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Successi folgoranti, drammi tormentosi, lunghi silenzi, torrenziali esternazioni: tutto questo si può trovare nella biografia di Francesco Cossiga, nominato Presidente Emerito della Repubblica Italiana dopo che ne era stato eletto Presidente effettivo dal 1985 al 1992. Vi si può trovare la saggezza di un politico di lungo corso, ma anche le sortite spiazzanti di un uomo turbato da forti emozioni personali. Avviato precocemente alla vita pubblica, questo sardo a noi caro di buona famiglia, imparentato alla lontana con i Berlinguer, non ne uscì mai più: pur rinnegandola a volte, con i suoi gesti d’insofferenza. Scelse fin da ragazzo (era nato il 26 luglio 1928) la DC come partito di riferimento: e fu tra gli animatori della corrente dei cosiddetti “giovani turchi”, che voleva svecchiare la Nomenklatura locale dello scudo crociato. Conseguì la maturità in anticipo, e sempre in anticipo fu dottore in Legge e poi Professore di diritto costituzionale dell’Università di Sassari. Vogliamo elencare ancora qualche suo primato? Fu il più giovane sottosegretario alla Difesa, il più giovane Ministro dell’Interno, il più giovane Presidente del Senato, il più giovane Presidente della Repubblica. Oltretutto venne issato al Quirinale, nel 1985, al primo scrutinio e con larga maggioranza. L’Italia con lui, ebbe il suo ottavo capo dello Stato, ma non una first lady perché la moglie di Cossiga, Giuseppa Sigurani, un tempo bellissima e da lui separata, non volle nemmeno salvare le apparenze. Dal matrimonio nacquero due figli, Anna Maria di 49 anni, archeologa e Giuseppe, 44, ingegnere aeronautico. Ma tutto quanto concerneva la sua vita privata, rimase nell’ombra più fonda e discreta. Che cursus honorum sfolgorante, si direbbe, dando un’occhiata all’eccezionalità delle cariche che Cossiga è andato via via ricoprendo. Ma dietro le luci abbaglianti dei palazzi c’è sempre stato nelle sue vicende un sottofondo di tragedie, di inquietudini, di accuse rabbiose, di reazioni sprezzanti o furiose. Non per nulla quell’imprevedibile affabulatore si dimise dalla presidenza della Repubblica con due mesi di anticipo sulla scadenza, il 28 aprile 1992, non per nulla annunciò poi la decisione di rinunciare al seggio di Senatore a vita, che gli spettava di diritto. E’ stato anticomunista convinto: ma come Senatore a vita è toccato proprio a lui favorire la nascita del governo D’Alema. E’ stato patriota e si assunse la responsabilità di avere organizzato, come sottosegretario alla Difesa nel terzo governo Moro, la struttura segreta Gladio, concepita in vita di un possibile attacco all’Italia. Lo si volle, per questo, criminalizzare e demonizzare. Cossiga era Ministro dell’Interno quando Aldo Moro fu sequestrato e poi assassinato. Soffrì terribilmente quei giorni di barbarie. Le chiazze che comparvero sulla sua pelle e anche i suoi capelli presto bianchi derivarono, lo dichiarò lui stesso, dal calvario di Moro che fu anche un calvario per gli amici di Moro. Francesco Cossiga non trattò con i brigatisti che avevano sterminato i cinque uomini della scorta di Moro. La trattativa avrebbe profanato quel sangue. Dopo che il cadavere dello statista democristiano fu lasciato in via Caetani, Cossiga si dimise. Si sarebbe potuto pensare che la sua carriera fosse finita. Invece, poco più di un anno dopo, riemerse come premier, e come tale dovette affrontare una nuova bufera politico-giudiziaria. Si insinuò (e il PCI ne fece oggetto di una offensiva politica e mediatica di estrema asprezza) che Cossiga, avendo saputo nella qualità di capo dell’esecutivo che era imminente l’arresto di Marco Donat Cattin, figlio del suo collega di partito e amico Carlo, avesse avvertito il padre, consentendo al ragazzo di rifugiarsi all’estero. L’accusa cadde ma l’immagine di Cossiga, che gli studenti scrivevano Kossiga, addebitandogli gli eccessi polizieschi come Ministro dell’Interno, ne uscì appannata. Poco dopo Cossiga fu Presidente del Senato, e da palazzo Madama si guadagnò l’ultimo trasferimento, al Quirinale. Cossiga avviò il suo settennato con una discrezione e con una puntigliosità notarile che avrebbero potuto fare invidia a Luigi Einaudi. Fu la stagione del “sardomuto”, prudente e paziente. Finchè (caduto il Muro di Berlino, il che segnò la fine di un’epoca) anche il Presidente cambiò registro, divenne assiduo esternatore e picconatore, una sorta di mina posta sul colle più alto della Repubblica. Tra le proposte di Cossiga vi fu anche la nomina di Indro Montanelli a Senatore a vita, ma lo stesso Montanelli, con una lettera che resterà tra i documenti più nobili del nostro Paese, spiegò che non poteva accettare. Da giornalista voleva rimanere indipendente, e dunque fuori dalla politica. Abbandonato, traumaticamente il Quirinale, Cossiga ha oscillato tra l’abbandono della politica e la creazione di un nuovo partito. Lo fondò e si chiamò UDR, Unione Democratica per la Repubblica, ebbe le adesioni di Rocco Buttiglione e di Clemente Mastella. In realtà Cossiga è sempre stato irrequieto, collaborava molto, con la sua firma o con pseudo mini, a quotidiani e periodici, concedeva interviste, faceva rivelazioni, in una progressione incessante di attività, di eccentricità, di stranezze. Finchè, aggravatesi le sue condizioni di salute, l’infaticabile esternatore è arrivato al silenzio più lungo.
Cossiga, grandissimo italiano oltre che grande Sardo. Della sua opera politica quella che più mi è rimasta impressa fu la lotta contro le interferenze del consiglio superiore della magistratura.