di Tonino Oppes
Fine anni Sessanta. Nella piazza principale del mio paese, a Pozzomaggiore, il palco era stato preparato con cura sul rimorchio di un camion. Ai lati, quattro palidi legno ben lavoratie ornati d’alloro in omaggio agli aedi dell’antica Grecia. Sopra, un telo per proteggere i poeti dall’umidità della sera; al centro un tavolino ed un microfono.
La piazza si riempì, in un attimo, come ad un comizio nell’ultimo giorno di una accesa campagna elettorale. Era in programma la sfida tra i grandi del canto a poesia: Pepe Sozu di Bonorva e Remundu Piras di Villanova Monteleone. Arrivarono da tutti i rioni del paese e da alcuni centri del Logudoro. Uomini, donne, bambini, qualcuno con la sedia o lo sgabello di ferula per assistere, seduticomodamente,allo spettacolo più emozionante del momento, che vedeva uno di fronte all’altro i più celebraticantadores a poesia dell’Isola.
La Sardegna viaggiava verso il cambiamentoinseguendo il sogno del Piano di Rinascita, anche se doveva fare i conti con la nuova emigrazione. Ma c’era voglia di festa e l’occasione di stare insieme, fino a tardi,nei piccoli paesi, era rappresentata dalle celebrazioni per la ricorrenza del santo patrono.
La televisione, il jukebox e i dischi in vinile avevano aperto le porte alla musica d’importazione; nel panorama sardo si affacciavano i primi gruppi pop e noi, ragazzi di periferia con lo sguardo proiettato al mondo lontano, sognavamo i cantanti e le band del momento. Qualche volta venivamo accontentati con I Barrittas di Benito Urgu o con i Bertas, ma mai gli uomini del comitato avrebbero rinunciato, almeno per una sera, a soscantadoresche, in quegli anni, rappresentavano quanto di più elevato si potesse offrire alle genti dei paesi che cercavano un momento di evasione.
La gara poetica era ancora la regina delle feste sarde,che riusciva a mettere insieme le diverse anime della comunità, uomini e donne, vecchi e giovani.L’attesa era grande e sempre chiassosa. Sulla piazza calava il silenzio soltanto quando i poeti salivano sul palco.
La gara era divisa in due parti. La prima era propedeutica alla seconda e non aveva un tema specifico: era dedicata perlopiù a celebrare il santo, mentre la parte successiva presupponeva una sfida.Sfida in versi, a colpi di ottava.
C’era sempre una breve pausa prima della seconda parte.Un rappresentante del comitato saliva sul palco con due biglietti che venivano sistemati all’interno di un berretto, la vecchia cicìa che avevano tutti gli uomini di campagna. Su ogni biglietto c’era scritta una parola: era il tema che il poeta avrebbe dovuto sviluppare, praticamente subito dopo l’estrazione. Restava appena il tempo di sorseggiare una bibita, bere un bicchiere di vino rosso, rigorosamente di proprietà, poi si cominciava.
Gli argomenti erano vari e sempre contrapposti: luce/ buio, acqua/ fuoco, estate/ inverno, amore/ odio, paura/coraggio, povertà/ricchezza, guerra/ pace, salute/ malattia, servo/ padrone.
Sui palchi, fino ai primi anni Novanta si sono consumate sfide straordinarie, a colpi di spada e di fioretto, che duravano anche un’ora e mezza. Nella piazza si sentiva solo la voce dei cantori, grandi artisti della parola in rima.Quasi sottovoce qualcuno del pubblicosottolineava il proprio gradimento per l’ottava di uno o dell’altro, prima dell’applauso finale che veniva rivolto a entrambi i poeti.
Molto è cambiato da allora ma, anche se a fatica, il canto a poesia resiste ancora. Tuttavia il rischio che un giorno la Sardegna possa perdere questa sua caratteristica forma di espressione è tutt’altro che remoto.
Le origini sono antichissime e risalgono alla cultura orale che qualche studioso ricollega all’epica medievale, anche se c’è chi rimanda alle Bucoliche di Virgilio o ancora alla civiltà greca, che aveva negli aedi i suoi maggiori interpreti.Forse è anche per questo che gli improvvisatori, quelli maggiormente dotati di fantasiae cultura,ricorrevano all’uso della mitologia. A me, che li ho seguiti fino agli anni Ottanta, sembravano allievi di Omero. Ma la cosa più sorprendente era la naturalezza o meglio la rapidità con cui i poeti creavano i loro versi. Le ottave,che duravano 40, al massimo 50 secondi, si inseguivano una in risposta all’altra lasciando incantati gli spettatori.
