di Elvira Serra
Premessa: questo non è un articolo di giornale, è una dichiarazione d’amore. E quando si ama si perde la testa, è risaputo. Ma in questo caso ci sono dei buoni motivi. E poi non basta. Non voglio tenere questo amore per me, vorrei contagiarvi, condividerlo, far sì che il maggior numero di persone si innamori come è successo a me. Voglio parlavi della mia città, Nùgoro amada, Nuoro amata, per la quale scrisse una struggente poesia d’addio il canonico Antonio Giuseppe Solinas, mentre in littorina si allontanava per andare a studiare a Sassari, era la fine del 1800: divenne un canto nel 1962, con la musica di Giampaolo Mele. Ma questa è una divagazione, torniamo ai fatti.
Nuoro, 37 mila abitanti, un sindaco eletto con lista civica che si chiama Andrea Soddu, è tra le 31 città candidate a diventare Capitale della Cultura 2020. Non conosco le altre, non voglio sapere chi siano. Per amor di cronaca, devo ricordare che anche Oristano concorre. Ma non me ne vogliano i cugini oristanesi se adesso il mio tifo va tutto a Nuoro e alla Barbagia, perché il primo punto è questo: non si candida soltanto una città, ma un territorio. E Barbagia significa Gavoi, con il suo meraviglioso Festival letterario organizzato da tutto il paese: un borgo che ogni anno a luglio si riempie di sorrisi, di libri, di autori, di storie, di racconti. Lo ha inventato lo scrittore Marcello Fois, un nuorese. Barbagia significa Orgosolo, che non vuol dire «anonima sequestri» e cartelli stradali bucati dai pallettoni del fucile, ma murales bellissimi sulle case vecchie, un museo a cielo aperto che racconta la vita per immagini. Barbagia è Oliena con il Monte Maccione, paradiso del trekking e oasi verde, e la fonte cristallina di Su Gologone, i ricami d’oro sugli scialli e anche il vino Nepente che decantò Gabriele D’annunzio. Barbagia è Bitti, neanche tremila abitanti e 21 chiese più un sito archeologico prenuragico, e anche Mamoiada con i suoi Mamuthones e Issohadores, le maschere tradizionali. È Dorgali con la grotta del Bue Marino e Cala Luna e Orani con le sculture di Costantino Nivola .
Però adesso ho bisogno di ritornare a Nuoro (l’accento va sulla u, Nùoro, sbagliano tutti). E sulla Cultura si vince facile. Che sia nata qui Grazia Deledda è risaputo (nel quartiere Santu Predu, San Pietro, dove la sua casa è diventata un museo e poco distante, nella chiesetta della Solitudine, sono raccolte le sue spoglie). È l’unica donna italiana ad aver vinto il Premio Nobel per la letteratura (cosa che fece indispettire non poco D’Annunzio). Era di Nuoro Francesco Ciusa, lo scultore della Madre dell’ucciso che fu esposta alla Biennale di Venezia nel 1907: una copia in gesso la trovate al Museo Man nuorese, nella succursale dedicata all’artista proprio accanto alla Cattedrale. È un illustre cittadino nuorese il giurista Salvatore Satta: il suo Giorno del Giudizio vi dice nulla?, nemmeno per le letture di Toni Servillo su Radio Rai 3 (che gli sono valse le chiavi della città)? Per il 2020 Sardegna Teatro lo metterà in scena all’Eliseo, che peraltro è uno dei sedici teatri italiani di rilevante interesse culturale. Il romanzo è diventato anche un’opera a fumetti nel 2016, per mano di Manuelle Mureddu, illustratore che si ostina (per fortuna!) a scrivere e pubblicare i suoi lavori in sardo. A Nuoro è nato Sebastiano Satta, poeta e avvocato; Antonio Ballero, pittore; Attilio Deffenu, intellettuale e sindacalista.
Questo è il passato, le nostre radici. Ma Nuoro non si è fermata lì. Marcello Fois, uno dei visionari di questa candidatura di Nuoro a capitale della Cultura 2020, ha raccolto in un progetto letterario corale la voce di tutti quei nuoresi e barbaricini che in questi decenni se ne sono andati senza mai lasciare davvero la città, perché ti entra nel sangue, è con te ovunque. Salvatore Satta, nel Giorno del Giudizio, scriveva: «Tutto il male e il bene che fai lo fai per Nuoro. Dovunque tu vada, Nuoro ti insegue, s’apposta come un brigante all’angolo della strada o come un esattore che vuole le sue gabelle». Fois però racconta non solo i nuoresi del passato, ma anche gli altri, quelli di oggi (ci sono anch’io nell’elenco, grazie Marcello). Come Flavio Manzoni, Compasso d’oro 2014 e 2016, senior vice president del Design Ferrari (è nella foto sotto di Alessandro Bianchi); il chitarrista classico Cristiano Porqueddu; gli artisti Vincenzo Grosso e Vincenzo Pattusi.
Nuoro sono gli artigiani. Dal «vecchio» Roberto Giraldi che a più di 80 anni intaglia il legno con le sue mani e fa bellissime cassapanche, alle nuove generazioni di artisti del ferro: Roberto Ziranu o i fratelli Vittorio e Andrea Bruno della Bottega artigiana metalli Bam. Ed è arte il modo in cui Paola Abraini prepara il filindeu, un tipo di pasta per la minestra che si stende e si allunga e si trasforma in molteplici strati di fili sottilissimi sovrapposti e intrecciati: i fili di Dio, appunto (qui nella foto di Massimo Locci, Paola al lavoro).
E non vi ho ancora parlato del seminario jazz che ogni anno attira a Nuoro musicisti da tutta Europa. Dimenticavo, e qui chiudo davvero. C’è anche una tradizione corale fantastica. Proprio per la candidatura del 2020 si sono messiinsieme i sette cori della città per cantare «A Diosa», quella struggente poesia d’amore dell’avvocato sarulese Salvatore Sini che è diventata una canzone con la musica di Giuseppe Rachel, magari l’avete già ascoltata cantata da Andrea Parodi dei Tazenda, da Gianna Nannini, da Noa o da Anna Oxa: forse la conoscete con il nome di Non potho reposare, la prima strofa. Nel video si vedono scorci della città, tutti bellissimi: da piazza Sebastiano Satta con le statue di Costantino Nivola al nuraghe di Tanca Marra alla statua del Redentore. Le parole, per me adesso, sono tutte per Nuoro. «Non posso riposare amore caro/ penso a te ogni momento/ non essere triste triste gioiello d’oro/ Né addolorata o preoccupata/ Ti assicuro che desidero solo te/ Perché ti amo forte, ti amo e ti amo».
Sarà un grande orgoglio per noi Nuoresi