tigre e la febbre del Nilo ( WestNile Disease, come dicono gli inglesi) anche se non ha parlato di allarme, aggiungendo che “la situazione è sotto controllo. La strada da seguire è quella della prevenzione”. Siamo quasi a fine 2018, la specie ha ormai colonizzato l’intera isola. L’oristanese, viste le caratteristiche del suo territorio, risulta la zona maggiormente a rischio. Ma come è nato il tutto? Il primo avvistamento di Aedes albopictus, nome scientifico del dittero, risale al 1994. Vicino all’aeroporto di Elmas, intorno a un deposito di copertoni rigenerati o usati, comunque arrivati dall’estero, la zanzara depone le sue uova, proprio all’interno delle poca acqua all’interno degli pneumatici. Il focolaio venne subito circoscritto. Una campagna di eradicazione veloce ed efficace, risolse il problema per sempre. Così pareva.Successivamente si parlava della specie, ma senza darci troppo peso. Segno, comunque, che qualche esemplare fosse di nuovo tra noi. “Nel 2005, o forse nel 2004- spiega il dottor Jacopo Culurgioni, che oggi lavora all’Agris di Benassai (Alghero) ma all’epoca era ricercatore nella Facoltà di Biologia di Cagliari, esattamente in “ Parassitologia”, a Ponte Vittorio- mi accorsi che nel giardino della mia casa di Teulada, ma anche nelle abitazioni vicine, c’erano delle zanzare particolarmente moleste , “diverse dal solito” che con molta superficialità chiamavamo zanzare tigre, ma solo per il fatto che fossero molto aggressive.” Il dottor Culurgioni, però non ritenne opportuno, in quel momento, alimentare la sua curiosità. “Solo nel 2006, io che per lavoro mi ero spesso occupato di ditteri (con tale termine s’intendono le specie di insetti dotate di un solo paio d’ali, come mosche e zanzare, appunto ndc), era la fine dell’estate- prosegue il ricercatore dell’Agris, che ora si occupa di un altro settore- catturai un esemplare. Lo feci perché volevo esaminarlo bene. Ero incuriosito. Non avevo elementi per dirlo ma pensai che si trattasse dell’Aedes albopictus. Alla fine delle vacanze, tornai a Cagliari e portai l’esemplare alla Professoressa Marchi. Sapevo che lei si occupava di Culicidae (nome scientifico della famiglia di ditteri) in Sardegna. Seguiva, tra l’altro anche il monitoraggio della Anopheles. La docente confermò i miei sospetti: era una zanzara tigre. Nei due anni successivi, quindi sino al 2008, mi occupai di monitorare la specie ed emerse l’oramai inarrestabile espansione dell’areale della zanzara tigre, che ha completato la colonizzazione dell’isola”.
Insomma, la specie particolarmente molesta, è comparsa in Sardegna per la prima volta, un quarto di secolo fa, nell’hinterland di Cagliari. O almeno venne avvistata per la prima volta. La strada da seguire, quella della disinfestazione e della prevenzione, è tracciata. Ovvio il rimando alla malaria. La Sardegna era un ‘ “insula malarica”. La zanzara anofele, per secoli aveva mietuto migliaia di vittime. Venne debellata con il famoso piano della “Fondazione Rockfeller”. Gli americani finanziarono il “braccio armato”, leggi Erlas. Nell’immediato dopoguerra, interventi totali di Ddt, fecero scomparire gli insetti vettori della malattia, ma ridussero drasticamente, anche molte altre specie animali. Fu il male minore? Una cosa è certa, il Ddt, come confermarono dati di qualche anno fa, era (o forse è) presente nel latte materno delle donne sarde. Con tutto quel che ne consegue. Dunque lotta alla zanzara tigre, certo, ma occhio anche a tutto il resto. La battaglia sarà vinta, ma attenzione agli effetti collaterali. Che non sono esattamente una piccola cosa.