di FRANCESCO CANEPA
Lunedì 28 aprile 1794 ! Questo è il dì nel quale si verificarono quelli che furono chiamati i “vespri sardi” contro il governo piemontese, che aveva rifiutato di accogliere le “cinque petizioni” tendenti ad ottenere una maggiore partecipazione della società sarda nella pubblica amministrazione civile e militare ed un alleggerimento dello strapotere dei rappresentanti del potere centrale : per qualche tempo lo stesso viceré Balbiano e la sua corte (oltre cinquecento persone) dovettero lasciare la Sardegna e Giovanni Maria Angioy riuscì a governare quella situazione, sino a quando la nuova alleanza fra Napoleone ed i Savoia non li riportò nell’Isola.
Con questa appassionata narrazione il presidente Masia (da pochi giorni anche presidente dell’UNAR: “Unione associazioni regionali di Roma e del Lazio” ) ha avviato l’incontro di sabato 28 aprile dedicato ancora una volta ad Antonio Gramsci scomparso il 27 aprile di ottantuno anni fa ed alla ricorrenza de “Sa die de sa Sardigna”, e di altri eventi: il settantesimo anniversario dello “Statuto della Regione autonoma della Sardegna”; il settantesimo della fondazione del “Gremio dei Sardi” in Roma, la cui attività si svolgeva in realtà fin dai primi del ‘900 ad opera di alcuni fra i quali Pasquale Marica di Sanluri, che poi ne fu il fondatore nell’aprile del 1948, insieme a Gianni Ticca, Melchiorre Melis, Ennio Porrino, Remo Branca, Gavino Gabriel ed altri, celebrati nel volume “Il Gremio” , scritto dallo stesso Masia ed edito nel 2015 dalla “NemaPress”di Neria De Giovanni;
La celebrazione della XXV edizione de “Sa die de sa Sardigna” si sta svolgendo proprio oggi in Sardegna, in particolare a Cagliari, con l’intervento dei presidenti del Consiglio Regionale e della Giunta, e la partecipazione di una delegazione della FASI, la Federazione delle associazioni sarde in Italia, di cui facciamo parte.
Fra l’altro è in corso l’iniziativa della Regione per avere come inno regionale proprio il famoso canto “Procurade ‘e moderare, Barones sa tirannia” ispirato agli avvenimenti del 1794.
Ed oggi i Sardi sono impegnati con la raccolta delle firme per la petizione ”Insularità in Costituzione” al fine dell’inserimento di un quinto comma nell’articolo 119 : “Lo Stato riconosce il grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità e dispone le misure necessarie a garantire una effettiva parità ed un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili.”.
In una sala gremita come non mai, una grande accoglienza è stata tributata alle giubbe dei “Tenores di Neoneli” presentati con entusiasmo dal presidente Masia: il direttore artistico e poeta, su basciu ( il basso ) Tonino Cau, sas boghes (le voci soliste) Peppeloisu e Angelo Piras, sa mesu boghe (la voce di mezzo) Ivo Marras, sa contra (contralto) Roberto Dessì.
L’amico Ivan Meloni, ha presentato i maestri musicisti Orlando ed Eliseo Mascia con i loro strumenti: organetto, tamburello, sulittu (zufolo pastorale), launeddas.
In questa cornice, Masia ha quindi introdotto l’intervento del presidente della “Casa Museo Gramsci di Ghilarza”, Giorgio Macciotta, storico parlamentare del partito fondato da Gramsci, sottosegretario in varî Governi, il quale ha evocato le vicende ( …..e le polemiche) legate al salvataggio ed alla conservazione di quella casa e ne ha illustrato le attività in corso e quelle venture, senza tralasciare un accenno ad uno – fra i tanti – dei temi cari al pensiero gramsciano: quel binomio lingua\nazione che costituisce uno dei fondamenti dell’esperienza di vita e del pensiero politico di Gramsci. E ciò è tanto vero che – come ha voluto sottolineare il presidente Macciotta – nelle lettere si legge in più occasioni l’invito ad usare il sardo a fianco allo studio di altre lingue e la continua richiesta di notizie sulle gare di canto e poesia che tradizionalmente si svolgono in Sardegna: il fuoco dell’appartenenza! Posizione non condivisa nella famiglia della moglie, che riuscì a rompere quel legame con la terra d’origine sempre desiderato da Gramsci per i propri figli.
