MAI PIU’ UN BAMBINO PER STRADA: ZELINDA ROCCIA, LA LOTTA DI UNA DONNA SARDA IN NICARAGUA

di Mara Saporito

Zelinda Roccia è fondatrice e presidente dell’Associazione Los Quinchos Nicaragua, progetto che accoglie bambini e bambine abbandonati, maltrattati e affetti da dipendenze.

La storia ha inizio il 19 Luglio 1979, i rivoluzionari del Fronte Sandinista di liberazione nazionale entrano vittoriosi a Managua proclamando la caduta della dittatura dei Somoza, un paese intero si riversa in strada per festeggiare la rivoluzione. La voce del Nicaragua fa il giro del mondo, questo evento è fonte di ispirazione per svariati movimenti politici anche in Europa.

Zelinda in Sardegna è vicina al movimento di Lotta Continua e si imbatte in un manifesto che racconta dei sandinisti. La donna entusiasta decide di intraprendere un viaggio verso il Nicaragua “Io volevo vedere i rivoluzionari, conoscere le persone che ce la fecero”. È il 1986 è in corso la guerra tra i sandinisti e i contras, controrivoluzionari sostenuti dagli USA, non è semplice entrare nel paese ma Zelinda riesce nell’impresa.

Sbarca in Messico, prosegue via terra verso l’Honduras controllato dai controrivoluzionari. I paesi sono collegati da un ponte, alla frontiera ad attenderla ci sono i contras, da loro riceve insulti e minacce, sanno che gli stranieri che vogliono entrare in Nicaragua appoggiano i sandinisti. Cosciente del fatto che potrebbero spararle, cammina lentamente “se devo morire lo voglio fare con dignità, non come un’oca di corsa”, cerca di avere un’aria rilassata e ascolta i botti dei fucili. Arrivata a metà del ponte il suono è spezzato da una voce che urla “compa?era llegue llegue no le van a matar” (compagna vieni! Non ti uccideranno).

Solleva lo sguardo e vede la bandana rossa e nera al collo del ragazzo, inizia a correre, ha davanti il primo combattente sandinista, si catapulta su di lui lo abbraccia, tanto è l’entusiasmo che cadono in terra, in quel momento lo guarda in viso e si rende conto che è appena un adolescente vestito da soldato ed esclama “ma sei un bambino” e lui risponde “cosa vuoi dire compagna? Si sono un bambino ma dentro sono un uomo e ho la patria nel cuore”. Dopo qualche mese a stretto contatto con i combattenti il viaggio giunge al termine, mentre si dirige verso l’aeroporto di Managua, si imbatte in un gruppo di bambini. Erano soli, pronti ad affrontare l’ ennesima notte piovosa per le strade della città, ignara li invita a tornare a casa ma il loro letto è una ruota. Quest’evento determina le scelte di vita di questa donna che torna a Cagliari, città in cui lavora come insegnante, con l’obbiettivo di pensare ad un progetto che salvi le vite dei bambini, ormai sono loro il suo pensiero più forte. Dopo quattro anni è nuovamente a Managua, non con tante basi materiali in realtà, ma con molta determinazione e forse anche quel pizzico di pazzia che le mostra possibile un sogno che per molti è totalmente irrealistico.

Si accorge che i posti principali che fanno da casa ai bambini sono i mercati e soprattutto il Mercado Oriental il più grande del Latinoamerica. Individua come pratica quella di percorrere le vie del mercato durante la notte, momento in cui i bambini di strada escono allo scoperto. Un gruppo, pandilla o mara in spagnolo, solitamente si raduna nelle gradinate della chiesa, Zelinda cerca di avvicinarsi ma impauriti le tirano dei sassi, al terzo tentativo decide di munirsi di uno zaino colmo di sampietrini in modo da difendersi e gli spiega che i gradini sono di tutti e che non possono impedirle di sedersi. A quel punto le è permesso accedere al loro spazio e inizia a dialogarci, ne conquista la fiducia .

