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Va in giro per il mondo da quando aveva sedici anni, ora che ne ha ventotto fa la giornalista free-lance a Barcellona. Da tre anni e mezzo. Alla casa del nonno materno, a Norbello, ritorna ogni volta che può, a rivivere frammenti di tempo svanito soltanto in apparenza. Il ricordo dell’avo Giovannino Porcu – instancabile animatore culturale di molte stagioni della vita sarda insieme con il suo amico Fernando Pilia e acuto commentatore affettuoso del poeta Antioco Casula più noto per lo pseudonimo di Montanaru – è di quelli che non moriranno mai. Il suo “esilio” è iniziato nel 1998: “Sono andata negli Stati Uniti per un anno. Tornata in Italia, ho fatto l’Università a Bologna ma sono sempre ripartita. Ho studiato spagnolo e cinese andando a vivere in Spagna e in Cina. La prima volta in Spagna è stato nel 2000, a Madrid. Poi sono tornata per un anno, 2003-04. Dal 2006 sono a Barcellona” In Catalogna solo per lavoro? “Lavoro e scelta di vita. Mi sento più libera. Finito il master and back ho iniziato a collaborare con il quotidiano dove avevo fatto il tirocinio”. Che master? “Si chiama BCNY, Barcellona-New York, Università di Barcellona e Columbia di New York. I docenti erano giornalisti spagnoli e americani, professori della Columbia. Un anno: nove mesi di lezioni e tre di tirocinio”. Cosa vi facevano fare? “Giornali, radio e tv. I professori ci raccontavano la loro esperienza e ci davano un tema. Ognuno aveva un quartiere per tutto l’anno. C’erano anche altri temi. Abbiamo fatto di tutto”. Cronaca? “Cronaca, scienze, economia…”. Bianca e nera? “Facevamo radio e tv, interviste per strada”. C’è difficoltà a lavorare come dipendenti di un giornale? “In Catalogna per operare nell’amministrazione pubblica occorre passare un esame di catalano”. Anche nei giornali? “Per un contratto sì, poi nei giornali ci possono essere occasioni. Ma ne conosco uno solo, che ha un contratto in un quotidiano”. Giornata-tipo? “Mi alzo, leggo i giornali italiani e spagnoli, poi con il mio ragazzo usciamo: a vedere cosa succede. Quello che prepariamo lo proponiamo e lo vendiamo”. Non concordi prima con il capo redattore a cui è destinato il pezzo? “Se ho una notizia che reputo buona chiamo: ti interessa, quanto deve essere”? Di che cosa ti occupi? “Prevalentemente di immigrazione, ambiente e società”. Che tipo di immigrazione c’è a Barcellona? “La comunità più presente è quella ecuadoriana, seguita dall’italiana. I cinesi sono tanti, come i pachistani, ma sembrano meno: molti cinesi non si registrano. Li seguo da vicino per via della mia formazione”. Hai impiegato molto tempo per imparare il cinese? “Per impararlo bene devi essere cinese”. Quanto tempo sei stata a Pechino? “Mai più di quattro mesi consecutivi, ma ci sono stata tre volte. L’ho studiato e lo studio: sono iscritta alla scuola ufficiale di lingue. Duecento euro all’anno per un corso. È una scuola pubblica. Mi occupo anche di cultura: vengono Vinicio Capossela, Ermanno Olmi, la mia omonima famosa Elena Ledda e io li intervisto”. Hai contatti con il circolo dei sardi? “La nuova presidente la conosco poco ma l’ho appena intervistata, il vecchio è persona molto conosciuta. Quando è venuta la Madonna di Bonaria, l’anno scorso, siamo andati: una processione bellissima, ottocento pellegrini”. Torniamo alle comunità. Con i cinesi ti aiuta il fatto di parlare la loro lingua? “Sì. Quando vedono che sai parlare gli viene da ridere, rimangono sbalorditi, quasi impauriti. Se li capisci si sentono come traditi. La cosa gli piace ma al tempo stesso sembra fargli paura. Però se hanno una necessità vedono in te un possibile aiuto. In Catalogna ho notato discriminazione nei confronti di cinesi e pachistani: discriminati perché se ne sa troppo poco”. Forse sono reticenti, o no? “La cosa è più complessa. Se uno deve lavorare dieci ore per mantenere la famiglia è difficile che impari. Quando sono andata in Cina l’unico mio obiettivo era imparare il cinese. Se avessi dovuto lavorare dieci ore quanto sarei stata in grado di capire? Sono due mondi diversi: se uno deve lavorare, come fa a studiare”? Ti sei occupata di storie di Sardegna, oltre l’intervista alla tua omonima? “Ho fatto un reportage sui sardi di Barcellona. Ma racconto storie di Sardegna per l’Italia. Ho fatto la miniera di Furtei, lo sconcio che hanno combinato”. Con chi collabori, qui? “Una sola volta ho pubblicato sul Giornale di Sardegna, come blogger. Collaboriamo con un blog di qua, a nostro parere molto buono: si chiama Su Barralliccu, ragazzi di Sardegna che si sono uniti per raccontare i loro paesi. Se abbiamo storie interessanti che non sapremmo come far uscire le pubblichiamo là”. In che cosa consiste l’attività di blogger? “Con Gianluca, il mio compagno fotografo, inizieremo a insegnare nel master di giornalismo dove abbiamo studiato: lezioni sul mondo del blog. Ci è stato chiesto di seguire i ragazzi, in modo che la pagina web del master sia il blog. Le interviste in strada anziché su un documento word le scriveranno sul blog. Si arriva in un attimo, con un sistema gratuito e facile rispetto alla pagina web. Il blog è più semplice e ha un vantaggio: non servono competenze tecniche”. Ma il blog di che cosa vive? “Sui dati delle persone. Quando ti iscrivi a un social network online gli lasci dei dati, l’uso dei dati personali a fini di marketing è la cosa che più fa vivere”. Dunque le aziende interessate pagano questi dati? “L’impresa usa i dati secondo le abitudini di ognuno per fare delle scelte di mercato. Non so se le aziende pagano i dati”. E allora di che cosa vivrebbero i blog? “Un blog piccolo come il nostro non vive di niente. Se la richiedi ti può rendere la pubblicità. Ce n’è di due tipi: una rende quasi niente, ma c’è la pubblicità grossa del network che rende molto”. Chi lavora come te riesce ad avere un reddito decente? “Se fa anche altre cose sì. Solo come free-lance è più difficile”. Quali sono le tariffe? “In Spagna il breve viene pagato 50 euro, l’apertura di sezione è 200-250 euro”. Con quale frequenza torni in Sardegna? “Per le feste comandate: non sempre per Pasqua, a Natale e in estate sì. E ogni volta che sento la voglia di tornare”. Come vivi la lontananza? “In Cina e Usa mi veniva l’angoscia. A Barcellona la Sardegna mi manca meno. La voglia di tornare la vivo bene, rientrare mi fa sempre piacere”.