di Nicolò Migheli
Il contenzioso tra industriali e piccoli produttori di Fiore Sardo data molti anni. La ragione è nel disciplinare ampio che permette che coesistano le piccole produzioni fatte nelle aziende pastorali con i grandi numeri delle imprese industriali. Secondo le certificazioni di Agris nel 2014 il 77% del Fiore Sardo viene confezionato dagli industriali e il resto dai laboratori delle aziende pastorali.
Dal 2016 il vecchio consorzio di tutela è stato sostituito da uno nuovo, riconosciuto dal Ministero delle politiche agricole. Consorzio a cui aderiscono in pochi e controllato dagli industriali che hanno espresso anche il presidente. Il nuovo consiglio di amministrazione per l’utilizzo del marchio, chiede a tutti, aderenti o no, la cifra di 3.000 euro. Somma che non rispetta nessuna proporzionalità, bassa per un industriale, alta per chi produce 150 o 300 quintali di formaggio all’anno. Il Fiore Sardo è il più antico formaggio dell’Isola.
La sua peculiarità è quella di aver tenuto in vita una modalità di confezione antica quanto la pastorizia. Formaggio a latte crudo lavorato alla temperatura di mungitura, cagliato con caglio di agnello, dopo la salagione affumicato con essenze vegetali autoctone. Un formaggio una volta diffuso in tutta l’isola che dagli anni ’50 del secolo scorso è diventato una produzione esclusiva della Barbagia; in particolare dei paesi: Gavoi, Ollolai, Olzai e Ovodda. Con l’ingresso degli industriali si sta assistendo ad un cambio di segno. Un formaggio identitario che rischia di perdere molto in questo passaggio.
Per una industria è possibile la lavorazione a crudo di grandi quantità di latte, provenienti da allevamenti diversi? La risposta potrebbe essere positiva. Il Parmigiano Reggiano è formaggio a latte crudo e viene prodotto in grande quantità, così come il Roquefort francese. Resta un dubbio.
Se non altro perché chi scrive, avendo chiesto ad altri industriali perché non producessero il Romano o il Pecorino Sardo dop a latte crudo, ha sempre avuto come risposta che non era possibile, adducendo ragioni di scarso controllo della filiera, di distanza dei fornitori dagli stabilimenti. Ragioni plausibili, mentre il latte crudo può comportare molte incertezze nella produzione, la termizzazione è una sorta di assicurazione, con scarti minimi o inesistenti.
Mentre il Parmigiano è un formaggio dove la cagliata viene sottoposta a una semicottura, il Fiore una volta confezionato è destinato subito alla salagione e i rischi di difetti diventano più probabili. Porto Conte Ricerche ha la risposta per individuare il formaggio a latte crudo rispetto ad uno termizzato: l’uso della risonanza magnetica. Lo strumento e il processo sono stati riconosciuti a livello internazionale e si attende solo il placet del Ministero.
Altra caratteristica, non secondaria, è il processo di affumicamento della crosta esterna: anche gli industriali usano le camere dove vengono bruciati legni di leccio e quercia o il bagno chimico? Un assaggiatore esperto nota la differenza, ma il consumatore medio abituato al gusto delle affumicature industriali? Dietro questa operazione parrebbe nascondersi un tentativo di creare un oligopolio, fare in modo che i piccoli produttori abbandonino la caseificazione in azienda per diventare dei meri fornitori di latte ai caseifici di maggiore dimensione.
La scomparsa, perché di questo alla fine si tratta, del Fiore Sardo prodotto in azienda non sarà solo un fatto di razionalizzazione economica come molti sarebbero indotti a credere. Con la fine del Fiore Sardo prodotto dai pastori, scompare una tradizione millenaria, una professionalità tramandata di padre in figlio da generazione in generazione.
Siamo disposti ad accettare un’altra ulteriore perdita economica, culturale e simbolica? Per lo stato in cui versa la pastorizia sarda contemporanea forse si. Ma tutto ciò sarà un bene per la Sardegna tutta e non solo per la Barbagia? Credo proprio di no.
Una delle virtù di quel formaggio, come tutti i prodotti a latte crudo, è che oltre alle proprietà nutraceutiche, si porta dietro singolarità nel gusto che solo un determinato gregge in quel pascolo, possono produrre un formaggio non identificabile con altri.
La standardizzazione e l’omologazione sono entità sconosciute. Vi sono le basi per un processo di miglioramento mutuato dal mondo del vino, la creazione anche per i formaggi dei cru che servano per una riconoscibilità e diversificazione da prodotto a prodotto. Il che significa maggior reddito per i produttori, ulteriore immagine simbolica per i territori.
La commessa che fecero i produttori storici del presidio Slow Food fu proprio questa, ma perché si realizzi maggiormente vi è bisogno di un sottodisciplinare dentro quello del Fiore Sardo.
Fintantoché la maggioranza del Consorzio sarà tenuta dagli industriali è poco pensabile che ciò avvenga perché verrebbe letta come una diminutio del resto della produzione. È anche vero però, che se non si agirà in tal senso le aziende pastorali che fino ad ora hanno tenuto il Fiore possono essere tentate dall’abbandono. Ripeto la domanda, tutto ciò è un bene? La risposta dovrebbero darla gli operatori del settore e tutti quelli, a cominciare dai consumatori, che sono affezionati a un pezzo di storia da portare in tavola.
Nel frattempo centinaia di pastori restituiscono i certificati elettorali ai loro comuni di residenza. Tra le due cose poco sarebbe il legame se non il disagio profondo che possiede i titolari delle nostre aziende pastorali. E il tempo scarseggia.
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Speriamo che non succeda ma continui la tradizione