RACCONTARE L’ARTE DE SU FILINDEU: L’APPASSIONATA MISSIONE DI CLAUDIA CASU DA SASSARI A TOKYO

di LUIGI BARNABA FRIGOLI

Dalla Sardegna all’Estremo oriente per tramandare ai giapponesi gli antichi segreti della tradizione culinaria sarda. È l’appassionata “missione” di Claudia Casu, una delle ultime “custodi” dell’arte di su Filindeu, che dall’Isola si è trasferita in pianta stabile a Tokyo, dove ha iniziato a insegnare cucina sarda tradizionale, aprendo anche una piccola scuola per appassionati.

Nata e cresciuta a Sassari, madre di Montresta e nonni paterni della Romangia, Claudia, che prima di iniziare la sua nuova carriera faceva la designer, si definisce “maestra di pasta fresca e sfoglie della tradizione sarda”.

Perché proprio il Giappone? “Prima di avventurarmi definitivamente nel mondo gastronomico, sono stata graphic designer e pubblicitaria per tantissimi anni e, tra i miei primi clienti importanti, ci fu una famosa casa automobilistica giapponese. Cosa che mi ha portato a voler studiare innanzitutto la lingua e, in seguito, tramite diversi viaggi, a voler approfondire le usanze di questo Paese così lontano dal nostro.  Alla fine mi ci sono trasferita e attualmente vivo a Tokyo Bay con la mia famiglia”.

È stato difficile ambientarsi? “Agli inizi, sotto certi versi, non è stato facile. La società qui si muove velocissima, sotto schemi prefissati e regole abbastanza rigide. Nel tempo, però, ho capito come utilizzare questi fattori a mio vantaggio, tanto che ora apprezzo moltissimo l’efficienza e la precisione che contraddistinguono il Paese che mi ospita”.

Come è nata la sua passione per la cucina tradizionale? “La cucina in casa è stata sempre molto semplice ma gustosa, prevalentemente fatta a mano e strettamente legata alle stagioni. Ricordo ancora in maniera molto vivida “li frisgiori longhi” della mia nonna paterna o le frittelle lunghe tipiche del sassarese con cui ci deliziava nel periodo di Carnevale; oppure i ravioli di ricotta freschissima, tagliati a mano con precisione estrema dalla mia nonna materna, e il profumo del suo pane di semola che sfornava in casa.

È ancora legata alla sua terra d’origine? “Molto. Sebbene viva all’estero ormai da diversi anni, la Sardegna è dentro di me. Imprescindibile non solo nella cucina ma anche nel mio carattere ed è presente nella mia vita di tutti i giorni”.

C’è curiosità in Oriente per la tradizione culinaria della Sardegna? “Sono arrivata in Giappone proprio nel momento in cui la cucina sarda stava esplodendo in termini di popolarità e gradimento. Grazie al lavoro prezioso di collaborazione tra gli esportatori e importatori, sia sardi che locali, oggi abbiamo a disposizione diversi prodotti dell’eccellenza dell’Isola, tra cui l’olio d’oliva e la bottarga, solo per citare due esempi”.

Quali difficoltà ha incontrato? “Da subito ho notato la mancanza di attenzione nel riproporre i piatti nella loro autenticità e una certa monotonia nelle ricette, spesso reinterpretate e, nel peggiore dei casi, addirittura storpiate. Ho colto così l’occasione di presentare la cultura gastronomica sarda studiando menu trasversali che raccontassero la storia e le usanze della mia terra, legate strettamente alle stagioni e al territorio”.

Come sceglie gli ingredienti? “La mia passione per la cucina e quella in generale per il buon cibo provengono dall’attenta e a volte rigida educazione alimentare che ho ricevuto sin da bambina. Una cosa di cui ora riconosco fortemente l’importanza: in un mondo dove il cibo è sempre più povero dal punto di vista della qualità e realizzato con ingredienti spesso lontani dalla natura, ho sentito l’esigenza di proteggere e preservare la mia cultura gastronomica presentandola con cura e dedizione. Per questo mi impegno a utilizzare solo ingredienti freschi e genuini, completamente privi di additivi o conservanti. Ogni mio piatto viene realizzato da zero”.