Da quella notte non è più sola nelle sue passeggiate notturne ma accompagnata e protetta da sempre un numero maggiore di bambini di strada. Poco a poco l’esigenza di avere uno spazio fisico in cui riunirsi si rafforza ed il parroco della chiesa accanto al Mercado Oriental decide di concedergli una sala però solo durante le ore diurne. È il 1991 i ragazzi si sentono facenti parte di un vero e proprio gruppo e ogni pandilla deve avere un nome, scelgono los Quinchos in onore di Quincho Barrilete, bambino che partecipò alla rivoluzione e fu ucciso dalla repressione di Somoza. La chiesa ospitante si trova in un punto intermedio tra il mercato e un quartiere di classe medio alta, le signore che ogni domenica si recano a messa non gradiscono la presenza di bambini di strada e sottopongono il parroco a estenuanti pressioni fino a quando non viene convocato un incontro tra loro e Los Quinchos. L’immagine è quella di da un lato un branco di bambini scalzi, malvestiti e spelacchiati guidati da una donna e dall’altro un gruppo di borghesi agghindate e spocchiose. Le donne, cattoliche benpensanti, rivendicano con rabbia il loro diritto di liberarsi dei così detti huele pega (sniffa colla), dando sfogo al profondo razzismo e la poca umanità che determina le oro affermazioni. I Quinchos dopo aver ascoltato tanti insulti aspettano solo il via di Zelinda per partire al contrattacco, ma lei decide di usare un’altra strategia. Risponde alle urla delle signore con un tono pacato, dichiara in primis che se avessero voluto sfrattarli lo avrebbero dovuto fare con la forza perché nessuno di loro se ne sarebbe andato, successivamente mostra alle signore quanto le loro affermazioni entrino in contraddizione con la religione che professano.

Le ricorda che il suo paese di provenienza è molto vicino allo Stato del Vaticano, le racconta di aver registrato tutte le loro cattiverie e minaccia di farle ascoltare al papa in persona, le donne credulone li pregano di restare. Fortunatamente la lotta quotidiana contro la discriminazione dura ancora per poco grazie ad un italiano che cede una casa in prestito all’associazione. Nel 1992 Zelinda torna in Sardegna, qui trova l’appoggio di molte persone che si costituiscono in comitati sia a Cagliari che in alcune città Italiane, che si mobilitano nel finanziare il progetto.

Ciò le permette di acquistare la prima sede ufficiale di Los Quinchos la finca di San Marcos. Qui abbiamo il cuore del progetto, nasce nel 1992, Finca significa fattoria, quando Los Quinchos arrivarono era solo un frutteto rigoglioso e una casa di legno che mise alla prova la loro capacità di adattamento. Oggi oltre all’orto e agli animali è sede degli alloggi, e delle strutture necessarie a garantire le esigenze di base. Questa è la vera e propria casa de Los Quinchos, qui mangiando, dormono giocano e imparano, svolgendo finalmente una vita da bambini. Pochi metri vengono poi costruiti il centro culturale, gli uffici, la biblioteca e la trattoria. Grazie ad una donazione nel 1994 acquistano una casa a Managua denominata “La casa Filtro”, che ospiterà i bambini sia di giorno che di notte, dandogli una concreta alternativa alla vita di strada. Situato a pochi metri dal Mercado Oriental è tutt’oggi sede fondamentale del progetto, ospita i bambini nella prima fase di riabilitazione fino a quando non sono pronti ad accedere alla Finca. Zelinda adora portare i Quinchos a passeggiare al lago di Granada fino a che una cooperativa di pescatori decide di donargli un terreno.

Nel 1995 nasce “La Casa Lago” che ospita in un principio i bambini di strada di Granada e poi gli adolescenti del progetto. Nel 1997 l’ uragano Mitch spazza via un intera comunità, muoiono 2’700 persone, Zelinda si fa portavoce dei bambini sopravvissuti e costruisce una scuola, si trova nelle profonde campagne del nord del paese, ed è l’unica fonte di accesso all’istruzione della zona. Nello stesso anno si hanno finalmente gli strumenti per creare un progetto specifico per le bambine di strada, affette da problematiche relative anche al proprio genere sessuale, nasce il progetto Yaoska a San Marcos a pochi metri dalla finca e il centro culturale.

Io non so mai come finanzierò i progetti come finirò l’anno” dice Zelinda, il poco realismo e tanta testardaggine sono stati la combinazione vincente per dare vita a queste comunità terapeutiche che ricordano tanto “l’isola che non c’è” e che persistono da ormai 26 anni.

http://www.manifestosardo.org/

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2 commenti

  1. Ognuno di noi cerca di dare un senso alla propria vita nel migliore dei modi, ed è per questo che rincorro gli esempi di queste persone.

  2. Giancarlo benedetti

    In quegli anni ottanta cercavo di dare un senso alle mie giornate e sarebbe bastato un incontro, magari casuale, con Zelinda mia compaesana e sicuramente invece di andare a insegnare ai viziati figli di papa’(non tutti) delle scuole italiane all’estero,avrei sicuramente raggiunto Zelinda in Nicaragua.
    Non è mai troppo tardi.

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