di MARCELLO ATZENI
Francesca Lixi, cagliaritana, ha fatto un documentario per “disperazione”. “L’uomo con la lanterna” è un omaggio a suo zio, Mario Garau, ufficialmente bancario alla “Italian Bank of China” (che poi divenne il “Credito italiano”), probabilmente una sorta di agente segreto. Già, per “disperazione” ha fatto la cosa più difficile. Dopo che le varie idee, mai concretizzatasi, perché nessuno credeva a un libro di foto, a un racconto breve e altro ancora, si è buttata nella settima arte. Con lo sguardo e le parole da bambina, accompagna lo spettatore a scoprire la vita di un sardo atipico. Fosse stato un romano o un milanese, sarebbe stato normale. Ma un cagliaritano, di quasi un secolo fa, che va dall’altra parte del mondo, suscita curiosità. Volendo è un giallo di famiglia. Non esistono prove certe. Ognuno può vedere quel che gli pare. Mario Garau probabilmente piaceva al regime il quale gli affidò, verosimilmente, il ruolo di apripista in Cina. Dove l’ Italia aveva degli avamposti commerciali. Ma un bancario, funzionario peraltro, avrebbe avuto così tanto tempo per frequentare circoli d’alto livello, soprattutto quello francese, avere mille donne al suo fianco, girare mezzo mondo e scattare migliaia di foto, nonché girare chilometri di pellicola? Immagini fisse e in movimento, di una bellezza spaventosa. Super 8, come si usava all’epoca.
Curioso il fatto che il bancario sui generis , avesse realizzato un reportage su un evento cruento, verificatosi a Tientsin, negli anni trenta. Neanche fosse stato un inviato di guerra. Uomo sfuggente, per sua natura ( ?), sicuramente per necessità. Quando rientra definitivamente dalla Cina, non sceglie il tragitto più breve, ma quello più lungo. Naviga per mezzo oriente, piomba in Africa, ma in quella centrale, in mano ai belgi e ai francesi, e sta molto lontano dalla Somalia, dall‘Eritrea e dall’ Etiopia. Sa cosa sta succedendo e succederà: anche il mascellone di Predappio, ha velleità imperialiste, pur essendo in braghe di tela. E Garau, andò a dare uno sguardo dalle parti del corno d’ Africa. Il viaggio di rientro è il più lungo possibile: al regime non è più utile. Per lavarsi la testa, smaltire la delusione, arriva fino in Portogallo, quindi Italia e poi Cagliari.
I suoi bauli sono pieni di souvenir, ma anche di diari e ritagli di giornali cinesi. Ma l’uomo non parla mai di quel che fece. I bauli rimangono chiusi fino alla sua dipartita.
E svelano e non svelano, una vita contraddittoria. Sua nipote Francesca, cerca di seguirne le orme. Vuol capire chi fosse lo zio, al quale lei e i suoi otto fratelli, sono debitori, dopo la morte di suo padre.
La Lixi, prima di affacciarsi alla porta del mistero, compie un lungo viaggio. Ricco di foto, aneddoti e anche di un viaggio. Va a Shangai e Tientsin, per cercare di scoprire le carte del funzionario di banca. Chiede udienza alla sede del Credito Italiano, a Milano, dove nel frattempo sta seguendo un corso per diventare cineasta. Dopo vari tentativi, solo un nome viene fuori. Olga Sanna, anch’essa cagliaritana. E’ l’unica collega di suo zio, che sia riuscita a rintracciare: i ricordi-racconti di Olga, sono quelli di un’innamorata e niente di più.
Francesca Lixi, in un certo senso, è una spia. Indaga, innocentemente sul fratello di sua nonna.
La sceneggiatura scritta da lei stessa con Wu Ming 2 (Giovanni Cattabriga), si avvale dell’ “occhio” di Pietro Rais, delle musiche di Rossella Faa, dalle stop motion di Michela Anedda. Gli oggetti che dormono nei bauli, ancor meglio dentro dei bozzoli , come quelli dei bachi da seta, ma giganti, prendono vita e animano una storia che inizia quasi un secolo fa. L’opera della Lixi ha vinto il premio Corso Salani al 29esimo Festival film di Trieste. Prodotto da Kinè (Claudio Giapponesi, che ha distribuito “Lunadigas”, in tempi recenti), in collaborazione con Home movies- Archivio nazionale del film di famiglia, con il contributo della Regione e il sostegno della Fondazione Sardegna film commission e del Comune di Cagliari.