di Wladimir Calvisi
Modesto Piras cammina tra gli asfodeli. Il suo è un gesto antico. Gli ricorda la sua infanzia. Quando tra quelle piante negli altopiani di Osini pascolavano le capre, e quei fiori bianchi gli davano l’impressione di essere in un campo innevato. Ma fuori stagione. E oggi, che di anni ne ha 90, quella passeggiata ha lo stesso sapore di allora. Lo racconta al fotografo Carlos Solito che tra gli anziani d’Ogliastra, in Sardegna, ha ambientato il suo lavoro. Forse non sa, Modesto, quanta simbologia ci sia nascosta dietro quelle piante. In un fiore che rappresenta la vita oltre la morte, nella mitologia greca, e che per alcuni studiosi deve il suo nome proprio alla parola greca “scettro”, magari quello degli eroi, della forza, della potenza. Agnese, invece, ha scelto le rocce rosse di Arbatax. Aurelia, le montagne di Ulassai, e Paola i boschi dello stesso paese. Pia, i vicoli di Osini, Pietro, i pascoli di Baunei, Vittorio e la moglie Giuseppa, insieme da oltre ottant’anni, il focolare di casa a Perdasdefogu. Guido una quercia secolare. Sono momenti, immagini, ricordi. Prospettive.
«A chent’annos», si dice in Sardegna. A cent’anni. Un augurio semplice, che si fa indistintamente a bambini, adulti e anziani. Che per molti è diventato un brand, per studi e prodotti tipici, per servizi fotografici e libri, per progetti sanitari o turistici. E che nelle declinazioni delle sue affascinanti risposte diventa a volte autoreferenziale («Tu a viverli, io a contarli»). «In salude», naturalmente.
Siamo nel nuorese, in quella che viene definita una “Zona blu”, dal lavoro di Gianni Pes e Michel Poulain, e dal risultato del loro studio sulla longevità (pubblicato su Experimental Gerontology) e che qui identificano l’area con la maggiore concentrazione di centenari al mondo. Saranno i geni, l’aria, l’alimentazione sana, lo stile di vita. La mescolanza tra questi fattori. O chissà. Negli anni in tanti hanno provato a carpirne i segreti e a trovarne le ragioni. A elaborare un ricetta che possa diventare un modello. Se c’è (e se serve veramente). Di sicuro non è un fenomeno solo sardo. In Italia, dicono le statistiche (Vittorio Filippi su Neodemos), i centenari erano 51 nel 1921 e al 31 dicembre 2016 erano 17mila (950 quelli che avevano raggiunto i 105 anni, 22 i supercentenari di 110 anni). Rispetto al 2006, c’è stato un incremento del 70%, con Liguria, Molise e Friuli in testa alle classifiche per regione, in termini relativi. E con le previsioni dell’Istat, che parlano di 157mila centenari nel 2050 e un rapporto di quasi tre femmine per un maschio. Il 19%, finora, raggiunge i cento anni senza malattie (quelli che Evert J. ha definito «escaper»). E allora la ricetta? «Hanno vite semplici, abitudini fisse, sono sempre stati attivi, ma senza strafare», racconta Solito, che con loro, per il suo servizio fotografico, ha passato oltre 40 giorni insieme al figlio 20enne. «Amano ritornare nei luoghi della propria storia, con un perenne senso di riscoperta e ricordo. La loro quotidianità, e forse la loro forza, sta nei gesti di sempre: curare l’orto, vedere come stanno gli animali, preparare il vestitino per il prossimo pronipote o i dolci per la festa», aggiunge. Il passato? «C’è, è fondamentale, ma la vera sorpresa è il loro senso del futuro. Non si lamentano, e pensano che ci sia ancora tanto da fare. Per i figli, gli amici, gli altri. Se Dio vuole». Perché la «resistenza» è anche una questione di fede. Del resto ci sarà un motivo se qualcosa o qualcuno, sia esso il santo patrono o il destino, ha scelto te. Certo qualcuno «avrebbe voluto barattare la propria lunga vita con quella di un figlio perso, o di una persona cara», conclude Solito, «ma in molti c’è una sorta di consapevolezza, l’idea di essere ancora in vita per un motivo». E chissà se la pensavano così Jeanne Louise Calment, francese, scomparsa a 122 anni, la donna più longeva di sempre, o Emma Morano, 117 anni, la sesta persona più longeva di tutti i tempi (che è stata decana d’Italia e d’Europa). O qual è il pensiero dei Melis di Perdasdefogu, famiglia record.nella natura
