LA CUCINA SARDA IN CHIAVE NATURALE: CORONARE UN SOGNO A BERLINO PER ELISABETTA ARISCI E IL SUO “ATAYA CAFFE’”

di Giulia Cocco

Elisabetta Arisci, approdata cinque anni fa a Berlino, dove ha coronato il suo sogno: aprire con suo marito un locale completamente vegano e vegetariano, l’Ataya Caffè. Nel loro locale non solo propongono una cucina particolare, all’insegna della salute e della natura, ma si può respirare un aria familiare, come quella che si sente a casa propria.

Cosa ti ha spinta a partire e quanti anni fa sei partita? «Io e mio marito siamo qui a Berlino da cinque anni. Mi ha spinta a partire il degrado culturale che imperversa in Italia, benché avessi un lavoro con contratto a tempo indeterminato. A Cagliari ero chef di cucina in un locale, un ristorante vegano e vegetariano dove io ho messo su il concept lavorandoci per più di sette anni. Eravamo un po’ tristi riguardo questa realtà e soprattutto perchè ci siamo resi conto che realizzare quello che avevo in mente, a Cagliari, non era possibile.

Che differenze ci sono fra il lavorare in Sardegna e in Germania? «Ci sono parecchie differenze innanzitutto dal punto di vista del sostegno e della possibilità di riuscire. Nel senso che il primo anno ci sono degli sgravi fiscali che ti aiutano ad aprire, noi siamo qui da un anno e posso dire che a livello burocratico è tutto molto più semplice e chiaro. La burocrazia è più snella e veloce, si sa già dall’inizio andando all’ufficio proposte e mostrando la pianta, presentando il tuo progetto e il locale, se si può aprire o meno, prima di firmare un contratto d’affitto. Insomma si è molto tutelati anche perché loro voglio avere la sicurezza che il tuo concept o il tuo progetto siano vincenti».

Hai trovato difficoltà nel cambiare stile di vita? «Difficoltà per la lingua, il clima, però non particolarmente. Sono una persona elastica e lungimirante, preferisco farmi in quattro sapendo di avere la possibilità di “successo” piuttosto che stare in Sardegna, nelle mie strade, fra la mia gente, con la mia lingua e il mio cibo, ma senza essere stimolata a cambiare. Berlino è una città che aiuta, molto vitale e giovane, tra l’altro multietnica. Figurati che quasi il 50% della popolazione è straniera».

Sappiamo che l’Ataya Caffè è un posto davvero particolare, cosa proponete nel vostro locale? «È un concept mio e di mio marito, che è senegalese. Abitavamo a Cagliari e poi abbiamo unito gli interessi, essendo io lo chef e lui un grande cuoco, casalingo, ma bravissimo in cucina. Il nostro è un locale vegano e vegetariano, proponiamo una cucina che è un misto tra cucina della tradizione sarda in chiave vegana e poi dei piatti dell’Africa dell’ovest. Un menù del giorno da noi potrebbe essere: pane frattau vegano oppure african ball. Ogni giorno scegliamo cinque o sei piatti, di cui quattro italiani e due africani, sempre vegetariani o vegani, quindi ad esempio malloreddus alla campidanese con il ragù di seitan. È sempre tutto fresco fatto con prodotti di giornata e sardi».

Da cosa è partita l’idea di proporre una cucina naturale? «È partita dal fatto che io sono una cuoca vegana/vegetariana e con mio marito, unendo le cose, abbiamo deciso di creare la cosa più naturale possibile. Per noi è uno stile di vita, un modo particolare di vedere la ristorazione, creando un locale nel quale sentirsi nel salone di casa propria. È un concetto un po’ diverso di locale. Stiamo avendo un discreto successo con i blog: da gennaio del 2019 saremo nominati nella guida Lonely Planet. La pubblicità che abbiamo è data dai blogger e gli interessati che postano recensioni e foto dei nostri piatti e del locale su Internet».

Quali sono i vostri piatti più apprezzati? «Decisamente i culurgiones di patate e menta, ma anche l’African ball, un piatto africano rivisitato da noi. Piace molto anche la lasagna di pane carasau, che è un misto fra una lasagna e le melanzane alla parmigiana. A livello di dolci, piacciono moltissimo i mostaccioli di Oristano, che in realtà sono proprio vegani e i clienti li mangiano come se fossero meringhe alla panna!»

Avete un sogno nel cassetto? «Il nostro sogno è quello di aprire un Ataya in un altra zona di Berlino, Kreuzberg, che praticamente è un quartiere più multietnico e colorato rispetto a quello in cui siamo ora, nel vecchio est, più benestante prevalentemente popolato da famiglie. Mi piacerebbe molto per sperimentare un altro tipo di vivacità».

Cosa ti manca della Sardegna? «Mi manca il mare, terribilmente, anche se può sembrare una risposta banale. Ma mi manca a volte, e dico a volte, il nostro caos! Sai la vivacità degli italiani? L’altro giorno mi è capitato di trovarmi in un supermercato e ho incrociato fra gli scaffali degli italiani che parlavano tra di loro a voce alta: dei signori che passavano lì vicino hanno detto loro di fare silenzio, un po’ trattandoli come dei bambini e a me ha fatto molto sorridere! Poi chiaramente il sole, visto che ora inizierà il lungo inverno dato dal tramonto nel primo pomeriggio, però tutto viene ripagato dalla bellezza e dalle possibilità di questa meravigliosa città».

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