BENEDETTA CONTE GIOVANE PIANISTA DI ARBOREA E IL DIPLOMA CON IL MASSIMO DEI VOTI AL CONSERVATORIO DI SASSARI, E’ ALLIEVA A TRANI ALLA EUROPEAN ARTS ACADEMY 

ph: Benedetta Conte

di ALESSIA ANDREON

Benedetta Conte, giovane pianista di Arborea, dopo aver conseguito il diploma con il massimo dei voti e la lode al Conservatorio di Sassari è ora allieva del M° Camicia alla European Arts Academy di Trani

Spesso partecipi a festival internazionali, sei appena tornata da Napoli, cosa ti colpisce di più in queste occasioni? Quando ho partecipato per la prima volta ad un festival internazionale, la prima cosa che mi ha colpito è stata il confronto tra le diverse culture: ho conosciuto tanti ragazzi americani, cinesi, coreani, ungheresi… ed è stato bello parlare con loro delle nostre tradizioni e del modo in cui viviamo, oltre che di musica. Per quanto riguarda l’aspetto prettamente musicale, invece, trovo interessante il modo in cui proprio questa diversità culturale porta alla nascita di tante scuole di pensiero differenti. Questo lo si nota sia facendo lezione con Maestri provenienti da vari Paesi, sia ascoltando i ragazzi stessi durante i concorsi o le masterclass. Per questo penso che avere la possibilità di partecipare ad un festival internazionale sia un’occasione di crescita e di grande arricchimento personale.

Quest’anno hai vinto il prestigioso Premio Eggman – Giangrandi, com’è stato? Questo Premio in particolare è stato molto emozionante, prima di tutto per il fatto che si è svolto presso l’auditorium di Cagliari, dove non suonavo da diverso tempo, ma soprattutto mi sono sentita lusingata di essere stata premiata in memoria di Renato Giangrandi ed Arlette Eggmann, due personalità di cui stimo molto la carriera musicale ma che purtroppo non ho avuto la possibilità di conoscere personalmente. Sono felice del fatto che uno dei concerti premio sia inserito nella rassegna organizzata dall’Ente Concerti di Oristano. È comunque difficile descrivere l’insieme di sensazioni che provo ogni volta che partecipo a qualche concorso e, soprattutto, quando vengo premiata. Anche pochi mesi dopo, quando sono stata insignita del Premio Terenzio a Cerignola e poi del Premio Ciccolini a Trani, non ho realizzato immediatamente cosa stava succedendo: mi sembrava di vivere in un sogno! Dopo tanto studio e sacrificio, è una bella gratificazione essere  in mezzo a tanti talenti.

Stai girando il mondo grazie al tuo talento musicale, per una ragazza di 23 anni un’esperienza esaltante, cosa vedi nel tuo futuro? Guarda che ho 22 anni, non invecchiarmi! Questa è una domanda difficile: posso dirti cosa mi piacerebbe fare. Intanto mi sto dedicando allo studio di nuovi brani, che spero di avere la possibilità di eseguire in concerto in un futuro prossimo. Certo, sarebbe bello vivere di concertismo. Però bisogna tenere i piedi per terra: proprio perché ho viaggiato un pochino ho potuto vedere che c’è tanta competizione a livelli veramente alti! Per questo mi impegno ogni giorno nello studio, cercando di migliorarmi sempre: perché il mio sogno è quello di continuare a viaggiare ed esibirmi, magari in teatri sempre più importanti.

Hai avuto il privilegio di suonare anche al J. F. Kennedy Center for the Performing Arts di Washington, un vero tempio dello spettacolo U.S.A., cosa pensi che servirebbe per dare nuovo slancio alla musica, soprattutto nella nostra realtà? Penso che in Sardegna, così come in tutta Italia, manchino i fondi o che ci sia paura di spenderli a favore della cultura. Sembrerebbe che da noi la musica non sia neppure considerata una professione, ma piuttosto un hobby. Quando uno studente di conservatorio incontra un qualsiasi altro studente universitario, spesso si sente dire: “Ah, studi musica. E basta?”. Una volta mi hanno detto che ci vorrebbero più iscritti in medicina e meno musicisti, perché nell’opinione comune il musicista è uno che guadagna tanto senza fare nulla e non combina alcunché di utile. In realtà dietro l’esecuzione di un concerto – che generalmente dura un’ora/un’ora e mezza – c’è un lavoro immenso: di tutto l’iceberg, quello che il pubblico “vede” non è altro che la punta. Oltretutto il guadagno non è così alto, rispetto anche ai costi che gli studi comportano. C’è un problema di educazione alla radice, perché la musica dovrebbe essere come il pane: come si fa a vivere senza?

https://www.arborense.it/

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