Da riflettere e meditare la breve, ma intensa ed emozionante, lettera della bambina palestinese Jenna Sosebee al presidente Usa Donald Trump. Da sottolineare, con ammirazione, l’impegno civile di solidarietà e altruismo del chirurgo cardiologo dell’Ospedale Brotzu di Cagliari Roberto Tumbarello ed altri medici a favore dei piccoli palestinesi malati, a sostegno dell’iniziativa creata dal padre e dalla madre scomparsa della bambina. Notizia che meritoriamente ci segnala Giorgio Ariu nel suo giornale on line: www.giacomunicazione.it che va letta con attenzione.
Stiamo parlando di piccoli palestinesi, ma non solo, che hanno bisogno di protezione e rispetto, dovunque e di qualsiasi colore, e non si tratta di schierarsi politicamente per Israele o Palestina.
Là, dove i bambini soffrono e muoiono vittime delle guerre dei grandi, della fame, della carestia, della malattie anche primordiali ancora imperanti in tante parti del mondo occorre mobilitarsi come fa Steve Sosebee, come fa Roberto Tumbariello, come fa Stefano Luisi di Massa, e come fanno, fortunatamente e miracolosamente, tante persone fra i quali alcuni medici che conosco bene: Aldo Morrone e Tore Masia…, con i loro valorosi e continui viaggi nelle terre più povere e disagiate del pianeta, ove portano, volontariamente e con totale spirito di servizio, la loro importante e preziosa esperienza professionale e il contributo umano di amore e solidarietà, specie a favore dei più piccoli. (Antonio Maria Masia)
Sono una ragazza di undici anni e mezzo, per metà americana e per metà palestinese, e vivo in Palestina. Io non posso credere che tu abbia regalato la nostra capitale Gerusalemme. Conosci la storia e la sofferenza dei palestinesi nel tentativo di combattere per la propria libertà e per il proprio paese? Gli israeliani sono arrivati nel 1948 cacciando i palestinesi fuori dalle loro abitazioni. Hai visto i campi profughi affollati di palestinesi che tu hai cacciato da Gerusalemme? Hai visto il muro che tu hai permesso di costruire? Hai visto le case abbandonate? Hai visto la Palestina? Sai che mio nonno è stato cacciato da Gerusalemme? Ho pensato che tu fossi anziano abbastanza da prendere da solo delle buone decisioni. Ho pensato che tu volessi il bene e non il male…….
cordialmente
Jenna Sosebee
Chi è Jenna
Jenna Sosebee è la figlia di Steve Sosebee, fondatore del Palestine Children’s Relief Fund. Ha una sorella di 21 anni Deema. Sua madre Huda era una rifugiata da Gerusalemme, nata e vissuta a Ramallah e morta di leucemia nel 2009. Steve Sosebee ha lavorato come giornalista in Cisgiordania per il Washington Report on Middle East Affairs nel 1988. Dopo aver saputo di un ragazzo palestinese che aveva perso le gambe, una mano ed un occhio saltando su una mina, si prese cura del ragazzo e di sua sorella facendoli curare negli USA. Da qui ha iniziato a prendersi cura di bambini palestinesi feriti fondando il PCRF nel 1991.