«Molti di loro si sentono lottatori», conferma Valter Longo, biologo, studioso dei segreti dei centenari e autore di La dieta della longevità e Alla tavola della longevità. «Conservano il senso della sfida, anche con se stessi, si sentono quasi degli eletti e si confrontano con gli altri». E la dieta? «Non c’è solo quella, ma di sicuro ha una grande importanza. Sono persone che hanno basato la loro alimentazione su cereali, legumi, frutta, prodotti dell’orto. Poca carne e poco pesce. Formaggi, specie di capra, latte. Erano epoche, poi, in cui si evitavano contaminazioni, il che metteva al riparo dalle allergie. Si usavano pochi prodotti chimici (o nessuno) sia in allevamento che in agricoltura. E poi in età avanzata hanno cambiato dieta, oltre ai ritmi di vita, mantenendo un giusto peso corporeo e un buon apporto calorico e proteico». In più, per restare al cibo, ciò che veniva assunto come “carburante” per la giornata (anche se oltre i limiti consigliati dalle diete attuali) veniva quasi totalmente bruciato. Forse quindi la vita in campagna aiuta. Ma non è una garanzia. Non per forza pastore è sinonimo di centenario. Anzi. Chi è cresciuto facendo quella vita sa quanti sacrifici e fatica richiede.
Il segreto sarà allora l’attività fisica costante (e non parliamo di palestra). L’ideale sarebbe muoversi ogni giorno, passeggiare, lasciare il salotto di casa. Una cosa che nella vita di paese riesce abbastanza bene. O forse il segreto sta nel controllo e nella prevenzione. «La cura dell’individuo è un fattore certamente fondamentale. E in piccole realtà il controllo e il “monitoraggio” medico e sociale continuo, è un elemento di forza, per vivere sani e a lungo. Poi vanno aggiunti i ritmi costanti e regolari, sia per l’alimentazione sia per il sonno», sottolinea Longo. Ma basta? «Forse una chiave è il raggiungimento della serenità», sottolinea lo scrittore nuorese Marcello Fois, che i centenari li ha raccontati, immaginandone le storie dagli scatti che Daniela Zedda ha realizzato per il progetto Senes, lanciato dalla famiglia di viticoltori Argiolas, in omaggio al fondatore della cantina, Antonio, morto a 102 anni. Ah, il vino, quello rosso, il Cannonau magari (e se fosse lui il segreto?). «Molte di queste persone hanno avuto e hanno vite normali, sono persone in pace con se stesse e con il mondo che le circonda, si accontentano di quello che avevano e lo consideravano un dono. Hanno una costante energia positiva, pur avendo avuto vite difficili, infanzie dure».
E allora forse, è una questione di testa. Come disse Rita Levi-Montalcini per il suo compleanno: «A cent’anni ho perso un po’ la vista, molto l’udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente». I geni e il cibo, la vita sana e la testa, i legami e le abitudini, il giusto (e misterioso) equilibrio tra tutto questo. Servirà per arrivare ai cento anni? «Possiamo migliorare la qualità della vita e così godere degli ultimi anni senza troppi acciacchi e quando va bene senza ammalarci. Ma non possiamo pretendere che esercizio fisico, dieta o medicine facciano quello che non si potrà mai fare: consentirci di stare al mondo più di quanto siamo programmati a vivere», ha scritto Remuzzi su la Lettura del Corriere della Sera. «Non siamo fatti per invecchiare ma per vivere abbastanza da poterci riprodurre e assicurare la sopravvivenza della specie». E ricordava che ogni «specie animale ha un limite di durata della vita» e «non ci sarà progresso che tenga, il limite è quello lì». Il resto è un dono. «A chent’annos». In salude. Naturalmente.