di PATRIZIA BOI
Un Ginepro millenario che aveva sfidato le ventate dell’Isola, viveva arroccato sulla montagna al margine del Bosco Sacro. Era l’albero più alto della Foresta e per contenere il suo tronco non sarebbero bastate le braccia di dieci ragazzini. I suoi aghi argentati erano così fitti che nonostante l’età sembrava un giovanotto. La sua postura eretta e i suoi rami elegantemente verticali lo facevano apparire come un esemplare guerriero. Di certo dal suo legname solido erano stati ricavati i più svariati strumenti, forse armi, forse polene per le navi dei Shardana, gli abili navigatori sardi. Il suo legno virile era servito ai più vecchi sacerdoti dei Templi nuragici per costruire coltelli dalle lame taglienti, affilate con pietre di granito rosa e basalto. Più efficaci del metallo, questi coltelli non prendono fuoco e non si scheggiano, per questo erano preferiti nelle cerimonie sacre dove si sacrificavano selvaggina o agnelli.
Questo Ginepro gigantesco era piantato su una parete rocciosa, le sue radici penetravano nelle viscere delle rocce, si nascondevano dentro grotte buie e si abbeveravano in laghetti azzurri e immoti, attorcigliandosi sulle stalattiti, scorrendo dentro le fessure del granito, gli inghiottitoi e le doline. Ormai non produceva più frutti, troppo impegnato com’era ad accrescere le sue foglie aghiformi e a fortificare il suo fusto. Era il simbolo del coraggio maschile, sfidava tormente e temporali, pioggia e grandine, fulmini e tuoni. Troneggiava d’inverno nel suo abito bianco, regale e distinto come solo i più forti monarchi sanno essere. La sua veste risplendeva al canto della luna nelle tiepide notti d’estate riflettendo il cielo come un lago argenteo e si incendiava al calore del mezzogiorno quando i tordi cercavano un riparo all’insopportabile calura. Il bell’aspetto e la salute di cui godeva la pianta non passavano inosservati e piacevano a una Gineprina, di certo molto giovane e con i rami ancora delicati. La sua corteccia morbida e liscia era, però, già abbastanza resistente per costruire travi in legno per case, nuraghi, per creare piatti e bicchieri sui quali poter intagliare figure di animali e personaggi delle leggende. La capigliatura ispida e pungente in quel suo tronco profumato e rossastro la rendeva assai elegante e un poco misteriosa. Era carica di bacche dal sapore acre e speziato che attraevano le altre piante del bosco. La sua bellezza raggiungeva il massimo splendore proprio negli inverni pieni di neve, quando, al chiaro di luna, il riflesso dell’astro notturno diffondeva nei maschi del bosco il guizzo di un sorriso. Erano tanti i giovani Abeti pronti a offrirle un loro ramo e i Frassini attratti dal suo aspetto sensibile. Un maturo Carpino nero la corteggiava da una radura vicina e un astuto Ontano le offriva il mantello innevato, ma lei non aveva occhi che per il millenario Ginepro. Forse perché le loro nature erano simili, le loro anime inseguivano la luce di uno sguardo per colmare la distanza dei loro tronchi. La Gineprinaprotendeva il fusto nella direzione di quell’albero, ma era troppo piccola ed esile per farsi notare, nascosta dagli alti fusti che svettavano nel bosco. Lui la guardava attraverso le fessure libere tra i grovigli di rami, nei riflessi dei raggi solari che illuminavano il suo sorriso, negli aliti di vento che spostavano il fogliame per svelarla ai suoi occhi. Il loro amore era già vecchio quando gli uomini abitavano le grotte, scheggiavano la pietra e scavavano ipogei per seppellirvi i morti, eppure la lontananza dei ceppi lo rendeva impossibile.
In una notte di temporale, spaventosa e attraente come i tuoni e i lampi che la accendevano rombando nel silenzio del bosco, scese un fulmine immenso. Esso colpì le piante innescando un incendio spaventoso. Il fuoco divampò per tre giorni e tre notti e tutto il bosco fu illuminato a giorno. La Gineprina tremava di paura, aspettando che le fiammate incenerissero il suo bel tronco. Il Ginepro millenario, invece, era così forte e coriaceo che il rogo non riusciva nemmeno a scalfirlo e il suo coraggio non temeva gli attacchi della natura. Una moltitudine di uccelli, infatti, si rifugiò al riparo dei suoi rami, nell’intricato intreccio che faceva scudo al calore del fuoco. Non sapeva cosa si sarebbe salvato dei legni che lo circondavano, ma era certo che lui sarebbe sopravvissuto. Sperava che anche la Gineprina potesse resistere alla distruzione dell’incendio, ma era più facile che un fusto così giovane ed esile potesse cedere alle lusinghe della fiamma. All’alba del quarto giorno, l’incendio finalmente si spense e la prima luce mostrò i resti carbonizzati delle piante. Il Ginepro millenario si scosse tutto, rivolse la sua attenzione verso l’infinito e il suo sorriso brillò. Nonostante l’incendio l’avesse lambita per tutto il tempo, la Gineprina era ancora intatta. Il suo carattere di alberello pungente e l’asprezza dei suoi frutti l’aveva resa impenetrabile alla devastazione del fuoco. Essa era tutta raggomitolata su se stessa, impaurita e stanca per il mancato riposo, ma era intera e viva come non mai. Allora stiracchiò i rami e allungò il fusto elastico sciogliendo al vento la sua capigliatura. In quel momento incrociò lo sguardo del Ginepro e si sentì immensamente turbata. Che magia potersi ammirare per intero, in ogni particolare e dettaglio, potersi sorridere, poter protendere i rami per tentare d’avvicinarsi, abbandonarsi al respiro dell’altro, ai profumi intensi portati dal vento. Potevano guardare insieme l’azzurro del cielo, scaldarsi al sole di mezzogiorno, farsi accarezzare dalla pioggia e sferzare dalla grandine. Mancava ancora il toccarsi, sfiorarsi, avvolgersi in un abbraccio.
Ci vollero anni di tenero amore per costruire un impercettibile avvicinamento, ma li aiutò un’altra calamità della natura. Una scossa di terremoto, certo tremenda e inquietante, come non ce ne furono mai altre nei secoli dei secoli nell’Isola, fece precipitare nel sottosuolo un masso di granito, due lembi di terra s’avvicinarono e una sorgente d’acqua sgorgò dalla fenditura che si era prodotta. Lo scroscio d’acqua diede una grande energia alle due piante. Il Ginepro si bagnò, il suo legno divenne morbido e fresco come la carne giovane, le sue radici poterono muoversi nella terra ed espandersi. La Gineprina si riempì di germogli, di frutti succosi e intensamente colorati, i rami e le foglie si moltiplicarono sviluppando una capigliatura foltissima, il suo fusto divenne infuocato di passione. Ma fu il Ginepro a fare il gran passo verso di lei. Estrasse una enorme radice dalla terra e l’affondò accanto al busto di lei, poi si protese verso la Gineprina e l’avvolse con le sue potenti braccia. Lei estese tutto il suo corpo e s’abbandonò a quell’energica forza. Di giorno in giorno il loro Amore crebbe nell’intreccio dei loro rami che ora non si distinguono più. Ai loro piedi la sorgente ha creato uno splendido lago popolato di pesci e uccelli variopinti e gioiosi.
Ogni bell’albero che si rispetti
non può restare in spazi ristretti
cresce e s’allunga quando lo vuole
e si ricopre di foglie al sole.
Quando però divampa un bel fuoco
che tutto brucia e sconvolge il gioco
ogni distanza si può avvicinare
e la piantina può farsi abbracciare.