LA MIA INTIFADA di Roberto Tumbarello
Nella vita di ciascuno di noi viene il momento in cui si sente la necessità di fare qualche cosa per gli altri, di abbandonare il circolo sicuro e rassicurante delle tue cose, abitudini, conoscenze e di dare una mano a chi nella vita è stato poco fortunato. La mia attività lavorativa mi dava senza dubbio molte soddisfazioni, anche perché lavorare con i bambini, soprattutto se sofferenti, ti costringe a toccare continuamente tasti della sensibilità altrimenti sicuramente esclusi. Quando nel 2012 ricevetti la telefonata di Stefano Luisi, collega cardiochirurgo di Massa che mi chiedeva di unirmi alla sua equipe per una missione a Gerusalemme per operare bambini cardiopatici palestinesi, trovai la cosa da subito particolarmente attraente ed eccomi qua, dopo sei missioni tra Gaza, Ramallah e Gersalemme a fare un consuntivo (felice) di una magnifica avventura
Per i bambini palestinesi ammalati
BEIT JALA (BETLEMME)
Genesi del Palestine Children’s Relief Fund, a partire dalla storia d’amore – e di impegno per i bambini palestinesi ammalati – tra Huda al Masri e Steve Sosebee. Lei nel 2009 muore giovane per una leucemia. Lui raccoglie donazioni per tre milioni di dollari e in suo ricordo
apre all’ospedale di Beit Jala (Betlemme), un dipartimento di
oncologia pediatrica
La cerimonia di inaugurazione nell’ospedale pubblico di Beit Jala è terminata da poco, la cena per la raccolta delle donazioni sta per avere inizio. Volti sorridenti, mani che si stringono, persone che si abbracciano. Steve Sosebee per qualche attimo si perde nei suoi pensieri, non tutti felici. C’è un velo di tristezza sul suo viso. «E’ un grande traguardo – dice -, una Ong piccola come la nostra è riuscita a raccogliere donazioni per tre milioni di dollari e a realizzare (a Beit Jala, ndr) il primo dipartimento di oncologia pediatrica nei Territori occupati. I bambini di Gaza e Cisgiordania ammalati ora potranno avere cure adeguate nella loro terra». A rendere Steve Sosebee triste è l’assenza di Huda al Masri, sua moglie e compagna di impegno. Huda non c’è più, è morta nel 2009 a 45 anni a causa di una leucemia che l’ha uccisa in pochi mesi. Dopo oltre venti anni trascorsi insieme ad aiutare centinaia e centinaia di bambini palestinesi feriti dal conflitto con Israele o gravemente ammalati, Huda in punto di morte strappò a Steve la promessa che avrebbe trovato i fondi per mettere in piedi un dipartimento di oncologia pediatrica in Palestina. Una promessa mantenuta.
Dalla prima Intifada
Parte più da lontano quella promessa, dalla prima Intifada palestinese contro l’occupazione israeliana, divampata nel dicembre del 1987. È lastoria del Palestine Children’s Relief Fund (Pcrf), una Ong palestinese nota in Italia con il nome di «Soccorso medico per i bambini palestinesi», nata tra Ramallah dove viveva Huda e Kent nell’Ohio, la cittadina d’origine di Steve. Le università americane erano il centro di un dibattito intenso sul Medio Oriente. «La lotta dei palestinesi per la libertà, per l’indipendenza, mi appariva sacrosanta. Ero all’ultimo anno e decisi di completare gli studi con una tesi sulle cause del conflitto israelo-palestinese», ricorda Sosebee che sarebbe partito nel 1988 per i Territori occupati. «Uno dei miei professori, sostenitore delle ragioni di Israele, minacciò di stracciarmi in faccia la tesi il giorno in cui la presentai ma quell’atteggiamento non fece altro che aumentare il mio desiderio di raccontare la verità dei fatti in Palestina, lontana dalle manipolazioni propagandistiche». La famiglia lo appoggiò subito. D’altronde il padre veniva dalle battaglie per i diritti civili, per anni aveva combattuto la segregazione razziale che impediva ai neri di comprare o affittare case nei quartieri «bianchi» della sua città. «Papà riceveva minacce ogni giorno – ricorda Steve – e per mesi le mie sorelle ed io siamo andati a scuola accompagnati da un’auto della
polizia». Steve tornò nei Territori occupati nel 1989, girò in lungo e largo Cisgiordania e Gaza per raccontare da giornalista free lance l’Intifada. Poi scoccarono le due scintille che avrebbero cambiato la sua vita e portato alla fondazione del Pcrf. L’incontro con il piccolo
Mansour Abu Sneineh e quello con Huda al Masri. «Ero a Hebron e qualcuno mi segnalò il caso di un bambino ferito da un’esplosione – racconta Steve -, rimasi sconvolto da quel piccolo corpo senza più gambe e un braccio. Mansour aveva anche perso un occhio». Al rientro negli Usa, Steve si fece in quattro per raccogliere i fondi necessari per aiutare Mansour: «Non fu facile ma alla fine le donazioni bastarono a pagare gli interventi chirurgici, le protesi e la riabilitazione. Mansour dopo un anno trascorso negli Stati Uniti tornò a casa in piedi. Oggi fa l’avvocato a Hebron». Mansour fu importante anche per la crescita di Steve. «Si creò un rapporto molto bello tra noi -ricorda – lui imparò a fidarsi di un occidentale cittadino del
paese che arma Israele, io ebbi modo di conoscere grazie a lui capitoli importanti della cultura e delle tradizioni dei palestinesi, l’attaccamento dei palestinesi alla loro terra e il desiderio, anche nei più piccoli, di costruire un futuro di libertà». Dopo Mansour, Steve comprese che l’aiuto ai bambini ammalati o feriti sarebbe diventato il suo progetto di vita. Il Pcrf nacque dalla
collaborazione con Huda, giovane assistente sociale di Ramallah, originaria di Gerusalemme. «Ci incontrammo casualmente a casa di un bambino gravemente ferito – ricorda – ci innamorammo lavorando ogni giorno insieme e progettammo la nostra Ong. Di Huda mi affascinava l’attaccamento profondo che provava per la sua terra. Ha continuato a lavorare fino al suo ultimo giorno di vita e aveva sempre desiderato la creazione di un Dipartimento di oncologia pediatrica, inesistente nei Territori occupati».
