di Veronica Chisu *
Incontrare un sardo all’estero non fa certo notizia, men che meno in Francia, meta d’immigrazione per numerosi isolani sin dal 1800. Ma, se la forte immigrazione che contraddistinse la Sardegna agli inizi del secolo scorso venne definita un “triste esodo”, di certo quella dei giorni nostri sta assumendo dei contorni ben differenti. Seguendo il celebre proverbio secondo cui in Francia, a parte Parigi, il resto è provincia, sono tanti i sardi, giovani e meno giovani, che, attratti dal fascino e dalle opportunità lavorative della grande città, si trasferiscono nella capitale francese. Alcuni sulle rive della Senna sono andati in cerca di fortuna, altri per inseguire un amore o la passione della vita, altri ancora semplicemente sono nati in territorio francese ma non hanno reciso il cordone ombelicale che li lega alla Sardegna. Tanto che tra i rumorosi boulevard non è raro incontrare i segni di questa silente presenza, così accade che una libreria nei pressi della Sorbona dedichi un’intera vetrina alla scrittrice Milena Agus o che s’incontri un newyorkese appassionato di Salvatore Satta. Il consolato italiano registra all’incirca 600 italiani di origine sarda, ma voci ufficiose ne attestano un numero fortemente maggiore. Tale presenza è testimoniata anche dai due circoli promossi dalla Regione Sardegna: la Domo sarda e S’isula sarda, a cui si aggiungono le due associazioni fondate più recentemente Art et culture en Sardaigne e il blog Casa della Sardegna. L’ideatrice e principale referente del blog è Giusy Porru. Originaria di Villanovafranca ma residente in Francia da più di vent’anni, moglie di un francese e madre di due figli che si definiscono in prima istanza francesi, Giusy afferma, da parte sua, di sentirsi in primo luogo sarda. Ed è proprio coltivando questo sentimento d’appartenenza alla terra d’origine che Giusy dedica le sue energie e il suo tempo al blog, proponendo in tal modo anche un modello associativo differente. Afferma, infatti, che la nuova immigrazione viaggia diversamente, si muove su canali differenti e necessita anche di un appoggio pratico nella capitale francese, ossia opportunità di lavoro oppure informazioni su possibili luoghi di residenza. L’ambizione di Giusy consiste, non solo nel soddisfare le richieste di tipo pratico, quanto di proporre un portale bilingue di comunicazione e vendita sia della cultura che dei prodotti sardi. Ed è proprio sui prodotti sardi che Flavio Mascia, originario di Gairo, ha costruito il suo mestiere, aprendo un ristorante di cucina italiana e sarda nel XV arrondissement. Interessato a fungere da vetrina anche per giovani artisti sardi, Flavio mostra una collezione di foto che ritraggono momenti specifici di attività di una Sardegna ancora attuale, dalla mungitura alla lavorazione del pane, sembra che sia l’attenzione quasi filologica ai prodotti tipici a risultare alimento al “Fontana rosa”. L’esperienza di Clotilde Pillosu, originaria di Cagliari ma residente da più di 30 anni nella città francese, è parzialmente diversa. Arrivata a Parigi in relazione a interessi professionali, è una pittrice che, pur essendo originaria di Cagliari, per questioni burocratiche ha preso la cittadinanza francese e afferma di sentirsi “più cittadina del mondo che sarda”. Secondo Clotilde la città dei caffé e dei teatri concede a una persona, e in particolare ad una donna, uno spazio di libertà e di autonomia che anche il capoluogo sardo si sogna. L’esperienza di Gian Paolo Cossu Dejana è molto diversa dalle altre ma, in un certo qual modo, le rappresenta tutte. Figlio di emigrati sardi, nato e cresciuto in Francia, dopo una brillante carriera come direttore finanziario di due grandi multinazionali, ha deciso di tornare, come ci dice, “a paese”. Pur essendo emigrato di seconda generazione, Gian Paolo padroneggia la lingua sarda, imparata a casa dal padre originario di Ardauli, ma soprattutto nel circolo sardo che frequentava da giovane a Parigi. Circolo che già a ventun anni abbandonò perché capace di rinfocolare esclusivamente la “pena di essere immigrato”, privo quindi di alcuno spunto innovativo. Gian Paolo sembra non aver perso la vitalità che lo caratterizzò nella giovinezza ed è pronto ad avviare una nuova attività proprio nella sua zona d’origine: il Barigadu, la zona collinare oltre il Tirso. Liberatosi del sogno dei suoi avi di una Sardegna del passato e di un’industria a forte impatto ambientale, quale quella sviluppatasi negli anni ‘60-’70; citando il suo maestro del vecchio circolo sardi, afferma: “non voglio più gestire nostalgie”. Piuttosto, intende mettere a frutto le esperienze professionali acquisite, perseguendo quel sogno di una Sardegna continente, terra di un possibile sviluppo economico alternativo. La sua attenzione è primariamente rivolta al mercato: occorre portare avanti “un discorso compatibile col prodotto e con la clientela potenziale” che, allo stesso tempo, agisca nel rispetto dell’ambiente e degli abitanti del luogo. Il suo campo d’investimento è il turismo, ma non il turismo da vetrina a cinque stelle della Costa Smeralda, quanto un turismo rurale consapevole della bellezza e soprattutto della ricchezza culturale, archeologica e paesaggistica della Sardegna. “Ciò che mi interessa -afferma- è offrire una sistemazione che abbia il massimo rispetto per l’ambiente e che mantenga le caratteristiche originarie del paesaggio e -continua- dev’essere perseguita e coltivata l’unicità della Sardegna”, la sua inestimabile differenza senza che tale atteggiamento sfoci in un immobilismo volto a mantenere una presunta atavica autenticità dello status quo. “La strutturazione di un progetto – dice – non