di MASSIMILIANO PERLATO
Scrivere i pensieri tratti di un libro appena letto, non è mai un compito semplice. Tutt’altro. Soprattutto perché ciò che si percepisce da una lettura è talmente soggettivo, che si rischia così d’influenzare qualsiasi altro lettore. E di gettare conseguentemente ombre sull’autore che non meriterebbe.
Scrivere di un libro è come fare una full immersion nel proprio stato d’animo, perché giocoforza quella che può essere la propria esperienza nelle tematiche affrontate va ad intaccare ciò che palesemente si evince dalla lettura, Rischiando di smarrire la lucidità nelle considerazioni.
Per Mariachiara Farina e per il suo libro “Le Furie” (Robin Edizioni) farò un’eccezione. Semplicemente perché lei prima di dare in custodia nelle mie mani la sua opera, mi ha fatto cogliere l’essenza del suo essere. E l’empatia che ne è originata è assoluta. Non potevo sottrarmi ad una mansione che mi ero ripromesso di svolgere.
Dalla penna magistrale e diligente di Mariachiara Farina trapela sensibilità allo stato puro. L’ampiezza descrittiva e l’eleganza dei dialoghi nell’apparente semplicità, è un maturo lavoro di mestizia che predomina in tutto il libro, che appassiona e elargisce emozioni sino al suo epilogo.
“Il libro – aveva detto in una precedente intervista – nasce da una riflessione sul tema dell’identità e della proiezione, una sorta di Orestea al femminile, dove il delitto però è metaforico. Ed è reciproco. Uccidiamo chi ci sta accanto ogni volta che i pregiudizi e le aspettative ci portano a vederlo come ciò che vogliamo (o temiamo) che sia, e non come ciò che è realmente. È per evitare questa continua uccisione che Melania, la protagonista del mio romanzo, sceglie di allontanarsi dalla realtà in cui è nata, la mia intensa Barbagia, e di affrontare un percorso di vita oltre il confine del mare. Da questa rottura prenderà il via una ricostruzione importante e la distanza la aiuterà ad accettare in sé le schegge di un’identità da cui un tempo aveva creduto di doversi difendere. Quando si è giovani si tende spesso a credere che dall’amore scaturisca la comprensione. In realtà nessun essere umano, per quanto ami, può veramente comprenderne un altro. L’altro possiamo solo accettarlo, sforzandoci di guardarlo con occhi puliti.”
Un viaggio suggestivo e ricco di magnetismo quindi, in cui la protagonista
Melania, è all’incessante ricerca di una propria conformità interiore. Tutta da scoperchiare, pienamente sconosciuta al proprio animo. In un periodo della propria vita, nel percorso di crescita dalla sostanza complicata quale è l’adolescenza.
Un mosaico di relazioni autenticamente familiari talvolta inestricabili fra incomunicabilità e carenza di dialogo, acutamente affrontato con cognizione di causa e capacità interpretativa che fa spiccare il talento dell’autrice. Con la madre Tiziana, vero ed essenziale sparring partner della giovane protagonista, catalizzatore finale delle eterne insicurezze e delle sfumate inquietudini. E conseguentemente con la nonna Altea, nel compimento del trittico femminile a cui è dedicato il libro. Si plasma una contrapposizione d’intenti che è il preludio alla fuga di Melania da quella Sardegna, che rimane vigente come “sottofondo” narrativo. La ricerca pregressa di una ricontrattazione dei legami e delle interazioni con le donne della sua famiglia, hanno indicato le lacune di Tiziana (ed Altea) nel rimodulare i propri sentimenti e la capacità di relazionarsi con la figlia.
Melania introduce così una trasposizione del tutto personale come resistenza alle proprie insofferenze, in un silenzio fatto di grandi meditazioni intrinseche per sperimentare se stessa nelle relazioni con un padre troppo assente già dall’infanzia, con le amicizie che alla fine l’abbandoneranno e con un acerbo amore da cui non troverà gioia e serenità, ma tanti e troppi dubbi ed incertezze.
Melania è una figura poliedrica comunque positiva e dalle mille sfaccettature umane e cognitive. La sua virtù è la continua e significativa ricerca di rapporti sinceri, profondi e permanenti. Le difficoltà relazionali che sono diventati veri e propri conflitti, hanno portano fatica e dolore emotivo intenso. Un percorso di crescita in cui i punti di riferimento canonici sono venuti inesorabilmente a mancare tanto che ad avere la priorità è il desiderio di autonomia, di indipendenza, per affermare lontano dai luoghi della propria crescita, la libertà tanto bramata.
Il messaggio che l’autrice Mariachiara Farina vuole trasmettere con questo suo debutto come scrittrice è un invito alla speranza, all’ascolto, alla comprensione reciproca. Temi che ritraggono lo sviluppo degli individui.
Ed è questo che emerge nell’epilogo in cui Melania, quasi con disperazione, va alla ricerca di se stessa e delle sue origini oramai lontane, in un gioco di immagini in cui si tracciano i profili passati della madre e della nonna.
Mariachiara Farina, natali a Nuoro. terminati gli studi classici, ha lasciato la Sardegna per iscriversi a Giurisprudenza a Pisa. Esperienza di vita e di lavoro in Australia. Rientrata in Italia, è stata a Roma dove ha lavorato come praticante per l’Avvocatura di Stato. Infine a Milano dove vive attualmente, ha frequentato un master in business administation. Nel capoluogo meneghino è avvocato ed è stata la culla per la stesura del suo romanzo.
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