“Come faranno a rispondere così velocemente in rima, creando versi dal nulla?” si domandava meravigliato, Sebastiano Satta, quando andava ad ascoltarli nei paesi della Barbagia di Nuoro.“Il canto a poesia, dice Paolo Pillonca,autore di numerose pubblicazioni e di un’opera omnia su Remundu Piras, rappresenta una forma di espressione che a livello alto esiste soltanto in Sardegna. I cantori si possono ascoltare anche in Spagna, Argentina e Corsica e in altre parti del mondo, ma quasi sempre a livello ludico, proprio come succedeva da noi quando i nostri pastori cantavano durante le feste campestri o in occasione dei grandi riti comunitari offerti dal lavoro in campagna come la tosatura o la marchiatura delle pecore: ma esibirsi davanti a centinaia di persone, in una piazza, è una prerogativa tutta sarda che risale all’Ottocento. Chi era bravo guadagnava bene. Già agli inizi del secolo scorso un cantore a poesia portava a casa, per una sola serata in piazza,una paga uguale a 10 giornate lavorative di un operaio agricolo specializzato, come un vignaiuolo o un mietitore. Il prodotto dell’ingegno aveva il suo prezzo, peraltro ampiamente riconosciuto dal resto della comunità di lavoratori”.
Poesia popolare, ma colta.Per veri professionisti. Perché discutere su un tema obbligato non significa soltanto conoscere le regole della poesia, che vive di rima e di metrica; significa avere riflessi pronti, una grande capacità di replicare ad un attacco ricorrendo, se serve, alla storia, all’ironia o al sarcasmo. Ecco perché icantadores erano poeti e attori allo stesso tempo. Cantori delle cronache e poeti maledetti; capaci di sferzare con i loro versia bolu, al volo, i vizi della borghesia o dei ceti sociali alti, con la stessa abilità dei grandi poeti a tavolino, come Aquilino Cannas.
“Acrobati della rima”, li aveva chiamati Francesco Alziator.
Ed ora? Adesso sono a malapena dieci i cantadores in attività e l’età media è abbastanza alta, anche se non mancano i giovani che si esibiscono nelle piazze. Il ricambio generazionale è, però,molto più lento rispetto al passato. Il futuro è a rischio. Regge qualche gara poetica se ci sono appassionati o persone vecchie nel comitato organizzatore; ma ormai, anche nei piccoli paesi,chi deve promuovere anche il più piccolo evento si affida alle agenzie che curano gli spettacoli. E allora basta un ragazzino che ha fatto una comparsa in una trasmissione televisiva per soppiantare soscantadores.C’è una sola terapia per non far morire il canto a poesia in limba: coinvolgere i giovani, ma prima ditutto occorre salvare la lingua sarda.
Perché la crisi? Secondo Paolo Pillonca, sono almeno due le ragioni principali: intanto la crisi della lingua sarda e poi c’è l’altra verità:“abbiamo deciso di consumare altri spettacoli, che magari si possono seguire anche quando giochi con il cellulare mentre il canto a poesia ha bisogno di grande attenzione, tant’è che nell’ultimo periodo alcune gare sono state spostate dalla piazza al teatro o comunque in un luogo chiuso”.
Gli fa eco Tonio Pani, cantadoricampidanese che ha all’attivo oltre 1500 gare: “Sì, è diminuito il tempo di ascolto da parte del pubblico, però dopo un periodo difficile vedo che aumenta, in questi ultimi anni, il numero dei giovani che viene a seguirci.Il futuro dei nostri mutetus? Non voglio pensare che un giorno tutto questo possa finire. Il canto a poesia è patrimonio dell’umanità, oltre che una grande ricchezza immateriale della Sardegna.Difenderlo è un dovere di tutti perché interrompere quel circuito significa fermare la trasmissione del sapere tra le generazioni”.
“Sai perché deve vivere il canto a poesia?“aggiunge Paolo Pillonca, che risponde subito: “ perché custodisce il mistero della creatività che è insita in ogni uomo dotato di talento. E poi appartiene alla nostra anima, è nelle radici più profonde del nostro popolo. Ma non dimentichiamo che la poesia che esce dal nulla si salva soltanto ad una condizione: se si recupera la nostra cara, vecchia e amata, lingua sarda.”
In fondo è proprio questo il problema principale: la sopravvivenza della lingua. Se ne parla tanto in Sardegna, in questi ultimi anni. Trovo il dibattito appassionato e sincero, ma molto parziale.
Resto convinto di una cosa: sa limba in Sardegna è soprattutto parola. Vive quando è strumento di comunicazione. O più semplicemente si salva si b’atzente chila faeddat o, se preferite, si c’esti genti chi ddachistionada. Ma per far questo bisogna fare un’altra grande battaglia, politica, culturale e antropologica insieme: salvare i piccoli comuni, che restano le ultime sentinelle della nostra identità.