è incompatibile col rispetto, anzi conduce alla valorizzazione del luogo”. Occorre coniugare turismo e modernizzazione, ciò può significare ad esempio: “ristrutturare le vecchie case dei pastori, nel pieno rispetto delle caratteristiche originarie ed offrire delle case bio ma con la rete wi-fi”. Perché la Sardegna promuova uno sviluppo economico differente, secondo Gian Paolo, occorre svolgere delle indagini di mercato consapevoli della specificità del luogo, occorre che ci sia un forte interazione tra quadri dirigenti ed operatori del luogo, ma anche una formazione professionale mirata. E forse, come anche lui ammette, un amore filiale verso la terra madre Sardegna. È con l’esperienza di Andrea Salis che si può concludere questo piccolo viaggio tra i sardi di Parigi. Dopo la triennale in Scienze dell’amministrazione conseguita all’Università di Cagliari, Andrea è andato proprio nella capitale di un impero che ha visto nascere la Pubblica amministrazione della modernità, dove frequenta un master in “Scienze dell’amministrazione e dello sviluppo del territorio” all’ Università di Paris 8. La motivazione che l’ha spinto a continuare i propri studi nella capitale francese, nonostante “non sia il posto più facile per ambientarsi”, è l’eccellenza che tale corso rappresenta nel suo campo professionale, oltre all’arricchimento che un diverso approccio universitario comporta di per sé. Lo studio manualistico della dottrina tipico della giurisprudenza italiana, infatti, è qui surclassato dallo studio di casi pratici. Lo studio focalizzato sulle singole sentenze è però retto da un’impostazione del lavoro molto rigida, ad esempio la frequenza alle lezioni e la stesura di elaborati scritti è obbligatoria. In Francia il mondo universitario della ricerca speculativa e il mondo lavorativo non sono distanti anni luce: molti professori sono anche professionisti, ma non solo, all’interno del percorso accademico sono previste delle formazioni professionali, gli stage obbligatori per il conseguimento del titolo. Inoltre uno studio più mirato permette di approfondire anche aspetti politici e sociali che non hanno direttamente a che fare con la giurisprudenza. Andrea, però, non se la sente di privilegiare un sistema d’istruzione piuttosto che l’altro. Anche il sistema francese infatti ha le sue pecche, so
prattutto nelle sue finalità, più o meno dichiarate. Lo scopo è “formare delle persone competenti ad esercitare un determinato mestiere, il titolo universitario attesta la tua idoneità” ma tale sistema, ci dice, “non stimola l’eccellenza. L’università è semplicemente un servizio pubblico atto a garantire un buon livello di competenze”. L’approccio italiano, invece, “nonostante la dispersione, costringe ad uno studio più teorico e quindi anche più teoretico”, ad una produzione concettuale differenziata. “In Francia- continua Andrea- invece, non sembrano affascinati in modo incondizionato dal diverso”, anche per quanto riguarda le relazioni interpersonali occorre “sapere come funzionano le cose”, ossia rispettare un certo grado di formalità, “una certa forma è necessaria per poter esprimere la propria identità”, una sorta di legge non detta sottende e plasma anche i rapporti interpersonali. La rassegna di queste esperienze mostra come un momento di forte globalizzazione, quale quello che stiamo vivendo, abbia anche dei lati positivi. Non si tratta di “vincenti” ma di persone che, grazie alla cultura delle propria terra, riescono abilmente a declinare la propria identità coniugando le proprie esigenze alle richieste di una grande capitale europea. E’ grazie a loro che l’espressione “Fortza Paris” può assumere significati nuovi e, per una volta, si potrebbe addirittura insinuare che neanche lo sciovinismo francese è rimasto indenne dalla carica dei Quattro Mori.
* Sardi News
Fantastico questo blog. Un bel servizio per la Sardegna per far conoscere la Sardegna degli emigrati. Complimenti per la tenacia e la continuità.
Ringrazio Veronica per aver completato l’ articolo con i due argomenti molto importanti tramite le due ultime interviste.
Per quanto riguarda il numero dei sardi a Parigi, credo sia molto difficile stabilirlo per alcune validi motivi….
Tantissimi non sono iscritti al Consolato italiano, dove sono registrati in maggioranza gli emigrati della vecchia generazione. Tra questi, non si contano coloro che avevano acquisito la nazionalità francese , perché sino a una decina d’anni fà si perdeva immediatamente quella italiana. Quindi non esistono più neanche come sardi!
Poi ci sono i figli di seconda generazione che malgrado i due genitori sardi, si sentono sardi al limite in vacanza al mare, ma non in città…
Consideriamo anche i matrimoni misti, dove spesso il coniuge sardo (uomo o donna) preferisce per ovvie ragioni
diventare a tutti gli effetti francese.
Secondo me si potrebbe facilmente raddoppiare questo numero approssimativo, anche per i tanti sardi che continuano a immigrare oggi per lavoro e per studio, ne incontro abbastanza spesso per poterlo confermare. Questi in maggioranza fanno il possibile per integrarsi, oppure sono troppo impegnati per adattarsi a una nuova vita, lingua e ambiente, che non badano più neanche agli italiani.
Questi sicuramente non frequentano circoli o associazioni, anzi in maggioranza le rifiutano o le evitano, perché non vi trovano alcun interesse!
Ho l’abitudine di dire che "siamo tutti sparpagliati" ed è vero,molti infatti risiedono fuori città e sono sparsi in tutta la regione parigina.
Voglio infine ricordare che la Sardegna qui a Parigi è ancora una regione completamente sconosciuta, come per tanti stranieri e francesi in generale,.
saluti a voi tutti