di Mariella Cortès
Era il mio secondo anno di Università quando la Facoltà di Scienze Politiche, decise di conferire a Francesco Cossiga la laurea honoris causa in Scienze della Comunicazione e giornalismo, il corso di laurea che frequentavo anch’io. Il presidente emerito, riceveva il riconoscimento in quanto era riuscito a “cogliere e valorizzare le trasformazioni che hanno attraversato e modificato in modo profondo la dimensione della comunicazione politica in connessione con lo sviluppo della societa’ mediatica”. Ma non tutti furono d’accordo e ricordo che gli studenti, in un primo momento, insorsero: riunioni, polemiche, manifestazioni di protesta. Insomma, sembrava che questa laurea non s’avesse proprio da fare! Ma, come da copione, il 15 dicembre 2005, la sede centrale dell’Università traboccava di giornalisti, docenti, sassaresi vari, curiosi e, soprattutto, studenti accorsi per assistere alla lunghissima lectio magistralis del presidente emerito della Repubblica che ammoniva i giornalisti affinché riscoprissero “l’etica della virtù” e per riscoprire, ancora, la storia di quel ragazzo prodigio che riuscì, in breve tempo, a bruciare le tappe. Come disse qualche giorno prima nel corso di un’intervista: «Mi sarebbe piaciuto diventare un grande giornalista, mi sono dovuto accontentare di fare prima il presidente del Senato e poi il presidente della Repubblica» con, aggiungiamo, numeri da record: a 55 e 57 anni, aveva ricoperto entrambe le cariche. Non smise però mai di amare la Sardegna e la sua Sassari dove lasciò ricordi e momenti d’infanzia trascorsi tra la chiesa di S. Giuseppe e il Liceo Azuni e dove, quando rientrava, non mancava mai di andare a gustare la fainè. In occasione del conferimento della laurea honoris causa, Cossiga si presentò non soltanto in forma smagliante ma, nella giornata successiva tornò ancora nell’Aula Magna, per incontrare gli studenti di Scienze della Comunicazione e del Master in giornalismo. Furono pochi, alla fine, a disertare l’appuntamento: era troppa la voglia di estrapolare qualcosa da quell’uomo sardo sino al midollo che il giorno dell’elezione alla presidenza della Repubblica parlò in sardo. «A chi regalerebbe la leppa aperta, come fece Mesina con sua figlia?», gli chiesero. «Se la porgi dalla parte del manico significa che metti la tua vita nelle mani di una persona. Porgerei così la resolza a Giuseppe Pisanu. A chi punterei la lama? Sono stato ministro dell’Interno, ma la spia non la faccio». Le storie di vita si intrecciavano a quelle legate al mondo dell’Università e al rapporto con la politica e i suoi rappresentanti. Domande e risposte scorrevano senza sosta tra vitalità, spirito di “cionfra” tipicamente sassarese ma rasentò l’ira quando le domande iniziarono ad interessare la P2 e l’omicidio Moro. Proprio dopo questo scatto d’ira sarebbe stato il mio turno. Toccava a me porgere la domanda. Forse fu banale o scontata ma gli chiesi, con le gambe che tremavano, quanto era importante l’immagine, la comunicazione e quanto l’essere dei buoni comunicatori poteva offuscare le reali capacità politiche. Sorrise e ricordò che quando conobbe Berlusconi era un giovane di bell’aspetto e carismatico e che per lui la comunicazione è stata ed è tutto: “un buon politico deve sapere ben mescolare capacità politica e comunicazione senza però cadere nell’eccesso”.