L’altro ospite della serata è stato il professor Giuseppe Vacca, quarantennale studioso di Gramsci e per decenni animatore e presidente dell’omonima Fondazione nazionale, già membro dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana, che oggi presiede la “Commissione scientifica dell’edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci”, il quale ci ha portato in giro per il mondo insieme al Nostro : dalla Cina, la cui “Accademia nazionale” aveva tradotto i suoi scritti, nei quali i dirigenti di allora cercavano il necessario supporto filosofico-politico per la loro via al comunismo; all’India, dove, in un clima da guerra civile, incontrò lo studioso aveva tradotto in indi le sue opere per consentire ai dirigenti comunisti locali di cercare di assumere una posizione nel dissidio russo-cinese, dopo che avevano individuato proprio in Gramsci e Togliatti i veri continuatori di Lenin; a Città del Messico – per citare solamente alcune delle innumerevoli peregrinazioni cui lo costringeva il mito di Gramsci – dove, consegnandogli una missiva per Berlinguer, il ministro dell’interno, gli confessava che sul comodino, dopo le lunghe letture dedicate a Machiavelli, teneva oramai le opere di Gramsci per una loro frequente consultazione; ai rientri in Italia dove il presidente della “fondazione Gramsci” trovava talvolta qualche problema di “lingua” proprio nel partito fondato anche da un Gramsci ventinovenne, in quell’importante città industriale che ospitava i famosi cantieri che, per ironia della sorte – e chissà che “Nino” non se la stia sardonicamente ridendo di gusto – si chiamavano proprio come “l’ultimo dei Moicani” : Orlando!
Evidentemente deve aver fatto una buona impressione ( …..il professor Vacca ….. ), perché è in partenza per la Cina dove è stato invitato al convegno che, dopo il primo maggio, si svilupperà sul marxismo, con un’ampia finestra proprio sul pensiero gramsciano.
La seconda parte del programma, sotto gli auspici della Regione e della “Fondazione Banco di Sardegna”, ha offerto qualcosa che difficilmente dimenticheremo.
Il presidente Masia ha dato fondo a tutta la sua conclamata valentìa oratoria per presentare il poema “Gramsci : un ‘Omine , una Vida” di Tonino Cau – Tenores di Neoneli.
Si tratta di una vera e propria “gramscea” omerica che, in oltre novecento ottave in logudorese (con traduzione a piè di pagina), ci consente di navigare nella vita del Nostro!
Impresa non unica, perché a loro si deve anche il poema “Zuighes” ( Giudici ) che dedica oltre settecento ottave alla famiglia che ebbe in Eleonora d’Arborea il rappresentante più illustre.
Per dovere di cronaca non si può dimenticare che proprio Antonio Maria Masia è autore di cento ottave sarde dedicate a “Kadossène” (La pantofola degli Dei ) il nome fenicio della Sardegna.
La spettacolarizzazione della presentazione è stata perfetta : Tonino Cau illustrava il momento della vita preso in considerazione e, formato il quadrato magico insieme agli altri Tenores, veniva eseguita l’ottava di riferimento, alternando i solisti, e con l’accompagnamento strumentale ove previsto.
Purtroppo la scelta si è dovuta limitare a sole dieci tappe che da “Su batizu”, attraverso “Sa maladia”, “Sas leturas”, ci hanno portato a “Torinu”, e poi in “Su mundu mannu e orrorosu”, piangendo un “Amore lontanu”, per poi ascoltare la filastrocca “Lassa sa figu puzone”, che “Nino” cantava per il figlio Delio!
Oltre novecento ottave che non trascurano nulla: dal dramma del padre licenziato dal catasto e la famiglia, in gravissime difficoltà, costretta a rientrare a Ghilarza; agli studi a Cagliari e gli inizi a “L’unione sarda”; poi a Torino e l’incontro con Togliatti e poi Livorno; l’elezione a deputato; Mosca; il matrimonio; Vienna; il ritorno in Italia; il processo; l’inizio del calvario; la morte della madre; i figli; i compagni conosciuti o incontrati fra Milano,Turi, Civitavecchia.
E l’epilogo : quando, nonostante il ricovero a Formia, è oramai allo stremo, la scarcerazione ed il ricovero alla “Quisisana” di Roma con l’assistenza da parte della sorella della moglie e le ceneri nel cimitero acattolico di Roma [ via Caio Cestio 6, dietro la Piramide ].
Così finisce l’avventura di Antonio Gramsci e si chiude la novecentotrentesima ottava del volume: “Non ponzo sa retorica in s’iscena/a sos congruos de cust’atrivida,/però si naro ca est una vida/de significu e de valore prena,/sa de Antoni Gramsci, naro apenas/su chi est beru, sa cosa nodida./ Su chi nos at lassadu in eredade/at a durare in s’eternidade”. (Non metto in scena la retorica alla fine di questa fatica, però se dico che la vita di Antonio Gramsci è piena di significati e di valori dico soltanto la verità, cosa risaputa. La sua eredità durerà in eterno. )
La serata è poi proseguita nella terrazza dell’UNAR, dove qualche goccerellina di pioggia non ha scoraggiato i Tenores i quali, corroborati da un buon bicchiere di cannonau e dalle specialità della Signora Masia, hanno improvvisato qualche ottava sulla serata, chiudendo con il famoso canto che ci riporta ai fatti del 2018 …cioè! del 1794!: “procurade ‘e moderare, Barones, sa tirannia” ( questo è il primo verso del componimento del magistrato ozierese Francesco Ignazio Mannu, il cui titolo è : Su patriota sardu a sos feudatarios” ).
Celebrazione straordinaria anche solo da leggere!