La rete, diffusa, dei volontari
Fondato nel 1993 il Pcrf dopo venti anni ha assunto una dimensione globale. Non tanto nella struttura che rimane minuscola – limitata ad un ufficio di coordinamento in Cisgiordania – ma per la rete di volontari diffusa soprattutto nel mondo arabo e presente anche negli Stati Uniti ed Europa. E anche per l’impegno di Steve che gira come una trottola in ogni angolo del pianeta per raccogliere donazioni per curare i bambini palestinesi e, da qualche anno, anche di altri paesi arabi. «Donazioni piccolissime o molto generose ma sempre di persone», sottolinea l’americano. Dai primi trasferimenti occasionali all’estero di pazienti da operare, il Pcrf è passato ad invitare equipe di medici volontari di ogni parte del mondo – dall’America latina all’Asia, dagli Usa all’Europa – che effettuano negli ospedali pubblici palestinesi corsi di formazione per il personale locale ed interventi chirurgici delicati. In silenzio, senza far rumore, sono arrivati in Cisgiordania e Gaza, su base totalmente volontaria, a curare bambini gravemente ammalati medici italiani famosi, tra i quali il professor Giovanni Stellin, uno dei protagonisti del primo trapianto di cuore in Italia, il dottor Stefano Luisi dell’ospedale di Massa, Giancarlo Crupi degli Ospedali Riuniti di Bergamo e Lorenzo Genitori del Meyerdi Firenze. E non possono essere dimenticate le centinaia di bambini di Gaza e Cisgiordania con cardiopatie gravi salvati dal chirurgo pediatrico neozelandese Alan Kerr. «Tutto ciò che è possibile curare in Palestina viene fatto sul posto, trasferiamo all’estero solo in casi che sono inoperabili nei nostri ospedali», spiega Suheil Fleil, il responsabile del Pcrf nella Striscia di Gaza. Un rapporto diretto tra equipe straniere e medici locali che avviene esclusivamente nelle strutture mediche dei Territori occupati, in quelle dei campi profughi palestinesi in Libano, Siria e negli ospedali che talvolta mettono a disposizione alcuni paesi. Le cure e tutto il resto per i piccoli pazienti sono interamente coperte dal Pcrf. «Siamo una organizzazione libera e
indipendente, sganciata da ogni fede religiosa ma strettamente collegata al territorio in cui operiamo – ci tiene a precisare Sosebee – tutti quelli che lavorano per il Pcrf intendono il loro impegno come parte del progetto per costruire la libertà del popolo palestinese oltre che una sanità pubblica palestinese efficiente e sostenibile. Sappiamo che i bambini non possono essere curati in modo adeguato anche perchè c’è un’occupazione militare (israeliana) e perchè non c’è uno Stato che può assisterli».
Negli ultimi anni è stato centrale nelle attività del Pcrf il programma di cardiochirurgia pediatrica all’ospedale Makassed di Gerusalemme. Ora accanto allo sviluppo del Dipartimento di oncologia per bambini a Beit Jala, è partito sotto la direzione del dottor Stefano Luisi un nuovo progetto ambizioso: il primo programma di cardiochirugia all’ospedale pubblico “Europeo” di Khan Yunis (Gaza). Sosebee è consapevole delle difficoltà. «Non sarà facile attuare un piano del genere in un territorio sotto blocco militare (israeliano) che limita, spesso impedisce, i movimenti delle persone. Ma andremo avanti, come sempre grazie all’aiuto di persone comuni, di chi ama il popolo palestinese». Per una promessa mantenuta, un’altra da realizzare.