SA MODA FINIDA IN SU 1976
Isterrida
Moda car’important’oe non sese
pro chimbant’annos as tent’importantza
tue sa gara devias serrare.
Su noeghentos e settantasese
sos poetas de tand’a maggiorantza
an decisu de ti eliminare.
Issos an fat’a sa gara mancare,
una part’importante bell’e rara
pro su ch’an fatu no an iscusante
no isco comente si sun permissos,
a sa gara fatu mancar’an issos
una part’importante bell’e rara
issos an fatu mancar’a sa gara
bell’e rara una part’importante
pro su chi an fatu no an iscusante
no isco si sun permissos comente.
Sa Moda fit dedicad’a sa zente,
a su Santu o Santa venerada
sa Moda fit a sa zente dedicada
a sa Santa venerada o Santu
canta zente in piat’at piantu
sa vida de sos Santos iscultende.
Primu fiore
Tantos nde apo idu lagrimende,
pro sa vida o martirios de Santos,
prit’una Moda bene fiorida
at dogni cor’uman’inteneridu.
Tantos lagrimende nde apo idu
pro sa vida o martirios de Santos
lagrimende nde apo idu tantos
de Santos pro martirios o sa vida
prit’una Moda bene fiorida
intenerid’at dogni umanu coro.
E oe privos de cussu tesoro
sena mancu indicare sos motivos
e oe de cussu tesoro privos
sos motivos sena mancu indicare
e oe m’astengo de polemizare
tantu restat abelta sa ferida.
Segunda retroga
Moda car’important’oe non sese
…………………………………
de sos Santos iscultende sa vida.
Segundu fiore
Calchi gar’iscadente resessida
cun-d-una Moda bene fat’e giara
mezoraiat sa gar’in piata
e liet’ e festosa fit sa zente.
Calchi gara resessid’iscadente
cun-d-una Moda bene fat’e giara
resessid’iscadente calchi gara
cun-d-una Moda giar’e bene fata
mezoraiat sa gar’in piata
e sa zente fit festos’e lieta
e fit cuntentu puru su poeta
c’at aportadu su mezoramentu
e su poeta puru fit cuntentu
ca su mezorament’at aportadu
cuntentu su popul’e comitadu
a sa fine cuntentos totucantos.
Ultima retroga
Moda car’important’oe non sese
…………………………………
iscultende sa vida de sos Santos.
Ultimu fiore e Dispedida
Nurachi car’eo ti rendo vantos,
ca tue in su Cuncursu de sa Gara
sa Moda obbligatoria as posta’in cue
una saggia decisione creo.
Nurachi cara ti rendo vantos eo
ca tue in su Cuncursu de sa Gara
deo ti rendo vantos Nuraghi cara
ca in su Cuncursu de Gara tue
sa Moda obbligatoria as posta’in cue
la creo saggia una decisione.
Ca tramandada sa tradizione
ted’esser de sa Moda retrograda
ca sa tradizione tramandada
de sa Moda retrograda ted’essere.
Ogni poeta bi devet resessere
a cantare una Moda discreta
resesser bi devet ogni poeta
una Moda discreta de cantare.
Nurachi tue ses de imitare
ca preferis in Gara su modellu,
ch’est prenda de sarda natividade
e lu cantar’est cosa bene fata
a sos poetas fat’eo un’appellu
armadebos de bona volontade
e cantade sa Moda in sa piata
ca issa d’esser cantad’est digna
onore ’ostru e de sa Sardigna.
Nurachi Giovanni Urracci 14 marzo 2010
E si,ricordi d’infanzia anche qui ad Oristano agli inizi degli anni ’60.In Piazza Roma,sul sagrato della chiesa di S.Sebastiano.Ero troppo fanciullo per apprezzarli pienamente, ma piacevano tanto a mio padre Virgilio.
A Nuoro i luoghi canonici erano la piazza della chiesa del Rosario, qualche volta il sagrato del vecchio santuario di N.S. delle Grazie e da ultimo piazza S. Satta
Sa limba vivet si la impreamus galu pro iscriere
S’articulu est de importu; dia cherrere ischire calicuna informatzione subra sas feminas cantadoras. Deo nde connosco una famada Maria Farina de Nuivi ( mama mi ripetiat paritzos versos suos "Maria Farina fio e so/ sugeta a nde leare ma nde do") ma isco chi bi nd’at apidu ateras.
S’atera de sas feminas cantadoras, cussas de s’istoria de sas garas, si narait Chiarina Porcheddu de Ossi. S’atera famada meda, tenes rejone, est Maria Farina, de Osile.