Su Filindeu in Giappone: ricetta originale o modifiche per venire incontro al gusto locale? “Non ci sono assolutamente ingredienti extra o adattamenti esterofili nei miei piatti. Piuttosto, mi avvalgo degli eccellenti prodotti locali a disposizione per ottenere ricette gustose e di carattere, ma sempre rispettose della tradizione sarda. Anche per questo ho riscosso una grande accoglienza da parte del gusto locale. Il tutto senza dover scendere a compromessi, semplicemente puntando sulla qualità e freschezza degli ingredienti.

Preparo su Filindeu e tutta la mia pasta fresca solo ed esclusivamente a mano e in maniera tradizionale: semola sarda, che faccio arrivare direttamente dall’Isola, acqua e sale”.

Siete rimasti in pochi a custodire questa tradizione? “Quella de su Filindeu è una lavorazione molto delicata e complessa, suscettibile agli sbalzi di temperatura e strettamente legata all’abilità di chi lo realizza. Ho iniziato a preparare questa meravigliosa e rarissima pasta lo scorso inverno e, credo anche grazie alla mia caparbietà, sono arrivata a un grande risultato: oggi, infatti, sono annoverata tra le pochissime donne sarde al mondo – la settima, per l’esattezza – in grado di preparare questa antica pasta barbaricina”.

In Sardegna si avvalgono delle sue “creazioni”? “La mia versione allo zafferano, il “Filindeu ‘e oro”, è già ‘tornata’ in Sardegna dove è stata interpretata in maniera eccellente dallo chef Maurizio Melis di Nuoro, che ne ha fatto una innovativa lasagnetta”.

Torna nell’Isola ogni tanto? “Rientro regolarmente ogni anno per trascorrere del tempo con i miei cari. E per continuare a studiare e ad aggiornarmi sulle nostre tradizioni, che poi ripropongo qui in Giappone attraverso il mio lavoro”. Prossimo progetto in cantiere?

“Tra i progetti in cantiere c’è sicuramente una piccola collana di ricette in cui vorrei raccogliere il lavoro degli ultimi anni. Inoltre, unendo il mio lavoro di designer con quello gastronomico, ho realizzato diversi nuovi formati di pasta fresca e dolci che dovrebbero essere presto lanciati nel mercato”.

Un piatto della tradizione nipponica da consigliare o far scoprire a chi conosce solo il sushi all you can eat? “All’interno della cucina giapponese e asiatica c’è una tipologia di alimenti che mi ha subito affascinata tantissimo: i cibi fermentati. Si tratta di lavorazioni molto particolari, utilizzate sia come ingredienti di altri piatti, per esempio il famoso “miso” delle deliziose zuppe che accompagnano il menu tipico giapponese, oppure di veri e propri manicaretti che, accompagnati ai piatti principali, danno un tocco di gusto e raffinatezza. Si ottengono principalmente dalla fermentazione di verdure, legumi e pesce, e si dice che siano uno dei segreti della longevità asiatica”.

È stato (ed è) difficile affermarsi nel suo campo in quanto donna? “In Giappone devo riconoscere di non aver mai avvertito particolari avversità nel mondo del lavoro in quanto donna. C’è in realtà una regola non scritta nella società nipponica, che invita le donne a ritirarsi dal mondo del lavoro una volta formata una famiglia. Questa usanza sta però andando man mano a scomparire, in quanto le donne oggi si concentrano con più facilità sulla carriera e le competenze genitoriali tendono ad essere sempre più equamente distribuite. Qui, inoltre, c’è anche un buon supporto alle famiglie di genitori lavoratori da parte dello Stato, per quanto riguarda asili e scuole. E questo fa decisamente la differenza”.

https://www.unionesarda.it/

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